Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XXIII

Primo Periodo - XXIII. Ritorno in Lages

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Capitolo XXIII.

Ritorno in Lages.


Giunta la notte, si fecero alcuni preparativi per la partenza. La maggior difficoltà fu per i feriti, tra cui il maggior Peixotto, con una palla in un piede. Verso le dieci di sera, accomodati nel miglior modo i feriti, s’incominciò la marcia costeggiando il capon, che si lasciava a destra, e cercando di guadagnar la costa [p. 71 modifica]del Mato (foresta). Quella foresta, forse la maggiore del mondo, stendesi dalle alluvioni del Plata, sino a quelle dell’Amazzone,1 coronando le creste della Serra do Espinasso (spina dorsale del Brasile) in una estensione di circa trentaquattro gradi in latitudine. Non conosco l’estensione sua in longitudine, probabilmente immensa.

I tre dipartimenti di Cima da Serra, Vaccaria e Lages sono campestres in mezzo alla foresta, cioè campi attorniati da quella. Coritibanos, situato nel dipartimento di Lages, provincia di Santa Caterina, era il teatro del mio racconto, così chiamato dagli abitanti venuti da Coritiba, paese nella provincia di San Paolo.

Dunque noi costeggiavamo il capon per avvicinarci alla selva suddescritta, cercando la direzione di Lages per riunirci al corpo d’Arañha, da noi sventuratamente staccato. Successe all’uscita nostra dal capon uno di quei casi, che provano quanto l’uomo è figlio delle circostanze, e quanto può il terror panico sugli uomini anche i più intrepidi. Si marciava in silenzio, e, com’era naturale, disposti a combattere se s’incontrava il nemico. Ebbene, un cavallo, che probabilmente avea perduto il cavaliere nella giornata, e che trovavasi con redini, morso e sella procurando di malamente pascolare, al poco rumore da noi fatto si spaventò e prese a fuggire. Odesi una voce che dice: «Il nemico,» e tutti assieme vidersi precipitarsi nel più folto bosco quegli stessi settantrè uomini, che per più ore s’erano battuti contro cinquecento nemici! e precipitarsi in tal modo, che sebbene si perdessero molte ore per raccoglierli, fu impossibile di riunirli tutti, e se ne perdettero vari. Nondimeno, raccolti alla meglio, riprendemmo strada, ed allo spuntar dell’alba eravamo sull’orlo desiato della grande foresta, costeggiando alla direzione di Lages.

II nemico ci cercò nel giorno seguente, ma non ci rinvenne, essendo noi già lontani. Il giorno del [p. 72 modifica]combattimento fu terribile per operosità, privazioni e disagi; ma si combatteva, e quell’idea soverchiava ogni altra. Ma nella foresta, ove mancava il consueto alimento, la carne, ed ove altro da mangiare non si trovava, era un affare serio: stemmo quattro giorni senza trovare altro cibo che radici di piante. Sono indescrivibili poi le fatiche da noi provate per tracciarci una via ove non esistevano sentieri, ed ove la natura incomparabilmente rigogliosa e gagliarda ammonticchia sotto i pini colossali dell’immensa selva la gigantesca taquara (canna o bambù), le di cui reliquie, ammassate su quelle delle altre piante, formano insuperabile strame, suscettibile d’inghiottire e seppellire un individuo che incautamente vi affidasse il piede.

Molti dei compagni scoraggiavansi, alcuni disertarono, e fu mestieri riunirli ed energicamente imporre loro che meglio era manifestarsi apertamente sulla volontcà di accompagnarci, e che liberi si lasciavan coloro che volessero andarsene. Tale risoluzione fu efficacissima; da quel momento non vi furon più diserzioni, ed entrò là fiducia di salvezza. Il quinto giorno da quello del combattimento giungemmo all’entrata della piccada (sentiero tagliato nella selva e che conduceva a Lagos), ove incontrammo una casa, ed ove ci sfamammo macellando due bovi. Facemmo due prigionieri in detta casa, appartenenti allo stesso nemico che ci aveva battuti; seguimmo quindi per Lages, ove arrivammo in un giorno di pioggia.



Note

  1. Dal prezioso trattato l’Universo del professorr Filopanti vedo oggi esser codesti i fiumi maggiori, mentre credevo prima il Mississipi il più grande del mondo.