Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XXII
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Capitolo XXII.
Vita militare per terra; vittoria e sconfitta.
Tra le peripezie non poche della mia vita procellosa, io non ho mancato d’avere bei momenti, e tale, abbenchè sembri avrebbe dovuto esser il contrario, era quello in cui alla testa di pochi uomini, avanzo di molte pugne, e che giustamente aveano meritato il titolo di valorosi, io marciava a cavallo con accanto la donna del mio cuore, degna dell’universale ammirazione, e lanciandomi in una carriera che più ancora di quella del mare aveva per me attrattive immense. E che m’importava il non aver altre vesti che quelle che mi coprivano il corpo, e di servire una povera Repubblica che a nessuno poteva dare un soldo?
Io avevo una sciabola ed una carabina, che portavo attraversata sul davanti della sella. La mia Anita era il mio tesoro, non men fervida di me per la sacrosanta causa dei popoli e per una vita avventurosa. Essa si era figurate le battaglie come un trastullo, e i disagi della vita del campo come un passatempo; quindi, comunque andasse, l’avvenire ci sorrideva fortunato, e più selvaggi si presentavano gli spaziosi americani deserti, più dilettevoli e più belli ci pareano. Poi sembravami d’aver fatto il mio dovere nelle diverse e pericolose fazioni di guerra in cui m’ero trovato e d’aver meritato la stima dei bellicosi figli del Continente (Rio Grande).
Noi marciammo dunque in ritirata sino a las Torres, limite delle due Provincie, ove stabilimmo il campo. Il nemico contentossi d’impadronirsi della Laguna, e non c’inseguì.
In combinazione però col corpo di Andrea, avanzavasi per la Serra (monti e foreste) la divisione Acuñha, venuta dalla provincia di San Paolo per tagliarci la ritirata, dirigendosi per Cima da Serra, dipartimento nelle montagne appartenente alla provincia del Rio Grande.
I Serrani, sopraffatti da forze superiori, chiesero soccorso al generale Canabarro, ed egli dispose una spedizione agli ordini del colonnello Teixeira in aiuto di quelli. Noi facemmo parte della spedizione. Riuniti ai Serrani, comandati dal colonnello Arañha, battemmo completamente in Santa Vittoria la divisione Acuñha. Morì nel fiume Pelotas il generale nemico, e la maggior parte di quella truppa rimase prigioniera.
Tale vittoria rimise sotto l’autorità della Repubblica i tre dipartimenti di Lages, Vaccaria e Cima da Serra. Dopo alcuni giorni entrammo trionfanti in Lages (gennaio 1840).
Intanto l’invasione imperiale aveva rialzato codesto partito in Missiones, ed il colonnello imperiale Mello aveva cresciuto in quella provincia il suo corpo a circa cinquecento uomini di cavalleria.
II generale Bento Manuel destinato a combatterlo s’era contentato d’inviare il tenente colonnello Portiñhos, che per non aver forze sufficienti limitossi ad osservare Mello, che si diresse verso San Paolo. La posizione nostra e possanza ci metteva in caso non solo di opporci al passaggio di Mello, ma di sconfiggerlo. Così non volle la sorte.
Il colonnello Teixeira, incerto se il nemico verrebbe per Vaccaria o per altra via chiamata i Coritibani, divise in due la forza: mandò il colonnello Arañha colla migliore parte della cavalleria della Serra in Vaccaria, e marciò esso colla fanteria, e parte di cavalleria composta per la maggior parte dei prigionieii di Santa Vittoria, verso i Coritibani; e per questa parte appunto si diresse il nemico.
Il frazionamento delle nostre forze ci riescì fatale; la recente nostra vittoria, l’indole ardimentosa del nostro capo, e dei Repubblicani in generale, e le informazioni avute circa il nemico che ne menomavano la forza ed il morale, ce lo fecero disprezzare oltremodo. In tre giorni di marcia fummo ai Coritibani, ed accampammo a certa distanza dal passo di Maromba, per ove si supponeva dovesse arrivare il nemico. Si posero guardie in quel passo ed in altri punti necessari a guardare.
Verso la mezzanotte la guardia del passo fu attaccata dal nemico con tanta furia die appena ebbe tempo di ripiegarsi scambiando alcune fucilate. Da quel momento sino all’alba stemmo con tutte le forze pronte al combattimento.
Non fu tarda l’apparizione del nemico, il quale, avendo passato il fiume con tutta la sua gente, erasi schierato non lungi da noi, in atto pure di combattere. Tutt’altri che Teixeira, vedendo la superiorità del nemico, avrebbe spedito celeremente ad Arañha per richiamarlo a noi, ed intanto procurato di trattenere il nemico sino alla giunzione. Ma l’arditissimo repubblicano temette non gli sfuggisse il nemico e si perdesse l’occasione di combatterlo. All’attacco dunque! E non valse la vantaggiosa posizione in cui il nemico si trovava.
Mello, profittando della ineguaglianza del terreno, avea formato la sua linea di battaglia sopra una collina assai alta, davanti alla quale trovavasi una valle assai profonda ed intralciata da folti cespugli; egli aveva coperti sui suoi fianchi alcuni plotoni di cavalleria non veduti da noi. Teixeira ordinò di attaccarlo con una catena di fanteria, e profittare per ciò degli ostacoli della valle. Fu eseguito l’attacco, ed il nemico simulò di ritirarsi, ma mentre la nostra catena, dopo aver varcato la valle, perseguiva il nemico a fucilate, fu essa stessa caricata di fianco da uno squadrone coperto dal fianco destro del nemico, ed obbligata di ripiegarsi in disordine e riconcentrarsi sul grosso della forza.
Morì in quel!’ incontro uno dei più valorosi ufficiali nostri, Manuel N., molto caro al nostro capo.
Rinforzata la catena e riportata avanti con più risoluzione, il nemico retrocesse finalmente, e si pose in ritirata, lasciando un cadavere de’ suoi sul campo. Pochi furono i feriti d’ogni parte, poiché poca gente d’ambi i lati avea preso parte alla pugna. Intanto ritiravasi il nemico con precipitazione, e noi lo perseguimmo senza posa.
Ambe le catene di cavalleria della vanguardia nostra e della retroguardia nemica scaramucciavano, e così per nove miglia circa, essendo noi obbligati di lasciar la fanteria molto addietro, non potendo essa certamente tenersi a paro colla celerità dei cavalli, ad onta d’ogni sforzo. Di tale circostanza profittò il nemico, o forse la suscitò lui stesso.
Giunta la nostra vanguardia sull’alto del passo di Maromba, il comandante della stessa, maggiore Giacinto, mandò un messo al colonnello per avvertirlo che il nemico passava il guado, e che già il ganado1 e le cavalladas2 erano dall’altra parte: indizio che il nemico continuava a ritirarsi. Il valoroso Teixeira non esitò un momento, e comandò si mettessero i plotoni nostri di cavalleria al trotto per potere attaccare il nemico dall’alto del passaggio e sbaragliarlo, e a me ordinò pure di fare ogni sforzo colla fanteria per seguirlo. L’astuto Mello aveva manovrato per ingannarci: egli avea fatto marciare i suoi plotoni con precipitazione per toglierli dalla nostra vista, e giunto nelle vicinanze del fiume Coritibano, fece bensì passare al l’altra sponda i bovi e cavalli, ma la truppa la schierò sulla nostra sinistra, dietro certe colline che la nascondevano intieramente. Prese tali misure, avendo lasciato un plotone di protezione alla sua catena di tiratori, e scorto ch’egli ebbe la fanteria nostra a molta distanza, retrocesse coperto dalle alte colline sulla nostra sinistra, ed uscendo improvviso con una conversione a sinistra, attaccò l’uno dopo l’altro i nostri plotoni di fianco, e li sbaragliò completamente. Il plotone nostro di sostegno alla nostra catena, che incalzava il nemico colle lancio nei reni, fu il primo ad avvedersi dell’errore; ma non avendo nemmeno tempo di convergere ebbe la sorte di tutti gli altri. Lo stesso successe a tutti, malgrado il coraggio e la risoluzione di Teixeira e di alcuni ufficiali riograndensi valorosissimi; ed in poco tempo la cavalleria nostra presentava il vergognoso spettacolo di un gregge di pecore in fuga.
A me non era piaciuto il lasciare tanto indietro la nostra fanteria, essendo la cavalleria composta di elementi poco fidi, per la maggior parte uomini fatti prigionieri in Santa Vittoria. Perciò io sforzavo i miei fanti a tutta possa per inoltrarli al combattimento, ma invano. Giunto ad un’altura io vidi lo strazio. dei nostri, e conobbi non esser più tempo d’influire sulla vittoria, ma procurare di non perder tutto.
Chiamai a voce una dodicina de’ più svelti e più intrepidi de’ miei marini, che presero il trotto alla mia voce, benché già stanchi dalla lunga e forzata marcia, e li feci prender posizione in un sito forte per fanteria, non solo dominante, ma irto di roccie e di cespugli. Da quel punto principiammo a far testa al nemico, ed a insegnargli che non era vittorioso ovunque.
In quel punto si ripiegò il colonnello con alcuni aiutanti, dopo d’aver tentato ogni sforzo con indicibile coraggio per arrestare i fuggenti. La fanteria col maggior Peixotto, che la comandava ai miei ordini, ci raggiunse nella stessa posizione e fu terribile allora la difesa e molto micidiale al nemico. Noi perdemmo molti fanti di coloro che, rimasti indietro, furono involti co’ fuggitivi nostri di cavalleria e quasi tutti uccisi. Intanto, forti del sito e riuniti in numero di settantatrè, noi combattevamo il nemico con vantaggio, essendo esso privo di fanteria e poco avvezzo a combattere tal arma. Nonostante il vantaggio nostro, noi ci trovavamo in una posizione isolata, e conveniva di cercare un ricovero più sicuro, da dove si potesse imprendere una ritirata senza esser molestati dal nemico; e soprattutto non dare al nemico vittorioso il tempo di rannodare tutte le sue forze ed ai nostri quello di raffreddarsi.
Un capon (isola d’alberi e folta) trovavasi alla nostra vista, distante circa un miglio: noi imprendemmo la ritirata alla direzione di quello. Il nemico procurava di avvilupparci nel transito e ci caricava a scaglioni, ogni volta il terreno glielo permetteva. In tale circostanza ci valse moltissimo esser gli ufficiali armati di carabina, e siccome tutti agguerriti, respingevansi le cariche del nemico a pie fermo, con impavida intrepidezza. In tal modo giungemmo a ricoverarci nel capon, ove il nemico non ci molestò più.
Internati alquanto nel bosco, noi scegliemmo un sito chiaro di piante, e riuniti, colle armi pronte, si stava riposando, ed aspettando la notte. Il nemico fece alcune intimazioni di resa, dal di fuori, a cui non rispondemmo.
Note
- ↑ Ganado, truppa di tori o vacche che devono servire d’alimento alla gente, che non porta altre impedimenta.
- ↑ Cavalladas, cavalli di riserva indispensabili in quei paesi ove la maggior parte della forza è cavalleria nutrita sui propri campi, per cui ogni milite è obbligato d’aver tre cavalli, uno montato e g!i altri alla riserva.