Melmoth o l'uomo errante/Volume I/Capitolo XIV

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO XIV.


Io non sono superstizioso di natura, ma entrando nella chiesa fui sorpreso da un tremore inesprimibile, che mi sembrava giungesse perfino all’anima. Mi avvicinai all’altare; provai d’inginocchiarmi, ma una mano invisibile mi respingeva, ed una voce terribile interna mi pareva che mi dimandasse, cosa io venissi a fare in quel luogo. Mi si affacciò spontaneamente il pensiero, che quelli i quali mi avevano nella preghiera [p. 351 modifica]preceduto, erano stati in essa assorti, quelli che mi dovevan seguire avrebbero renduto lo stesso omaggio alla Divinità, mentre io non era entrato in chiesa che con un progetto d’impostura e di perfidia; che abusava dei momenti consacrati al servizio di Dio per combinare i mezzi, onde abbandonare codesto servizio. Tremava del mio progetto e di me stesso: non per tanto mi sforzai d’inginocchiarmi quantunque non osassi pregare; i gradini dell’altare mi sembravano più freddi del solito e fremeva del silenzio che era obbligato a serbare. Ahimè! come possiamo noi sperare il successo di una intrapresa, che noi non abbiamo il coraggio di confidare a Dio! La preghiera, allorchè noi ad essa ci abbandoniamo con fervore non si limita già renderci eloquenti ma comparte una certa eloquenza ancora agli oggetti che ci stanno dintorno. Un tempo, quando io apriva a Dio tutto il mio cuore, mi sembrava che le lampade brillassero di una luce più sfavillante, che le immagini de’ santi mi sorridessero. La [p. 352 modifica]tacita atmosfera della notte si riempieva di forme e di voci, ed ogni soffio di zefiro, che sibilava al di fuori della mia finestra, mi apportava i soavi angelici concenti. Adesso tutto era silenzioso e tacito; le lampane, le sacre immagini, l’altare, la volta, le mura mi contemplavano in silenzio; dessi mi stavan d’intorno come testimoni accusatori, la cui sola presenza era sufficiente per condannarmi, ancorchè non aprissero bocca. Non osava io alzare gli occhi, non osava aprir bocca, e soprattutto non osava pregare, per timore di rivelare un pensiero, sul quale non poteva implorare la benedizione di Dio. Folle! io obliava allora esser cosa altrettanto inutile che empia, il pretendere di tener celato un segreto, che Dio non può ignorare.

Cotesta mia agitazione non era durata molto tempo quando intesi camminare; era l’uomo che io aspettava. Alzatevi, mi disse egli a mala pena arrivato, non abbiamo tempo da perdere. Voi non dovete fermarvi in chiesa che un’ora, ed in quest’ora [p. 353 modifica]ho ben molte cose da dirvi. Io mi alzai, ed egli proseguì: La notte di dimani è fissata per la vostra fuga. — La notte di dimani! Dio Onnipossente! — Sì; ne’ progetti disperati vi è sempre minor pericolo coll’affrettarsi, che col languire. Già mille occhi e mille orecchi ci stanno espiando; un solo movimento falso od equivoco ci porrebbe nella impossibilità di sfuggire alla loro vigilanza. Nell’affrettarci in tal modo vi può essesere del pericolo; ma è un male inevitabile. Dimani, suonata che sarà la mezza notte, scendete alla chiesa: egli è probabile che non vi sia alcuno; se per caso trovaste qualche religioso intento a pregare o meditare, ritiratevi onde evitare ogni sospetto, e ritornate quando la chiesa sarà libera: io pure ci sarò. Vedete voi questa porta? dicendo così mi accenno col dito una porticina, che io aveva marcata sovente, ma che non mi ricordava di aver veduta mai aperta. Io n’ho ottenuta la chiave, aggiunse, ne v’importi sapere per qual mezzo. Questa conduce ad un sotterraneo [p. 354 modifica]che anticamente serviva di comune sepoltura, ed il quale comunica, per quanto mi è stato detto, con la cateratta che si vede nel giardino. — Per quanto vi è stato detto! ripresi io. Giusto cielo! sopra una voce vaga dunque voi vi affidate in un affare di tanta importanza? Se non siete sicuro, che questo passaggio esista, so non ne conoscete perfettamente la direzione, noi possiamo errare dentro il sotterraneo per tutta la notte, e forse.... — Non mi interrompete più con tante deboli obbiezioni. Io non ho tempo di porgere orecchio a de’ timori che non posso nè sentire nè dissipare. Se noi per mezzo della cateratta arriviamo sani e salvi al giardino, un altro pericolo ci sta preparato. Qui egli arrestossi, come un uomo che voglia veder l’effetto del timore, che egli stesso ha fatto nascere, non già per cattivo cuore, ma per vanità e per far risplendere sempre più il suo coraggio. Io guardava il silenzio, ed egli non veggendo in me nè disposizione di fargli degli encomi nè timore, proseguì a dire: [p. 355 modifica]due cani di enorme grossezza sono tenuti sciolti nel corso della notte nel giardino; bisognerà farli tacere. Il muro ha sedici piedi d’altezza; vostro fratello si è procurato una scala di corda che ci porgerà, e per mezzo della quale voi potrete discendere con sicurezza. — Con sicurezza! ma Giovanni potrà correre qualche rischio? — Non m’interrompete di grazia; il pericolo che noi incorreremo nel muro del convento è il minimo che ci sia preparato: quando ne saremo usciti dove troveremo un asilo ed il segreto che ci è necessario? Il danaro di vostro fratello vi metterà forse in grado di abbandonare Madrid. Egli ne spargerà molto, e ciascuno de’ vostri passi sarà contrassegnato dal suo oro; ma in seguito i pericoli si presenteranno in tanto numero, che l’intrapresa ci sembrerà appena incominciata. Come traverseremo noi i Pirenei? Come..... e dicendo così si passò la mano sulla fronte come un uomo che imprenda a fare uno sforzo al di sopra de’ suoi mezzi, e che si trova nel [p. 356 modifica]più grande imbarazzo prima di poter effettuare il suo disegno. Cotesto movimento mi sembrò tanto pieno di sincerità, che ne fui vivamente colpito. Desso servì di contrappeso alle mie prevenzioni; intanto quanto maggior confidenza egli m’ispirava, più io partecipava de’ suoi timori. Io incominciai a dire siccome lui: come farò definitivamente per salvarmi? Io posso mediante il vostro soccorso traversare cotesto sotterraneo labirinto, i cui freddi vapori mi fanno gelare già in immaginazione. Posso arrivare a trovar l’aria e la luce, salire e scendere la muraglia; ma dopo tutto ciò, come salvarmi? Come farò per sussistere? — Questo sarà pensiero di vostro fratello, rispose egli seccamente, io ho fatto quanto aveva intrapreso di fare.

Gli feci in seguito diverse altre interrogazioni sulle particolarità della mia fuga; le sue risposte furono monotone, evasive, e tanto poco soddisfacenti, che sentii rinascere in me tutti i sospetti, tutti i timori di prima. Gli dimandai come aveva fatto [p. 357 modifica]a procurarsi la chiave. Ciò non vi deve importare. Questa fu la risposta uniforme, che ricevetti non solo a questa interrogazione, ma a tutte le altre che gli feci sulla maniera con cui si era procurato i mezzi di facilitare la mia fuga. Alla fine fui costretto di rinunziare alla speranza di soddisfare la mia curiosità, e ritornando a quello che mi aveva detto, soggiunsi: Ma questo terribile passaggio vicino al luogo delle sepolture! La possibilità, il timore, che non ne usciamo più! pensate all’orrore di dover passare in mezzo a delle ruine sepolcrali, alla possibilità di traboccare sopra de’ morti, di riscontrare ciò, che io non oso dire; pensate all’orrore di trovarsi fra quegli enti che non appartengono nè ai vivi, nè ai trapassati, quegli enti che si compiacciono di cibarsi dei cadaveri e di vivere nel seno della corruzione. Non possiamo far di me passar vicino a cotesti sepolcri? — Che importa ciò? io avrei forse più di voi ragione di paventarli. L’ombra di mio padre, sorgerà [p. 358 modifica]forse dal centro della terra per fulminarmi?

Queste parole, ch’egli proferì per farmi coraggio, mi fecero invece fremere; desse erano pronunziate da un parricida, che menava trionfo del suo delitto, a mezza notte, in una chiesa, in presenza dei santi, le cui immagini silenziose sembravano penetrate d’orrore. Per obbliare, se fosse stato possibile, la sensazione che aveva in quel momento provata, ritornai a parlare dell’altezza del muro e della difficoltà di fissare la scala di corda senza essere osservati; ed egli mi rispose. Questo deve esser mio pensiero; si è provveduto a tutto. Io rimarcai che quando egli mi parlava in tal foggia volgeva gli occhi altrove e parlava con molta esitazione. Vidi alla fine che la cosa era omai senza rimedio, e che bisognava assolutamente che mi abbandonassi del tutto a lui. A lui! Grande Iddio! Quali furono le mie sensazioni quando rimasi convinto di questa necessità. Io era dunque in suo potere! questa idea mi penetrò nel più cupo dell’anima. Ciò [p. 359 modifica]non ostante non potei a meno di continuare a parlare delle difficoltà insormontabili, che mi pareva si dovessero opporre alla mia fuga. Allora egli perdette la pazienza, ed incominciò a rinfacciarmi la mia timidezza ed ingratitudine; quando io lo vidi rispondere col suo tuono naturalmente feroce e minaccevole, sentii verso di lui una confidenza maggiore di quando aveva egli cercato di illudere. In que’ suoi discorsi parte di rimostranza, parte d’invettiva, spiegava tanta abilità, intrepidezza ed arte che io cominciai a provare una specie di dubbia sicurezza. Se non altro fui convinto, che se v’era al mondo un uomo capace di liberarmi, non poteva esser se non lui; il timore gli era onninamente sconosciuto. Egli non aveva alcuna idea della coscienza; quando parlava del delitto da lui commesso era che per infondere in altrui un’alta idea della sua audacia. Io me ne accorsi alla espressione della sua fisonomia, perchè senza volerlo, lo aveva guardato in volto; i suoi occhi non erano in modo alcuno [p. 360 modifica]profondati dai rimorsi, nè erranti per effetto di timore; dessi si fissavano sopra di me fieri e minacciosi. Il pericolo non risvegliava in lui, che una sola idea, il desiderio cioè ed il bisogno di sormontarlo. Formava egli una intrapresa azzardosa come un giuocatore che si colloca dirimpetto ad un avversario degno di sè; e quando si trattava della vita o della morte, gli sembrava solamente che fosse rincarata la posta; forzato d’impiegare più talento e più coraggio, la necessità somministravagii i mezzi de’ quali aveva bisogno.

La nostra conferenza avvicinavasi al termine, quando ad un tratto mi venne l’idea di dirgli: ma come provvederete voi alla vostra sicurezza! Che sarà di voi, venuta che sia in chiaro la mia fuga? Il solo sospetto, che voi possiate averci avuto parte, non sarà forse bastante per esporvi ai più rigorosi gastighi? Che fia poi quando il sospetto divenisse la più incontrastabile certezza?

Mi è impossibile di descrivervi, signore, il cambiamento che si operò [p. 361 modifica]ne’ lineamenti del suo volto nel mentre che io pronunziava queste parole. Sulle prime mi diede un’occhiata senza parlare, e con un misto indefinibile di sarcasmo, di sdegno, di dubbio e di curiosità, e poscia si sforzò a ridere; ma i muscoli del suo volto non erano gran fatto arrendevoli da permetterglielo, e non poterono produrre, che una specie di riso sardonico, il cui orrore sorpassa qualunque immaginazione. Al vederlo mi sentii ghiacciare il sangue; alla fine egli mi rispose: credete forse che io sia tanto sciocco di affaticarmi per la vostra libertà a rischio di perdere per sempre la mia? a rischio di esser dato in mano alla inquisizione? (qui egli si sforzò a ridere di nuovo.) No, no, bisogna, che fuggiamo insieme. Potete voi supporre, che io prender volessi tanta parte in un’avventura, nella quale fossi il semplice confidente? Ho pensato al mio proprio pericolo; ho calcolata la mia sicurezza. La nostra posizione reciproca ha riunito per accidente due caratteri totalmente opposti, ma questa [p. 362 modifica]unione è divenuta omai inevitabile, inseparabile. Il vostro destino è collegato col mio con un vincolo, che forza umana non sarà in grado di rompere; noi non dobbiamo più separarsi in questo mondo; il segreto che ciascuno di noi reciprocamente possiede, è sotto la responsabilità dell’altro. Noi siamo scambievolmente gli arbitri dei nostri giorni, ed un momento di assenza può essere un momento di tradimento. Noi possiamo odiarci, tormentarci, venirci a fastidio a vicenda, lo che è peggiore dello stesso odio, ma separarci, giammai.

Il mio spirito provò un disgusto da non potersi descrivere a questo quadro di una libertà, per la quale io aveva tanto arrischiato. Esaminai la formidabile creatura, alla quale io doveva essere ormai, per così dire, incorporato. Egli già aveva incominciato ad allontanarsi, ma ad un tratto si soffermò per ripetermi le sue ultime parole, o piuttosto per osservarne l’effetto. Io era assiso su’ gradini dell’altare; l’ora era omai [p. 363 modifica]scorsa, le lampade che rischiaravano la chiesa non mandavano più, se non una debole luce, e la posizione era tale, che ad eccezione del suo volto e della mano che tendeva verso di me il rimanente suo corpo era involto nelle tenebre. I suoi lineamenti in luogo di esser feroci, non furono più, se non tetri e lugubri quando ripetè le parole: separarci, giammai; io deggio esser per sempre al fianco vostro: il suono grave della sua voce rimbombò come un tuono, dentro la chiesa; seguì un alto silenzio. Egli rimase nella sua positura ed io nella mia, non avendo avuta la forza di cambiarla. L’orologio suonò tre ore, e mi fece risovvenire che il tempo della mia preghiera era trascorso. Ci separammo e sortimmo dalla chiesa per parti diverse. I due religiosi che doveano subentrare, fortunatamente arrivarono un poco tardi; l’uno e l’altro erano ancora fra ’l sonno, di modo che non fecero a noi attenzione.

Io potrei più agevolmente porre dell’ordine nella descrizione di un sogno, signore, che farvi conoscere o [p. 364 modifica]darvi una leggiera idea di ciò che passò nel mio spirito nel corso della giornata susseguente. Ora mi pareva di essere stato di nuovo tratto nell’oscuro carcere, ove era stato un’altra volta tradotto; ora di esser libero; in un tale istante io era l’uomo il più felice, in un altro mi vedeva inseguito dalla forza armata. Le frequenti alternative della speranza e della disperazione ch’io provava, mi avevano tolte tutte le mie facoltà. Finalmente arrivò la notte, o piuttosto farei meglio se dicessi che comparve il giorno, perciocchè quella giornata era stata per me una vera notte. Tutto mi era propizio: i religiosi dormivano, ed aprii più volte la porta della mia cella onde meglio assicurarmene. Nessun passo sentivasi muovere ne’ corridoi, nessuna voce risuonava sotto un tetto che ricopriva tanti individui; uscii finalmente della mia cella e discesi nella chiesa. All’avvicinarmi di essa sentii una voce; mi ritirai spaventato: era quella di un vecchio religioso, ch’era ivi disceso per implorare da un santo, al quale [p. 365 modifica]egli professava una particolar divozione, la liberazione da un fierissimo dolore di denti. Al vederlo restai molto contrariato, tanto più che si fermò ad orare per lungo tempo, ed io temeva ch’egli fosse rimpiazzato da un altro; e diffatti vidi approssimarsi qualcuno. Mi rivolsi indietro, e la mia consolazione fu estrema scorgendo il mio compagno; con un segno gli feci comprendere ciò che m’impediva di entrare. Egli mi rispose con un altro cenno, e si allontanò di qualche passo facendomi prima vedere un piccolo fagotto con de’ panni pel nostro travestimento, quando fossimo entrati nel sotterraneo, ed un mazzo di chiavi che teneva celate sotto la veste. Quella vista mi rianimò, ed aspetta un’altra mezz’ora in una delle più insoffribili agitazioni di mente. Sentii suonare le due ore, e picchiai il suolo col piede con quella veemenza che la prudenza poteva permettermi. Presi alla fine una risoluzione disperata: entrai nella chiesa, ed inoltrandomi verso l’altare, m’inginocchiai su’ gradini. Il vecchio [p. 366 modifica]religioso mi vide, ed immaginando che io fossi andato per alcun motivo consimile al suo, mi si accostò invitandomi ad unire le mie alle sue preghiere onde ottenere una qualche tregua al suo malore. Feci sembianza di pregare insieme con lui, ma pur non ostante tremava riflettendo alla mia ipocrisia. Io profanava l’altare di Dio; era il peggiore degli scellerati, e stetti in quella positura fino a tanto che il vecchio si ritirò a passo lento. Per alcuni istanti dopo la mia inquietudine fu estrema pel timore che altri non sopraggiungesse, mi tranquillizzai però al sentire il passo fermo e deciso del mio compagno. Desso era già al mio fianco, e dopo aver pronunziato alcuni giuramenti, che mi sembrarono doppiamente terribili a cagione del luogo in cui eravamo, si affrettò di correre verso la porticina: egli teneva in mano il mazzo delle chiavi, ed io lo seguì come per istinto.

La porta era molto bassa, e per arrivarvi bisognò discendere quattro scalini. La mia guida vi inserì la [p. 367 modifica]chiave inviluppando il mazzo nella sua veste perchè non facesse rumore. A ciascuna prova, che egli faceva per farla girare, digrignava i denti, batteva co’ piedi il terreno. La serratura non voleva cedere. Cercate un lume, mi disse, prendete una lampada davanti ad alcuna di quelle figure. Il poco rispetto col quale egli parlava delle sante immagini mi ricolmò di orrore. L’azione che egli esigeva da me mi sembrava un vero sacrilegio. Vi andai ciò non ostante, e con mano tremante presi una lampada, con la quale gli feci lume nel mentre che egli si provava di nuovo ad aprire. In mezzo a questo nuovo tentativo noi ci comunicavamo scambievolmente ed a bassa voce i nostri timori. Non ho io inteso del rumore? — No, era solamente la eco di di questa maledetta chiave. — Mi par certo che alcuno si avvicini. — No; ma date un’occhiata nel corridoio. Allora non potrò più farvi lume. — Non importa; il più necesrio si è di non essere scoperti. — No, il più importante è di salvarci. [p. 368 modifica]

Io proferii queste parole con tale un coraggio, che fece rimanere stupefatto il mio compagno, e posando a terra la lampada unì i miei sforzi a’ suoi, onde far girare la chiave. La serratura resisteva sempre, e noi ci provammo di nuovo serrando strettamente i denti e ritenendo il respiro. Le nostre mani erano sanguinolenti. Invano noi.... anco un’altra volta tentammo....sempre indarno. Sia che la natural ferocia del mio compagno facesse a lui meno di me sopportare la contrarietà, sia che il suo coraggio, siccome non di rado occorre, fosse più sensibile ad un piccolo dolore fisico, che ai pericoli che minacciavano la sua vita, o per qualsivoglia altro motivo che io non so esprimere, egli si assise sugli scalini che conducevano alla porta, e si asciugò con le maniche della veste le grosse gocciole di sudore che gli irrigavano la fronte, e mi lanciò uno sguardo, che al tempo stesso esprimeva la rabbia e la disperazione. L’orologio battè tre ore; questo suono fece nelle mie orecchie l’effetto [p. 369 modifica]della tromba, che deve infallibilmente suonare nel giorno dell’universale giudizio. La mia guida giunse le mani con un dolore feroce e convulsivo, che avrebbe potuto somministrare l’idea della morte del peccatore impenitente, di quell’agonia senza rimorsi apparenti, e di quella sofferenza senza consolazione nè speranza. Noi siamo perduti, gridò egli, siete infallibilmente perduduto! A tre ore un religioso deve venire a meditare in chiesa. Quindi con un tuono di voce più basso e con un accento orribile: io sento già il rumore de’ suoi passi nel corridoio!

Nel mentre egli proferiva queste parole la chiave, che egli non aveva mai abbandonata, girò alla fine dentro la serratura. La porta si aprì, trovammo un passaggio libero ed in un batter d’occhio oltrepassammo la soglia. Nostra prima cura fu di levar la chiave e di serrare per di dentro; quindi di toglierci le vesti e rivestirci di quelle che la mia guida aveva seco recate. Durante cotesta operazione scoprimmo con piacere, che [p. 370 modifica]noi eramo stati da un falso allarme intimoriti e che nessuno era entrato in chiesa. Chiusa che avemmo bene la porta ci guardammo con una reciproca confidenza, ed incominciammo il nostro viaggio in silenzio e con sicurezza.

Con sicurezza! giusto cielo! io non paventava meno al pensiero del viaggio che intraprendeva in quel sotterraneo il quale un tempo aveva servito di sepolcro, e con un parricida per guida e compagno; ma un gran pericolo ci famigliarizza con quello che vi ha di più orribile. Se uno mi avesse raccontato di un altro quello che io allora faceva, lo avrei riguardato come il più temerario ed imprudente, e questo era io. Indarno mi sforzava di assuefarmici, dicendo, che non era se non per pochi momenti; indarno voleva persuadermi, che in intraprese di tal sorta associazioni simili erano inevitabili. Le pietre mi facevano traboccare; a qualunque passo che faceva mi sentiva gelare il sangue: una densa nebbia mi si parava innanzi agli occhi, e mi [p. 371 modifica]pareva che la luce divenisse di mano in mano più smorta. La mia immaginazione cominciava a turbarsi, quando udì le maledizioni, colle quali il mio compagno mi rimproverava la mia involontaria lentezza mi si affacciò per un momento l’idea, che io seguissi le vestigia di un demonio, che mi aveva sedotto, onde trascinarmi negli abissi.

Il nostro viaggio sembrava, che non dovesse avere più termine: il mio compagno volgeva a destra, a sinistra; s’inoltrava, retrocedeva, si arrestava (le sue fermate erano terribili!), quindi si avanzava di nuovo e prendeva un’altra direzione. Talvolta il passo era sì stretto, che per seguirlo io era obbligato di camminare con le mani e colle ginocchia, ed anco in tal positura io toccava la vôlta col capo. Era già trascorso un tempo considerabile, almeno secondo il mio calcolo (posciachè lo spavento non è buono calcolatore delle ore) quando il passaggio divenne così basso e stretto, che mi fu impossibile di procedere più oltre, e molte [p. 372 modifica]mi maravigliai che il mio compagno mi avesse avanzato. Lo chiamai, ma non ebbi alcuna risposta. Il passaggio o il pertugio era sì oscuro, che alla distanza di dieci pollici io non iscorgeva nulla: ed oltre a ciò doveva sorvegliare la lampada, che teneva con mano mal ferma, e che ardeva omai con una debolissima luce a motivo della bassa atmosfera del sotterraneo. Ad un tratto fui sorpreso da un istantaneo terrore, come da un accesso febbrile. Chiamai di nuovo senza che alcuna voce rispondesse alle mie grida. Nei momenti di periglio la nostra immaginazione è disgraziatamente fertile. Mi risovvenne, e non potei fare a meno di applicare alla presente mia situazione, la storia di certi viaggiatori che visitavano le catacombe delle piramidi di Egitto. L’uno di essi nel camminar carpone, come io faceva, si trovò tutto ad un tratto arrestato; ed o fosse per lo timore o per una conseguenza naturale della sua posizione, il suo corpo enfiò ad un punto, che non gli fu più possibile di avanzare nè di [p. 373 modifica]retrocedere, e di lasciar libero il varco ai compagni. Dessi erano già di ritorno, e veggendosi arrestati da quell’invincibile ostacolo, con le fiaccole vicine a spegnersi, e la loro guida spaventata a segno di non poter dar loro alcun consiglio, mossi da quell’impulso d’egoismo, che un pressante pericolo non manca mai di apprestarci, proposero di tagliare a brani le membra dell’infelice creatura, che impediva loro il passaggio. Intese il misero la orribile proposizione, ed il suo corpo, contraendosi per una convulsione muscolare, rientrò nelle ordinarie dimensioni. Fu tratto fuori dalla posizione penosa in cui si trovava; ma era stato soffocato dallo sforzo, e quivi lasciato inanime. Cotesto fatto, che per raccontarlo esigerebbe del tempo, si affacciò tutto ad un tratto ed in tutta la sua estensione al mio spirito. Ma che dissi al mio spirito? ai miei sensi piuttosto: io non aveva più che delle sensazioni, e nessuno ignora che il dolor fisico quando arriva all’estremo grado, fa tacere in noi ogni altra facoltà. [p. 374 modifica]

Io mi sforzava di ritornarmene, continuando a camminare colle mani e coi piedi, al luogo d’onde io era venuto, e vi riuscì. Credo, l’aneddoto di cui mi era sovvenuto, producesse sopra di me il medesimo effetto, che io letto aveva nella narrazione del fatto, e sentì realmente una contrazione nelle mie membra. Era uscito dallo stretto passaggio senza sapere il come, e bisogna bene che io facessi uno di quegli sforzi, di cui l’energia è tanto maggiore, chè non la sentiamo neppur noi medesimi. Checchè nè sia, io era in salvo, ma spossato e quasi senza respiro, con in mano la lampada che stava per ispegnersi, riguardando a me d’intorno, e non veggendo che le nere ed umide muraglie, e gli archi della vôlta che sembravano abbassarsi sopra di me, onde privarmi eternamente della speranza e della libertà. La lampada andava estinguendosi a poco a poco; io la contemplava fisso. Sapeva che la mia vita, e ciò che mi stava ancora più a cuore, la mia liberazione, dipendeva dalla cura che avrei [p. 375 modifica]posta perchè non si estinguesse, ciò non ostante la rimirava con occhio istupidito. La sua luce ad un tratto divenne quasi impercettibile, lo che mi scosse da quel torpore. Rivolsi lo sguardo intorno, ed un raggio un poco più vivo mi fece vedere un oggetto al mio fianco: mi sentì raccapricciare; e senza volerlo mandai un grido. Una voce mi disse: zitto! fate silenzio. Io non vi aveva lasciato, se non per riconoscere il passaggio. Ho scoperto il cammino, che conduce alla cateratta. Siate tranquillo; non parlate e tutto andrà bene.

Io avanzai tremando, e mi parve che il mio compagno tremasse ancor esso. Dopo un breve intervallo mi disse all’orecchio. — Mi pare che la lampada sia prossima a spegnersi. — Voi lo vedete. — Procurate di tenerla accesa per alcuni altri brevi istanti. Farò tutto il possibile, ma non posso, che ne seguirà? — Ci converrà perire. E disse queste ultime parole con un giuramento tanto orribile, che credetti, la vôlta dovesse cadere sopra di noi per [p. 376 modifica]ischiacciarci. Per quanta attenzione io ponessi alla lampada, vidi alla fine la sua debol luce tremolare ed impallidire come il sorriso della disperazione, e finalmente spegnersi. Non obblierò giammai lo sguardo che la mia guida gettò sopra di me quando la vide sul punto di terminare. Fu in quel momento medesimo, che un leggiero suono mi percosse le orecchie. Era il mattutino che i religiosi cominciavano a cantare nel coro, il quale era precisamente collocato al di sopra del luogo ove allora ci trovavamo. Quell’accordo di voci celesti ci fece fremere. Elleno ci annunziavano l’esistenza di un Dio, in tanto che noi sembravamo sordi al suo nome. L’effetto che produssero sopra di me fu terribile; caddi per terra, e non saprei dirvi se fu l’oscurità o l’emozione, che mi fece traboccare. Il mio compagno, dopo avermi con rozze maniere aiutato a rialzarmi, m’indirizzò la parola in un modo più rozzo ancora del suo braccio. Mi disse, con de’ giuramenti che facevano arricciare i capelli, non esser [p. 377 modifica]quello il momento di perdersi di coraggio e di lasciarsi sopraffare dal timore. Gli dimandai, tremando, cosa fare dovessi: Seguitemi, mi rispose, e cercate a tentoni il vostro cammino nella oscurità. Parole terribili! Quelli che ci fanno conoscere tutta la estensione della nostra disgrazia ci sembrano sempre malvagi, perchè il nostro cuore e la immaginazione ce la dipingono sempre men grande di quello che è. Noi amiamo di sentir la verità da tutt’altri che da noi stessi.

Io gli teneva dietro, circondato da una completa oscurità, e camminava carponi non essendomi più possibile di stare in piedi. Quella positura però non tardò molto a trasportarmi il sangue al capo. Primieramente mi sentii sbalordito, ed in seguito provai come una specie d’imbecillità: Mi arrestai; il mio compagno mormorò fra le labbra una bestemmia, onde io affrettai il mio andare come un cane che riconosce la voce del suo padrone. Già le mie vesti erano tutte in brani, e non mi rimaneva più pelle sia nelle mani sia nelle ginocchia. [p. 378 modifica]Nella testa aveva riportate molte contusioni urtando contro pietre acute ed irregolari, le quali guarnivano le pareti e la parte superiore di quell’eterno passaggio; ma ciò che io provava di disgustoso era un’ardentissima sete cagionata dall’aere spesso che da tanto tempo io respirava. Non potrei meglio paragonare cotesta sensazione, che a quella che verrebbe prodotta da un acceso carbone che ardesse dentro le nostre fauci. Indarno io cercava di umettare la mia bocca con qualche stilla di saliva, che non vi rinveniva se non del fuoco.

Tale era il mio stato, quando dissi con impeto al mio compagno, che mi era impossibile di andare più oltre. — Restate dunque e perite nel luogo ove siete, mi rispose egli bruscamente. Il più consolante discorso non avrebbe prodotto sopra di me l’effetto di queste parole. Codesta fiducia della disperazione, codesta temerità che sfidava il pericolo m’ispirarono un momentaneo coraggio, ma a che serve il coraggio in mezzo delle tenebre e della incertezza? Il [p. 379 modifica]passo vacillante della mia guida, ́il suo represso respirare, le bestemmie che non cessava di proferire fra’ denti, mi fecero presagire la nostra mala situazione, e non m’ingannai. Egli arrestossi alla fine, ed io intesi l’ultimo sospiro della disperazione, il digrinare dei denti, il batter delle mani che si univano o piuttosto percuotevansi l’una con l’altra pel sentimento involontario di un male senza rimedio. Io in quel momento era inginocchiato dietro di lui, e ripeteva ogni grido, ogni gesto che egli faceva, e con tale veemenza, che fece maravigliare lo stesso mio compagno. Egli m’impose silenzio proferendo un giuramento; quindi si sforzò di pregare; ma le sue preghiere rassomigliavano tanto a delle bestemmie, e le sue bestemmie avevano tanta somiglianza a delle preghiere inviate all’angelo delle tenebre, che io ripieno d’orrore lo supplicai di cessare. Si tacque egli, e per più di una mezza ora nessun di noi proferì un accento. Ci sdraiammo per terra come due veltri spossati dal lungo [p. 380 modifica]cacciare e che non siano più in grado d’inseguire la preda. Noi non ardivamo indirizzarci la parola; perchè i nostri discorsi non avrebbero servito che ad aumentare reciprocamente la nostra disperazione.

Questi momenti, che sembrarono eterni, erano nondimeno sul punto di terminare. Ad un tratto il mio compagno si alza e manda un grido di gioia. Io sulle prime lo credetti alienato di mente, ma non lo era perchè si mise ad esclamare: la luce! la luce! veggo la luce del cielo! noi siamo vicini alla cateratta! veggo il giorno! In mezzo all’orrore, che ne circondava, egli non avea cessato di tenere gli sguardi rivolti in alto, giacchè sapeva, che, purchè fossimo stati vicino alla cateratta, il più debole raggio di luce sarebbe stato visibile per motivo della oscurità, nella quale ci trovavamo. Egli aveva ragione, mi alzai con prestezza e scorsi la luce ancor io: da principio era quasi impercettibile, ma a poco a poco quel tenuissimo raggio cominciò a dilatarsi e divenir più brillante. [p. - modifica]Questa fu l’ultima traccia dell’uomo errante

Rom. Fase X.

[p. 381 modifica]Dopo un breve istante il vento piacevole e fresco del mattino ci fece sentire il suo alito prezioso.

Quantunque però la vita e la libertà sembrassero a noi cotanto vicine, la nostra posizione era ancor molto critica. La luce del giorno, che aveva fatto a noi di scoprire l’uscita del sotterraneo, poteva eziandio facilitare le perquisizioni dei nostri nemici: non v’era un momento da perdere. Il mio compagno mi propose di salire per primo, nè io ebbi il coraggio di fargli delle osservazioni in contrario. Era troppo in potere di lui, perchè mi fosse possibile di contraddirgli, e nel temро della giovinezza la superiorità nella depravazione sembra sempre una superiorità di potenza. Questo uomo era carico di delitti, e questi delitti lo rendevano in qualche forma sacro agli occhi miei. Non è difficile di acquistare a forza di delitti una cognizione prematura della vita. Egli ne sapeva più di me, e perciò io lo riguardava come la mia più preziosa risorsa in questa [p. 382 modifica]disperata intrapresa. Io lo temeva come un demonio; lo invocava come un Nume.

Acconsentii dunque a quello che mi proponeva. Io era molto alto di statura, ma esso più robusto di me; salì sulle mie spalle, io piegai sotto il suo peso, ma pure gli riuscì di sollevare la bodola. Tutto ad un tratto piena luce ci rischiarò entrambi; egli si abbandonò, e lasciando la bodola cadde con tanta violenza, che trascinò per terra me ancora. Gli operaii sono già al lavoro, gridò egli; se ci scorgono noi siamo perduti. Quella maladetta lampana ci ha rovinati; se essa avesse durato alcuni istanti di più, a quest’ora saremmo già arrivati al giardino, avremmo scavalcato il muro, e presentemente godremmo della nostra libertà, invece che ora.... Mentre così parlava si rotolava per terra agitato da una convulsione di disperazione e di rabbia. Quanto a me, io non trovava niente di terribile nella nostra situazione; noi perdevamo, egli è vero, una giornata, ma eramo [p. 383 modifica]liberati dalla più terribile delle inquietudini, dall’errare cioè nelle tenebre fino a che la fame e la sete non ci avessero spenti: noi avevamo rinvenuta la cateratta. Io riponeva la più grande confidenza nel zelo e nella pazienza di Giovanni, ed era sicuro, che se egli ci aveva aspettato in quella notte, ci aspetterebbe ancora nella seguente, e più ancora.

Feci tutte queste osservazioni al mio compagno; ma da’ suoi gemiti, dalle sue imprecazioni, dall’inquietudine, che la sua impazienza e disperazione gli cagionavano, rilevai la differenza che passa tra un uomo l’altro in un momento di prova. Esso possedeva il coraggio attivo; io il passivo. Esso era pronto ad arrischiare la vita, l’anima, il corpo quando si trattava di agire; ma quando trattavasi di soffrire e pazientare, io diveniva l’eroe della sommissione. Intanto che quest’uomo, malgrado la sua forza fisica e l’arditezza della sua anima, si rotolava per terra colla imbecillità di un fanciullo il quale si lascia sopraffare dalla [p. 384 modifica]collera, io era il suo consolatore, il suo consigliere, il suo sostegno.

Alla fine però lasciossi persuadere dalla ragione; e confessò che non ci rimaneva altro espediente se non di fermarci per ventiquattro ore nell’oscuro passaggio; ma tale è l’agitazione dello spirito umano, che questa misura, che poche ore prima sarebbe stata da noi accolta come il favore di un angelo, che s’interessasse alla nostra liberazione, ora non ci sembrava, se non un supplizio insopportabile. Noi eramo onninamente spossati; i differenti sforzi, che avevamo fatti nel corso di quella nottata potrebbero a mala pena concepirsi. Le sofferenze della nostra mente non erano state men vive di quelle del corpo, ed in tale stato noi dovevamo passare una giornata intiera in seno dell’oscurità e privi di ogni sorta di alimento.

Nè fu l’ultimo ad affacciarmisi il pensiero del compagno col quale io doveva passare quella giornata terribile; creatura che io abborriva, ma la cui presenza era ad un tempo [p. 385 modifica]stesso una maledizione irrevocabile ed una invincibile necessità. Noi rimanemmo dunque quivi in vicinanza della cateratta e senza comunicarci a vicenda i nostri pensieri. Ad un tratto la luce disparve: io non sapeva a che attribuire quel fenomeno, quando sentii piovere così dirottamente che non credo ne sia mai caduta in tanta copia, la quale penetrando per le fenditure della cateratta in meno di cinque minuti m’inondò completamente. Abbandonai il luogo dove io era, ma già era bagnato fino alle midolle. La pioggia fu seguita da un colpo di fulmine tanto violento, che immaginai Iddio venisse a raggiungermi negli abissi, ove io cercava di fuggire dalla sua giusta vendetta. Le bestemmie del mio compagno superarono quasi il fragore del tuono, cialmente quando sentissi tutto baguato e che l’acqua gli arrivava sino alla metà della gamba. Allora mi propose di ritirarci ove non potessimo essere offesi dall’acqua. Quando fummo arrivati in un luogo più [p. 386 modifica]riparato ci gettammo ambedue per terra fuori di stato di poter fare un movimento di più. Noi ce ne stavamo in silenzio, perchè l’uno e l’altro di noi sentiva un bisogno estremo di sonno, ed io pensai che quel riposo forse sarebbe l’ultimo per me; ma non ostante mi addormentai.




fine del volume quinto.