Melmoth o l'uomo errante/Volume II/Capitolo VIII
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CAPITOLO VIII.
Lo straniero stette per qualche tempo senza lasciarsi di sorta alcuna vedere, e quando ritornò pareva che le sue visite non avessero più il medesimo scopo di prima. Egli non curavasi più di corrompere i principii d’Immalia, di falsificarne il giudizio o d’indurla in errore in fatto di religione, anzi guardava un profondo silenzio intorno a quest’ultimo oggetto, e dava a dimostrare visibilmente un grande dispiacere di essere entrato in cotesta materia. Tutta l’avidità che Immalia esternava per fare acquisto di cognizioni, tutta la confidente importunità delle sue maniere non poterono ottenere neppure una parola di più su questo soggetto. Nulladimeno ne la ricompensò ampiamente sfoggiando avanti a lei l’erudizione abbondante e varia di uno spirito, che sembrava aver fato acquisto di maggiori cognizioni di quello che l’umana esperienza avesse potuto riunire nel corso di una lunga vita. Questa circostanza però non cagionò alcuna maraviglia nello spirito d’Immalia: essa non poneva alcuna attenzione al tempo, e l’aneddoto di ieri o gli annali de’ secoli trapassati erano contemporanei per la mente di lei, perchè i fatti, le date, i costumi differenti e la continuazione degli avvenimenti erano per la nostra bella Indiana egualmente stranieri.
Eglino si assidevano sovente la sera sulla riva, ove Immalia aveva la cura di preparare un sedile di musco pel suo amico, e contemplavano insieme ed in silenzio la vasta estensione dei mari; perciocchè la illimitata intelligenza d’Immalia, recentemente risvegliata, sentiva quel bisogno di espressioni, che un sentimento profondo imprime allo spirito meglio culto, e che in lei era aumentato ad un tempo e dalla sua innocenza e dalla sua ignoranza estrema. Per quello che riguarda lo straniero, egli aveva forse delle ragioni più forti da starsene in silenzio. Cotesto silenzio nulladimeno veniva alle volte interrotto; non passava vascello, anco in lontananza, che non porgesse materia ad Immalia di fare una interrogazione, ed allo straniero di dare una risposta, quantunque breve, evasiva. Le cognizioni di lui erano ciò non pertanto immense, e dai più piccoli canotti degli Indiani agli enormi e mal diretti navigli de’ Raiac, ovvero ai rapidi vascelli degli Europei, i quali, come altrettante divinità dell’Oceano, venivano ad apportare la fertilità, la scienza, le scoperte delle arti ed i benefizii della civilizzazione dappertutto ove gettavano l’ancora, avrebbe tutti quanti a lei potuto descriverli; di più non gli sarebbe stato difficile indicarle il destino di ciascheduno di essi, ed i sentimenti, i costumi e gli usi nazionali de’ diversi loro equipaggi; finalmente darle una istruzione tale, quale da nessun libro avrebbe potuto ricavare: perchè la conversazione è, fuori di ogni dubbio, il più sicuro mezzo di bene ammaestrare.
Non è fuori della probabilità il credere, che cotesto ente straordinario, in riguardo del quale le leggi della mortalità ed i sentimenti della natura parevano in certo modo sospesi, provasse nella conversazione con Immalia una specie di tristo e vago riposo, che gli faceva obliare il destino, che lo perseguitava in una maniera inevitabile. Noi non sappiamo, nè mai riusciremo a sapere quali furono i sentimenti, che gli ispirarono la bellezza innocente e priva di quantunque appoggio della vezzosa Indiana; ma è certo almeno, che egli cessò di riguardarla come sua vittima, e che ne’ momenti, che passava al fianco di lei ascoltandone le interrogazioni e facendole delle risposte, sembrava che egli gioisse de’ soli intervalli di felicità, che fossero stati allasua tenebrosa e dolorosa esistenza accordati. Allontanandosi da lei egli rientrava nel mondo per tentare gli infelici.
Lungi da lei lo scopo di lui era quale lo abbiamo antecedentemente descritto, ma alla presenza di lei cotesto scopo pareva in certo modo sospeso. Egli la guardava sovente con due occhi, lo splendore selvaggio e feroce de’ quali restava sommerso nelle lagrime, che egli affrettavasi a tergere per guardarla e contemplarla di nuovo. Intanto che egli riposava a lato di lei su’ fiori che ella medesima aveva colti per lui, intanto che contemplava le labbra di lei tinte di un tanto bel colore che vinceva la porpora e le rose e le quali non attendevano che un cenno di lui per atteggiarsi a proferir le parole, come i bottoni de’ fiori, che non osano aprirsi prima che il sole non gli abbia toccati coi suoi raggi, intanto che ascoltava degli accenti che non è possibile di finire, egli piegava il capo e rasciugava sulla sua fronte alcune goccie di gelato sudore, ed obliava per un momento la marca indelebile, che novello Caino portava seco dappertutto ma la profonda ed abituale tristezza della sua anima non tardava possessarsi di nuovo di lui. Egli sentiva il dente rettile, che non cessava un momento dal rodergli il cuore, ed il calore di quella fiamma che non si estingueva giammai. Egli rivolgeva lo splendore de’ suoi grandi occhi grigi sulla sola creatura, cui la loro espressione non avrebbe mai fatto fremere, perchè dalla innocenza renduta inaccessibile al timore. La contemplava attentamente, ma intanto la rabbia, la disperazione, la pietà gli laceravano a vicenda il cuore. Talvolta una lagrima espressa dalla umanità gli usciva dalle pupille, ma allora egli volgeva altrove lo sguardo e lo dirigeva verso il vasto Oceano, come se avesse voluto abbracciare il mondo intiero e trovare nell’aspetto della vita umana un qualche alimento al fuoco, che gli consumava le viscere. Cotesto Oceano sì puro, e sì placido, che si distendeva innanzi a loro non aveva giammai riflettuto due fisonomie più differenti o ispirato a due cuori de’ sentimenti più opposti. Immalia attingeva da esso quei soavi, e deliziosi pensieri, che natura ispira ai cuori innocenti. Dessi soli ponno veramente gioire dell’aspetto della terra, dell’Oceano e del cielo.
Allo straniero questa vista suscittava idee molto differenti. Egli la contemplava come una tigre guarda una foresta ripiena d’una preda abbondante. La sua immaginazione gli offriva ad un tempo infiniti naufragii, ed il naviglio che proseguendo il suo viaggio col più prospero vento e col cielo più sereno, urtava ad un tratto in uno scoglio a fior d’acqua e sommergevasi in un mare tranquillo; contrasto delizioso per la sua anima feroce e crudele. Alcuna volta prendevasi diletto di contemplare i navigli a misura che navigando passavano innanzi a’ suoi occhi ed a pensare seco stesso, che ciascheduno di essi rinchiudeva un ampio carico di disgrazie e di delitti. Le sue riflessioni però si estendevano principalmente sopra i vascelli europei, che si approssimavano alla riva tutti ripieni di passioni e di vizii di un altro emisfero, per trafficarvi l’oro, l’argento e le anime degli uomini, per ispogliare quei climi de’ loro ricchi prodotti, e ricusando agli abitanti una piccola porzione di riso, del quale abbisognano per sostenere la loro meschina esistenza; in fine per riportarne al loro ritorno in Europa delle passioni infiammate, delle costituzioni indebolite, de’ cuori esulcerati e delle coscienze, che non possono più prender riposo nell’oscurità.
Tali erano gli oggetti, che egli cercava di distinguere o di conghietturare; ed una sera avendogli Immalia fatte delle reiterate interrogazioni intorno ai vascelli, che ella vedeva in lontananza galleggiare sulle onde, egli le fece la descrizione del mondo a tenore della sua maniera di pensare, cioè con uno spirito di sarcasmo, di malignità e d’impazienza che in lui veniva principalmente suscitata dalla innocente curiosità di lei. Nella breve descrizione che le fece della società vi era un misto di tanto atroce amarezza, d’ironia e di spaventevole verità, che Immalia più d’una volta fu costretta ad interromperlo nel suo discorso con delle interiezioni di maraviglia, di dolore e di spavento.
Immalia che aveva rivolto gli sguardi non potè rimarcare questa espressione, e rispose: io non so come ciò possa succedere; ma voi mi avete insegnato a trarre la gioia dal seno stesso del dolore. Prima di avervi veduto io non faceva, che sorridere: ora piango e le lagrime mi sembrano deliziose. Oh! elleno sono ben differenti da quelle, che io versava pel sole allorquando tramontava o per le rose, che io vedeva appassire e seccarsi, ed intanto non so.... Mentre così favellava la povera Indiana oppressa da emozioni, che ella stessa non poteva nè comprendere nè spiegare, si pose ambedue le mani sul petto come per celare il segreto dei suoi palpiti novelli, e con un istinto di purità della quale non sapeva render conto neppure a sè medesima, si allontanò di alcuni passi, ed abbassò verso il suolo gli occhi, dai quali suo malgrado le lagrime scorrevano in abbondanza. Lo straniero parve turbato; una emozione, alla quale egli non era accostumato, lo agitò per un momento; quindi sorrise sdegnosamente, quasi volesse a se medesimo rimproverare di essersi per un momento abbandonato ad un sentimento umano; ma dopo un breve istante la sua fisonomia rasserenossi di nuovo al contemplare gli sguardi d’Immalia dimessi ed altrove rivolti. Egli sembrava esser capace di sentire il dolore; e pur ciò ostante era sempre pronto a farsi beffe di quello degli altri. Cotesto contrasto della disperazione, che si nasconde sotto la maschera della frivolezza si incontra non di rado. Il sorriso è figlio della contentezza e del piacere; ma sovente una ilarità fattizia si vede dominare sulla fronte della creatura la più oppressa dall’infortunio. Tale era l’espressione del volto dello straniero, quando rivolgendosi verso d’Immalia gli disse: Ma che significa questo discorso?
A questa interrogazione tenne dietro una lunga pausa; ma finalmente l’Indiana rispose non lo so, con quell’artifizio delizioso della natura, che insegna alle femmine ad esprimere i loro sentimenti con accenti, che sembrano dire tutto il contrario da quello che esprimono. Io non so in bocca loro significa lo so benissimo.
Lo straniero comprese il significato della risposta negativa d’Immalia, e godendo anticipatamente del suo trionfo aggiunse: E perchè i vostri occhi sono molli di pianto, Immalia? Io non so nulla, rispose l’infelice Indiana, e le lagrime intanto le cadevano più copiose dalle pupille. A queste parole, o per meglio dire a questo pianto lo straniero obbliò sè medesimo per un breve istante. Egli sentiva il doloroso suo trionfo, di cui il vincitore non può fruire; quel trionfo, che annunzia una vittoria riportata sull’altrui debolezza, a spese di una debolezza più grande ancora del nostro cuore. L’anima di lui fu riempiuta suo malgrado da un sentimento di umanità, onde con accento di una involontaria dolcezza le disse: Che vorreste dunque, che io facessi, Immalia?
Quando egli ebbe cessato di parlare, Immalia rimase per qualche tempo in silenzio facendo delle tristi e malinconiche riflessioni su quanto erale stato da lui comunicato. L’amara ironia delle parole dello straniero non aveva fatta alcuna impressione su di lei, siccome quella che non aveva potuto comprenderne il vero senso; dessa aveva unicamente inteso, lui aver favellato di disgrazie e di sofferenze; parole che le erano state incognite prima di averlo veduto; ed in certo modo pareva che lo ringraziasse, e nel tempo stesso gli facesse de’ rimproveri per averla iniziata ai terribili misteri di una nuova esistenza. Dessa avea gustato l’albero della scienza; i suoi occhi erano assorti, ma ne avea trovato amaro il frutto, e gli sguardi di lei dimostravano una soave e triste riconoscenza, molto addatta a lacerare il cuore di colui, che aveva data la prima lezione di dolore a quello di una creatura sì bella, sì amabile e piena di tanta innocenza. Allo straniero non isfuggì cotesta espressione e godette del suo trionfo.
Nel fare ad Immalia lo straniero un quadro esatto de’ vizii della società forse la sua intenzione era stata quella di distorla dal desiderio di contemplarla da vicino; forse nutriva egli una vaga speranza di tenerla guardata in quella solitudine, ove potrebbe qualche volta vederla, e respirare nell’atmosfera di purità che regnava intorno a lei il solo zefiro che rinfrescasse l’ardente solitudine, in seno alla quale scorreva la sua esistenza. Cotesta speranza acquistò un nuovo grado di forza quando egli vide l’impressione che i suoi discorsi avevano fatto sopra di lei. La fervida intelligenza, l’avida curiosità o la viva riconoscenza che prima le trasparivan dal volto eransi tutte diliguate, ed essa più non offriva, che uno sguardo umile, e dimesso, gli occhi pensierosi e nuotanti nelle lagrime.
La mia conversazione vi ha annoiato. Immalia! le dimando egli. Essa mi ha afflitto, gli rispose, e ciò non ostante vorrei continuare ad ascoltarvi. Mi diletta il sentire il mormorio de’ ruscelli, quantunque io sappia che sovente sotto di essi sta appiattato il coccodrillo. — Desiderereste forse d’incontrare alcuno degli abitanti di codesto mondo sì pieno di delitti e di miserie? — Se ve lo negassi mentirei altamente perciocchè da codesto mondo voi siete venuto e quando adesso vi farete ritorno, ciascheduno sarà felice fuori di me. — E che? Sta forse in mio potere di contribuire alla felicità degli uomini? È forse per questa ragione, che io vado errando in mezzo di loro? (E qui una espressione orribile e da non potersi così di leggieri definire, gli si dipinse in volto, quando aggiunse:) Voi mi fate troppo onore nell’attribuirmi una occupazione tanto piacevole, e sopra ogni altra cosa sì conforme al mio gusto ed a’ miei desiderii.
La difficoltà che ella incontrava di trovare delle espressioni che fossero intelligibili e nel tempo stesso riservate; che potessero far conoscere i suoi desiderii senza tradire il suo cuore e la natura sconosciuta delle sue nuove emozioni, fecero che Immalia stesse lungo tempo esitante prima di poter rispondere. Finalmente facendosi coraggio gli disse: restate con me, e non vogliate far ritorno nel vostro mondo, ove tanto abbondano i mali e le calamità. Qui i fiori saranno sempre freschi, ed il sole continuerà ad avere lo stesso splendore, di cui era rivestito il giorno, che in questo luogo compariste per la prima volta. Perchè volete voi ritornare nel mondo per pensare ed essere infelice? Il riso selvaggio e dissonante, cui abbandonossi il suo interlocutore a queste parole, la fece fremere e la rendette muta. Povera giovanetta! esclamò egli con quel misto di amarezza e di compassione, che, ad un tempo atterrisce ed umilia: E forse questo il destino, che io deggio compiere? Sono io fatto per ascoltar il melodioso canto degli augelli, per stare espiando il momento che i fiori crescano nel loro stelo e si aprano? È questa forse la mia sorte?
E diede in un altro scoppio di risa barbaro, è rigettò lungi da sè la mano che Immalia gli aveva tesa nel cessar di parlare. Oh! sì certamente! io son fatto per una simil sorte e per una compagna come voi? Ditemi, aggiunse con una ferocia che andava di mano in mano aumentando, ditemi se sono stati i miei lineamenti, la mia voce o i miei discorsi, che vi hanno ispirata l’idea d’insultarmi offrendomi la speranza della felicità nell’avvenire? Immalia senza comprendere il significato di ciò che egli diceva, ebbe assai di fierezza verginale per comprendere che lo straniero la rigettava. Un sentimento di dolore e di indignazione lottò contro la tenerezza del cuore, che si era già tutto a lui dedicato. Dessa guardò il silenzio per un momento quindi respingendo indietro le sue lagrime disse con un tuono risoluto e fermo: Andate dunque a trovar di nuovo il vostro mondo, giacchè voi volete essere infelice. Partite. Ahimè! che non è già necessario di andar là per esserlo, perchè io lo sono pur troppo qui. Andate; ma prendete con voi queste rose perchè esse si appassiranno quando voi sarete partito; prendete con voi queste conchiglie perchè io non avrò più piacere di portarle, quando voi più non le dovrete vedere.
Mentre favellava così ella andava distaccando con un’azione semplice, ma energica, i fiori e le conchiglie che le adornavano i capelli ed il seno, e glieli gettava ai piedi; quindi guardandolo con un dolore fiero e malinconico si andava da lui allontanando, quando egli gridò: fermatevi, Immalia, fermatevi ed ascoltatemi per un momento. Forse in quel momento avrebbe egli svelato il secreto profondo, inconcepibile, che inviluppava il suo destino; ma Immalia scosse con un mesto atteggiamento il capo, ed in un silenzio, che dal suo intenso dolore era renduto vieppiù più eloquente, si ritirò.