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capitolo ventesimosesto. 85

essendo divenuti ricchi. Parte di loro avean danneggiato i fucili servendosene per abbattere le porte delle case e dei negozi che volevano depredare; altri li avevano senza pietre focaie che avevano perdute. Il nemico da parte sua non perdeva tempo; vari legni da guerra, che si trovavano nel porto, presero posizione infilando le strade da noi occupate, giacché il paese era proprio edificato sulla sponda del lago.

Da Rio Grande del Sud, che si trova a poche miglia sull’altra sponda, mandarono soccorsi di truppe; e l’unico forte che noi avevamo trascurato di occupare, fu occupato dai nemici. Il forte maggiore dei quattro, detto Imperiale, da noi assaltato e conquistato nella notte, e che trovavasi dominante nel centro della linea di trincee, la cui possessione era importantissima, fu inutilizzato da una esplosione terribile delle polveri, che ci ammazzò e ferì molta gente.

Io ricordo sempre: non era ben chiaro ancora nella mattina quando successe la catastrofe; ricordo, dico, d’aver veduti i nostri uomini che occupavano quel forte scaraventati nell’aria come lucciole,. accesi dall’incendio delle vestimenta e gettati sul suolo orribilmente mutilati. Infine il più glorioso dei trionfi cambiossi verso mezzogiorno in una vergognosa ritirata, quasi una fuga. I buoni, che aveano sostenuto in pochi il combattimento sino alla fine, piangevano dalla rabbia e dal dispetto. La nostra perdita fu comparativamente immensa: da quel giorno la nostra fiera fanteria di liberti divenne uno scheletro.

Poca cavalleria era venuta alla spedizione, e valse a proteggere la ritirata. La divisione marciò ai suoi alloggiamenti di Bellavista, ed io rimasi colle reliquie della marina in San Simon, stabilimento situato sulla sponda della laguna dos Patos. La marina era ridotta ad una quarantina d’individui tra ufficiali e militi.