Melmoth o l'uomo errante/Volume II/Capitolo IX
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CAPITOLO IX.
Non molto sollecito fu il ritorno dello straniero nell’isola. Sarebbe impossibile a mente umana di discoprire quali in questo intervallo furono o le sue occupazioni o le sue sensazioni. Forse egli talvolta trionfava ne’ mali che infliggeva, talvolta ne sentiva compassione; spinto finalmente o dalla malignità, o dalla curiosità, o dal tedio di una vita artifiziale, con la quale la schietta esistenza d’Immalia formava un sì perfetto contrasto fece ritorno all’isola incantata, nome che aveva ricevuto dagli Indiani di quelle vicinanze; ma gli convenne traversar de’ sentieri ove orma umana non erasi per anco stampata, valicare de’ ruscelli, in cui piede umano non erasi immerso, prima che potesse rinvenire il luogo ove Immalia si era nascosta.
Dessa nondimeno non aveva avuta l’intenzione di togliersi agli sguardi di lui; quando egli la trovò la vide appoggiata ad una rupe. A’ suoi piedi l’Oceano faceva rimbombare il suo perpetuo fragore. Aveva scelto il luogo più selvaggio, che avesse potuto rinvenire; presso di lei non erano ruscelli nè fiori: i soli oggetti che la circondassero erano ammassi di roccie calcinate dall’azione de’ vulcani, ed i flutti del mare che le bagnavano le piante, sembravano ad un tempo invitare e dispregiare il pericolo che le minacciavano. La prima volta, che lo straniero l’aveva veduta, ella era adorna di fiori e di profumi tutto ciò che il regno animale o vegetale offre di più brillante le rose ed i pavoni sembrava che gareggiassero fra loro a chi sparger potrebbe su di lei un più vivo splendore, un più grato delizioso balsamo. Ora però ella sembrava abbandonata dalla natura, della quale prima era la figlia prediletta; riposava sulle rupi e sembrava aver l’Oceano per letto: il seno di lei non era più adornato di conchiglie, i capelli non le si vedevano più frammisti co’ fiori; sembrava che in lei in un sol carattere fossero cambiati i sentimenti; non amava più che vi era di più bello nella natura. Avresti detto, che prevedendo ella il suo destino volesse incominciare a familiarizzarsi con ciò che questa ha di più triste e lugubre: si assuefava ad amare le rupi e l’Oceano; il frastuono de’ flutti è la sterilità delle arene, oggetti malinconici, il cui solo aspetto ci fa risovvenire del dolore e della eternità.
Immalia in quella sua solitudine aveva un aspetto mesto e turbato, che pareva esprimesse il conflitto delle sue interne emozioni, e riflettesse la tristezza ed agitazione degli oggetti fisici, che la attorniavano; perciocchè la natura preparava una di quelle convulsioni terribili, una di quelle improvvise agonie, le quali sono il preludio, che verrà un giorno, in cui il mondo intiero sarà distrutto e si compierà la promessa terribile, che cotesta devastazione parziale si è limitata a predire.
La serata era oscura; spesse nubi oscuravano l’orizzonte dall’orto all’occaso. Sull’alto de’ cieli brillava un pallido azzurro, che rassembrava allo splendore degli occhi di un moribondo. Nessun soffio di vento increspava la superficie del mare; le frondi stavano immote senza che nessun zefiretto venisse ad agitarle; gli augelli guidati da quell’istinto, che loro insegna ad evitare la pugna degli elementi, si erano ritirati e nascosti tra i rami delle piante ad essi favorite. La natura nelle sue grandi e terribili operazioni è simile ad un giudice, che alcuni momenti avanti di pronunziare la sentenza guarda un profondo silenzio.
Immalia considerava lo spettacolo terribile, da cui era circondata, senza alcuna emozione nata da fisiche cause; finora il giorno e le tenebre erano state per lei la medesima cosa: amava il sole per la sua luce interminabile ed il fulmine nel passeggiero suo lampo. Piaceva a lei l’Oceano pel suo fragore sonoro e la tempesta per l’agitazione in cui poneva le foglie degli alberi; finalmente ella amava la tranquillità della notte e la placida luce delle stelle. Tale almeno Immalia era stata un tempo. Ora però lo sguardo di lei si fissava sulla luce, che cedeva il posto alle tenebre, a quelle tenebre contro natura, e che sembrano dire alla più bella delle opere della Divinità: ritirati, tu non brillerai più.
Le ombre dense e le nuvole simili ad un’armata, che ha riunite tutte le sue forze, si preparavano a combattere i dispersi raggi di luce, che ancor brillavano in cielo. Una sola fascia larga e di un color nerorosastro cingeva l’orizzonte. Il sordo rumore delle acque andava crescendo, e tra le piante incominciavasi ad udire il sibillo degli aquiloni; in una parola la natura presagiva a’ suoi figli un imminente pericolo. Fu questo l’istante che scelse lo straniero per avvicinarsi ad Immalia. Egli era insensibile al pericolo e non conosceva il timore. Il suo miserabil destino lo aveva messo al coperto dell’uno e dell’altro, ma, e che aveva lui lasciato? Una sola speranza, quella cioè di far precipitare le altre umane creature nella sua propria condanna; un solo timore, quello di vedersi fuggir la sua vittima. Frattanto, non ostante la sua diabolica crudeltà, non potè non sentire un moto di compunzione al vedere la giovane indiana. Le gote di lei erano pallide, ma fisso il suo occhio e rivolta verso il mare tutta la sua persona, e come se ella preferisse la tempesta agli sguardi di lui, pareva che dicesse: Possa io cadere piuttosto nelle mani di Dio, che in quelle degli uomini!...
Cotesta attitudine, che Immalia aveva presa senza scopo di sorta veruna, e che non esprimeva in alcuna guisa i suoi veri sentimenti ridono al cuore dello straniero tutta la sua malignità naturale; i suoi progetti crudeli, ed i suoi desiderii naturalmente tetri e diabolici riassunsero l’ordinario loro impero. Vedendo il conflitto della innocenza abbandonata a sè medesima in mezzo alle convulsioni della natura, provò la stessa soddisfazione di quando entrava negli ospizii degli alienati o nelle prigioni. Pareva che dicesse, il fulmine che stava già già per iscagliare contro questa tanto innocente, creatura esser più sicuro di quello delle nubi, che brillavano intorno di lei.
Armato di tutta la sua perversità e potere si avvicinò ad Immalia, che non era difesa se non dalla propria purezza. Fra la persona e la posizione di lei si scorgeva un contrasto che avrebbe commosso qualunque persona e la posizione di lei si scorgeva un contrasto che avrebbe commosso qualunque persona fuori dell’Uomo Errante. Lo splendore del volto di lei brillava in mezzo alle oscurità, che la circondava; e la sua dolcezza era renduta più rimarchevole ancora dalla ruvidezza della rupe contro la quale ella si era appoggiata.
Lo straniero se le avvicinò senza che se ne accorgesse; il rumore dei suoi passi era ricoperto dal muggito de’ flutti, dal soffio de’ venti; ma nell’avanzarsi sentì degli accenti, che lo fecero restar maravigliato. Si arrestò per ascoltarli; era la povera indiana, che senza conoscere se senza temere il suo pericolo, cantava una specie d’inno selvaggio di disperazione e amore. Eccone alcune stroffe.
«La notte diviene più oscura, ma questa oscurità cosa è mai in paragone di quella, che la sua assenza ha sparso sul mio spirito? Le folgori brillano intorno di me, ma che sono elleno poste al confronto dello sfavillare degli occhi suoi quando mi abbandonò corrucciato?
«Io non ho realmente vissuto, che alla luce della sua presenza; a che tardo a morire ora, che questa luce mi è tolta? Sdegno delle nubi, che ho io a temere da voi? Voi potete ridurmi in polvere, come vi ho veduto fare ai rami degli alberi, ma il tronco rimaneva ed il mio cuore sarà sempre di lui.
«Mugghia, mare terribile; le tue onde, che io potrei numerare, non arriveranno giammai a cancellare la immagine di lui dal mio cuore. Il mio cuore resterà immobile come un macigno, anco in mezzo alle calamità di quel mondo, che egli mi minaccia, di quel mondo, del quale senza di lui non avrei avuta cognizione; e che son pronta ad affrontare in grazia di lui.
«Quando noi ci scontrammo la prima volta, il mio seno era ricoperto di rose; oggi io le getto lungi da me. Quando egli mi vide la prima volta, tutte le creature viventi mi amavano; ora il loro amore mi è indifferente nè saprei più amarle. Quando egli veniva tutte le sere a visitarmi, io desiderava che la luna brillasse; ed non provo nessun dispiacere a vederla nascondersi dietro le nubi. Prima che egli venisse, ogni cosa mi amava, ed io amava la natura intiera; ora sento di non poter amare che un oggetto, e quest’oggetto mi ha abbandonato! Dacchè lo vidi, tutto, tutto ha cangiato d’aspetto. I fiori non hanno più i loro vivaci colori; men dolce è il mormorio delle onde; le stelle non mi sorridono più dall’alto de’ cieli, ed io medesima comincio a preferire la tempesta alla calma.»
Ponendo fine al suo canto selvaggio voleva ella abbandonare il luogo, ove il furor della ognor crescente tempesta non le permetteva di più fermarsi, quando nel rivolgersi vide gli occhi dello straniero fissati sopra di lei. A tal vista arrossì, nè fece uscir dalle sue labbra il grido di gioia, col quale aveva l’abitudine di accoglierlo; ma la seguì con piede mal fermo, e volgendo altrove il capo fino alle ruine della pagode, ove gli faceva segno di venire a cercare un asilo contro il furore della tempesta ed il corruccio degli elementi.
Dessi vi si approssimarono in silenzio; ed era una cosa strana a vedere in mezzo alle convulsioni della natura due persone camminare insieme senza pronunziare un accento, che indicasse timore senza provare un sentimento d’inquietudine; l’uno era armato della sua disperazione, l’altra della sua innocenza. Immalia avrebbe preferito di mettersi al coperto sotto il suo banano favorito; ma lo straniero cercò di farle comprendere, che sotto di quello avrebbe corso maggior pericolo che dentro il luogo ove egli le indicava. — Del pericolo! esclamò Immalia con un sorriso vago, ma incantatore; e vi può esser pericolo per me, quando voi mi siete vicino? — Non vi è dunque pericolo in mia presenza? Poche sono le persone, che mi hanno veduto senza temerne, ed anco senza provarne. (Nel tempo che così favellava il volto gli si coprì di nubi più fosche di quelle, che oscuravano il cielo.) Immalia, aggiunse poscia con una voce che rendeva più profonda l’emozione, che gli agitava il cuore, Immalia, voi non potreste esser sì debole da credermi in istato da comandare agli elementi? Se io lo fossi (ne chiamo in testimonio il cielo, che mi contempla con isdegno), il primo atto del mio potere sarebbe di scegliere il suo più pronto e mortal fulmine per configgervi al luogo dove ora vi vedo. — Me! ripetè l’indiana tremante, e divenendo pallida più per le di lui parole e pel tuono con cui le pronunziava, che pel furore raddoppiato della tempesta. — Sì, sì; voi; non ostante tutta la vostra amabilità, la vostra innocenza la vostra purezza! E ciò sarebbe per impedire, che un fuoco ben più ardente non consumi la vostra esistenza, e non dissecchi la sorgente del vostro sangue; perchè non siate più esposta ad un pericolo mille volte più funesto di quello che vi manacciano gli elementi; il pericolo della mia maladetta e miserabil presenza.
Immalia non sapendo ciò che egli si volesse dire, ma commiserando l’agitazione in cui le pareva di vederlo, se gli avvicinò per calmare, se fosse stato possibile, una emozione, di cui non poteva conoscere nè la causa nè il nome. Pallida, con le chiome sparse le mani giunte sarebbesi detto che ella dimandasse perdono di un delitto, che ignorava. Tutto intorno a lei era selvaggio e terribile: la terra cospersa di pietra e di macerie intanto che le fenditure le quali erano nella volta, davano adito di tanto in tanto a dei lampi di una luce spaventosa e più orribile delle tenebre stesse. In mezzo a tanta desolazione Immalia rassembrava un angiolo disceso dal cielo come messaggiero di riconciliazione e di pace. Lo straniero le lanciò una di quelle occhiate, che nessun’occhio mortale, fuori di quello di lei aveva ancora potuto vedere senza spaventarsi; ma la cui espressione non fece che ispirare alla vittima una confidenza più completa. Forse un sentimento d’involontario terrore si mescolò a cotesta espressione allorchè questa bella creatura se gli gettò ai piedi, e col suo silenzio più eloquente delle parole lo supplicò ad aver pietà di lui medesimo. Tutto in lei indicava quella sommissione, che il cuore di una donna prova per le colpe, le passioni ed anco pe’ delitti dell’oggetto amato, Immalia da prima si era chinata avanti a quello che amava con la speranza di farlo piegare; quindi si pose in ginocchioni a qualche distanza da lui, e finì col prendergli la mano, ed appressarla alle sue scolorate labbra. Voleva pronunziare qualche parola, ma le sue lagrime, che bagnavano la mano, che teneva, non le permisero di proferire un accento. Questa mano le fece sulle prime una risposta stringendo quella di lei con un moto convulsivo; ma lo straniero non tardò a rigettarla: Ella rimase prostesa e spaventata avanti a lui.
Immalia, le disse lo straniero facendo forza a sè medesimo, desiderate che io vi spieghi quali sentimenti dovrebbe la mia presenza ispirarvi? — No, disse l’indiana portando le sue candide e delicate mani ora alle orecchia, ora al petto non lo sento, che troppo. — Odiatemi, maladitemi, continuava a dire lo straniero senza porre attenzione a quello, che diceva, Immalia, odiatemi, perchè ancor io vi odio: io odio tutto ciò che esiste, tutto ciò, che più non è, io stesso sono odiato e degno di esserlo. — Ma io non vi odio già; gli disse la povera indiana brancolando a traverso delle sue lagrime, per prendergli la mano, che egli ritirava. — Voi mi odierete, come tutti gli altri, se vi fosse noto chi sono ed a chi io servo.
Immalia chiamò in suo soccorso tutta la energia del cuore e dello spirito, che aveva recentemente acquistata per rispondere a cotesta espressione di lui, e si fece a dirgli così: io non so chi voi siate ma sono vostra; mi è ignoto a chi servite, ma servirò lui ancor io: io voglio esser vostra per sempre. Abbandonatemi, se così vi piace; ma quando sarò morta, fate ritorno a questa isola, e dite a voi medesimo: le rose fiorirono e si sono appassite; i ruscelli hanno corso dentro il loro letto e si sono disseccati, le rupe sono state da uno in un altro luogo trasportate; gli astri del cielo hanno variato il loro corso; ma esisteva un cuore, che non cambiava giammai, e questo cuore ora qui più non si ritrova! — Immalia la interruppe lo straniero. Essa lo guardò, e confusa tra la maraviglia e il dolore vide che a lui piovevano le lagrime dagli occhi; ma quasi subito egli le rasciugò con un gesto di disperazione, e digrignando i denti, diede in uno scoppio di quel riso convulso, che indica, che noi medesimi siamo l’oggetto delle nostre proprie beffe. Immalia, cui le sue sensazioni avevano affaticata all’eccesso, tremava in silenzio ai piedi di lui.
Ascoltami, giovanetta disgraziata, esclamò egli, e la malignità vedevasi in esso frammista alla compassione ed una inimicizia abituale ad una involontaria dolcezza, ascoltami. Conosco il sentimento segreto, contro il quale voi lottate più che il cuore innocente, che lo racchiude. Bandite da voi cotesto sentimento; distruggetelo; schiacciatelo come far potreste di un giovine rettile, prima che il tempo lo renda più ributtante e velenoso. — Io non ho mai in vita schiacciati rettili, rispose Immalia. — Voi dunque amate? ma sapete voi chi egli sia l’oggetto al quale consacraste l’amor vostro? — Siete voi; voi mi avete insegnato a pensare, a sentire, a piangere. E dunque per questo, che voi mi amate? Riflettete per un momento, Immalia, alla indegnità dell’oggetto, cui prodigate i tesori della vostra sensibilità. Nel suo esteriore nulla vi ha di attraente; le abitudini sue sono anzi ributtanti. Desso è separato dalla vita e dalla umanità per mezzo di un abisso impossibile a sormontare, è un figlio diseredato dalla natura, il quale va errando per tentare o per maladire i suoi fratelli più felici di lui, un ente, che..... Ma chi mai m’impedisce di potervi tutto svelare?
In quell’istante medesimo un baleno di una vivacità tale, che occhio umano non avrebbe potuto sopportare sfolgorò attraverso le rovine, e sparse per ogni dove una luce spaventosa. Immalia fu presa da un terrore e da una emozione involontaria. Ella cadde sulle sue ginocchia e si coprì gli occhi con ambedue le mani. In tale stato dimorò per alcuni momenti; le parve di sentir parlare a lato di sè, e che lo straniero rispondesse ad una voce, che gli dirigeva la parola. In mezzo al fragore del tuono, che romoreggiava in distanza non potè sentire, che le seguenti parole: Quest’ora è mia, non tua....... vattene.... non m’importunare.
Quando ella riaprì gli occhi, ogni segno di emozione era scomparso dal volto dello straniero. L’occhio arido ed ardente che fissava sopra di lei sembrava che non avesse mai conosciuta una lagrima; la mano con la quale la prese dava indizio che per essa il sangue non fosse scorso giammai, il tatto ne era freddo come quello della morte.
Misericordia! esclamò l’indiana tremando, ed indarno rintracciando in quegli occhi un sentimento di umanità che essa bagnata di lagrime implorava. Misericordia! e nel favellare così non sapeva ciò che dimandasse nè di che dovesse temere. Lo straniero non rispose e nessuno de’ muscoli di lui si rallentò. Sarebbesi detto, che egli la stringesse fra le sue mani senza sentirla, la guardasse senza vederla. La portò, o piuttosto la strascinò fin sotto a quell’ampia arcata, che un tempo aveva servito di vestibolo alla pagode, ma che nello stato di rovina a cui era ridotta, sembrava più presto simile alla bocca di una caverna, abitazione di belve, che ad una umana opera consacrata al culto di una divinità.
Voi avete implorato la misericordia, le disse il suo compagno con un tuono di voce, che le fece gelare il sangue; avete implorata misericordia e la otterrete. Io non ho potuto rinvenirla; ma sono andato io medesimo in traccia del mio destino terribile; la mia ricompensa è giusta ed assicurata. Alza gli occhi, donna timida, alza gli occhi, io te lo comando. Ella, per uniformarsi agli ordini di lui che adorava, con una infantile docilità li alzò; ma essi non poterono sopportare l’orrore dello spettacolo, che si parò loro d’avanti, e si richiusero.
Immalia quindi si avvicinò più da appresso alle rovine, e per la prima volta fremette nel contemplare la natura. Una tempo tutti i fenomeni di essa le erano sembrati ugualmente terribili o sublimi. Il vivo splendore il sole o il fosco orrore della tempesta contribuivano del pari alla involontaria divozione di un cuore il più puro. Ma dal momento, che aveva conosciuto lo straniero, cotesto cuore era stato messo in moto da emozioni non mai l’innanzi provate. Desso aveva appresso a piangere ed a temere, e forse anco nello aspetto terribile de’ cieli scorgeva lo sviluppo di quel misterioso terrore, che sta del continuo nascosto nel fondo del cuore di quelli, che osano di amare.
Immalia! esclamò dopo un breve istante di perfetto silenzio lo straniero; Immalia! vi par questo il luogo ed il tempo di parlare d’amore? La natura intiera trema, il cielo si è oscurato, gli animali si nascondono, le piante, le piante stesse fremono, quasi partecipino dell’universale terrore. Questo è il momento di ricorrere ad una valida protezione, gli rispose Immalia avvicinandosi a lui con timidezza. — Alzate gli occhi, e se vi manca la forza di resistere ai movimenti del vostro cuore permettetemi almeno d’indicarvi un oggetto di me più convenevole. Amate, soggiunse, tendendo le braccia verso il firmamento tinto di un color livido e rossastro, amate la tempesta in tutta la sua distruggitrice; unitevi con quei rapidi e perigliosi viaggiatori dell’aria, col fulmine, che ne squarcia il seno, col tuono, che li sommuove! Cercate un tutelare ricovero sotto coteste folte nubi, dentro coteste informi montagne che riposano nel vacuo. Cercate per compagno, per amante tutto ciò che la natura ha di più terribile, supplicateli che vogliano ridurvi in polvere, perite nei loro crudeli amplessi, e sarete più felice; sì più felice, che se aveste vissuto nel mio. Ma che dissi vissuto? Oh! chi può continuare a vivere dopo di essersi a me dedicato? Ascoltatemi, Immalia, ascoltatemi. Nel mentre che così le parlava strinse le mani di lei nelle sue; i suoi occhi fissi sopra di lei brillavano di uno splendore più vivo dell’ordinario, in tanto che un nuovo entusiasmo sembrava comunicare un moto inusitato a tutta la sua persona. Se volete esser mia, soggiunse dipoi, bisogna che ciò sia in mezzo ad una scena simile a questa, in seno delle fiamme e delle tenebre, dell’odio e della disperazione, in mezzo....
La sua voce non proferì più, che un grido diabolico di rabbia e di orrore; egli stendeva le braccia quasi volesse lottare contro qualche oggetto, che gli rappresentava la sua immaginazione, e si mosse dal luogo dove era con Immalia; questa trovandosi senza appoggio gli cadde ai piedi. La voce di lei era soffocata dal terrore, ma nulladimeno conservava per lui quell’attaccamento perfetto, che il cuore di una donna sa soltanto provare, ed alle sue terribili interrogazioni non rispondeva che con queste parole: Ancor voi sarete là? — Sì ancor io deggio esser là, e per sempre! E vorreste voi, osereste voi esserci in mia compagnia? Una selvaggia ed orribile energia dava alla voce di lui una forza straordinaria, intanto che egli indirizzava queste parole terribili all’amabile creatura, che distesa a’ suoi piedi sembrava simile all’affascinata tortorella, che si slancia nel becco dell’avvoltoio.
Una leggiera convulsione contrasse i lineamenti lividi dello straniero, ed aggiunse: Ebbene! dunque in mezzo ai tuoni io ti sposo, fidanzata della perdizione! tu sarai mia per sempre! Vieni, rinnoviamo i nostri voti sull’altare vacillante della natura; la maledizione dell’universo sarà la nostra benedizione nuziale.
L’indiana gettò un grido di spavento non a’ suoi discorsi, che ella non comprendeva, ma alla espressione da cui erano accompagnati. Vieni, aggiunse egli, affinchè le tenebre sieno i testimoni della nostra unione memoranda ed eterna. Immalia pallida, spaventata, ma costante si allontanò da lui. In quell’istante la tempesta, che aveva oscurato il cielo e danneggiata la terra si dissipa con la celerită ordinaria di que’ climi, ove questi fenomeni terribili, non durano che brevi momenti, e sono tantosto seguiti dalla più brillante serenità: a misura che lo straniero parlava le nubi si dissipavano ed incontanente apparve la luna con una lucentezza sconosciuta al cielo d’Europa. Allora la bella indiana indicandogli col dito la luna: sposatemi, le disse, a questa luce, ed io sarò vostra eternamente. E lo straniero se le avvicinò con de’ sentimenti, che nessun pensiero umano arriverà giammai a discoprire. In quell’istante medesimo un leggiero fenomeno venne a cambiare il destino di lei: una oscura nube si parò, onde toglier la vista del notturno pianeta. Sarebbesi detto che la tempesta radunasse gli estremi avanzi del suo passato furore, per dileguarsi quindi per sempre.
Gli occhi dello straniero si fissarono sopra d’Immalia con un frammisto orribile di tenerezza e di ferocia; le accennò le nubi, e disse: sposatemi al chiarore di questa luce, e sarete mia per tutti i secoli. Immalia fremette al sentire la mano di lui, che aveala stretta con forza. Cercò invano di scoprire l’espressione della fisonomia dello straniero, ma comprese bastantemente il pericolo per isfuggire dalle sue braccia.
Addio per sempre, gridò egli allontanandosi similmente da lei. Immalia spossata dalla emozione e dal terrore, era caduta priva di sentimenti sopra un mucchio di macerie che cuoprivano il sentiero della pagode rovinata. Lo straniero tornò indietro la prese sulle braccia; ella non dava segno di vita; i suoi lunghi capelli la coprivano tutta. Ella è morta, mormorò egli sottovoce. Ebbene! muoia ella mille volte piuttosto che esser mia!
Nel favellare così posò di nuovo l’immobil peso sulle macerie, ed abbandonò l’isola per mai più ritornarvi.