Meganira (1834)/Atto quarto
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ATTO QUARTO
SCENA PRIMA
Alcippo.
Non sì tosto ho potuto
Lasciar Logisto, e rimanermi solo,
Che qui ne son venuto
A farmi chiaro delle mie speranze;
Dianzi entro queste macchie
Raccogliendo lo stral, ch’avea provato,
Io scorsi questo velo sulla terra:
Raccolsilo, e compresi
Esser lo stesso, che da lei partendoj
Per la mia propria mano
Ebbe la donna mia,
Ecco rimiro pur quei propri fregi,
Son questi certamente i doni miei;
Di qui per certo credo,
Che Meganira in questi boschi ascosa
Attenda ora opportuna a’ suoi pensieri,
Ma quali essi si sieno
Divinar non saprei:
Ne men so per qual modo
Questo donato velo
Sia partito da lei,
Cercherolla quivi entro,
E d’ogni cosa prenderò certezza,
Occhi miei siate pronti
Nel chiuso delle frondi
A scorger quella amabile bellezza.
SCENA SECONDA
Melibeo, Alcippo, Meganira.
Mel. Oggi in queste contrade
Ciascun prova sua forza, e s’avvalora,
Ciascun rivede intento archi, e faretre,
Bramoso di vittoria
Ne gli onorati giochi
Della seguente aurora:
Ed io men vo solingo in questo monte
Schivo di rimirar feste pompose
Nè mi cal di corona,
Che mio valor potessi pormi in fronte;
A che peggio affannarmi,
E provar mia virtute,
Se bellissima Clori
Or non può rimirarmi?
O pena del mio cor tanto soave,
Che mi traggi dal petto,
Qualunque altro diletto,
Ritorna, omai, ritorna,
Che senza il tuo splendore
Il sol dell’alto ciel qui non aggiorna.
Alc. Abbominato strale
Ben fosti temprato
Da scellerata destra,
E con arte infernale.
Mel. Odo gridare Alcippo: io ben conosco
Dell’amico dolcissimo gli accenti,
Quale strana cagione oggi il conduce
A far questi lamenti?
Alc. O turbine mi porti in mezzo l’onde,
Ed ivi mi sommerga: o mi divori
Dente crudel di più terribil fera
O empio falmin m’avvampi, io già non posso.
Omai, salvo che in morte, esser felice,
Cotanto son vivendo
Misero, ed infelice.
Mel. Di lamentar non resta.
Pur dianzi il vidi lieto,
Qual passion fia questa?
Alc. Miserabilmente
Amata Meganira,
Colma di vero amor da’ patrj boschi
Movi a trovarmi tacita, romita,
Ed io per modo tal qui ti raccolgo,
Che ti tolgo la vita?
Ah pera il dì, ch’io nacqui, e la nudrice
Che pria mi strinse in fasce:
Pera il latte ch’io trassi
Fuor del materno seno
Perch’ei non fu veneno.
Mel. Non vo’ ch’ei stia più solo
O ricerchi conforto, o pur soccorso,
Seco a parte sarò d’ogni suo duolo,
O compagno, ed amico,
Perchè tante querele?
Perchè sì piangi, Alcippo?
Alc. Deh che favelli tu con esso Alcippo?
Io non son più colui,
A torto con tal nome altri mi chiama,
Son miserabil mostro,
Degno d’essere anciso
E più da chi mi ama.
Mel. Che sventura incontrasti
Dimmi, che sofferisti?
O pur che di crudele adoperasti?
Alc. Che di crudele adopro?
Puossi egli adoperar per destra umana
Cosa sì lagrimosa?
Sì terribil? sì ria?
Ho trafitto crudet la donna mia.
Mel. E cosa certa? o pure almen sospetto?
Deh raccontami appieno
Cotanta disventura, io certamente
Crederla mai non voglio,
Se non è ben secura:
Alc. Fosse egli, o Melibeo,
Fosse egli pur sospetto;
Ecco mira la benda.
Mel. Di cotesta tua benda io nulla intendo,
Hai raccolto nel core
Così fatto dolore,
Che l’interno concetto non dichiari,
Deh fammi pienamente manifesto
Tutto l’avvenimento
Di caso sì funesto.
Alc. Poi ch’io deggio morire ho gran conforto,
Che i duri affanni miei
A te siano palesi
Acciocchè tu li possa altrui ridire,
Onde i cortesi amanti
Vengano larghi a mie miserie estreme
Di ben dovuti pianti.
Già fui nelle contrade di Liconte,
Ivi amai Meganira,
Poi di cola partendo a lei fei dono
Di questo vel dorato,
Oggi ella essi condotta in queste piaggie
Sola celatamente a ritrovarmi,
Così m’ha fatto intendere Aretusa,
Io mossi a ricercarla, e capitai
Qui dentro a queste selve,
Che nate al mondo elle non fosser mai;
Era meco Logisto,.
Fratel di Meganira,
E mentre egli desira
Che d’un dardo incantato io faccia prova,
Tesi l’arco, e scoccai
Inverso un tronco in quegli sterpi chiuso,
Poi lo strale a raccor subito andai,
Vidi ivi sulla terra
Questa donata benda, e la conobbi,
Ed indi argomentai,
Esser la Ninfa mia quivi celata,
Onde di qui tolsi Logisto, e ratto
Son ritornato in queste macchie, ardendo
Quegli occhi rimirare, onde tutto arsi;
Lei non ho già mirato,
Ma ben di molto sangue
Ho veduto gli sterpi in terra sparsi;
Intendi il caso miserabile; ora
O Melibeo con le tue man m’uccidi,
O lascia ch’io mi scagli
Da qualche balza, e finalmente io mora.
Mel. Esser non può, ch’errino gli occhi tuoi,
Alcippo, in ravvisar cotesto velo?
Ale. Che dici, o Melibeo? ben creder puoi,
C’ho delle cose mie certa memoria.
Mel. Per avventura il vel, ch’a lei donasti
Ella perdè, forse ad altrui donollo,
Forse vago dell’oro
Alle sue belle mani altri rubollo.
Als. Chi come Meganira
Arde il vero amore
Sì mal non guarda gli amorosi pegni;
Per pietà, Melibeo,
Dici vane ragioni,
E la mia doglia consolar t’ingegni.
Mel. Ma se la trafiggesti?
Ove spariro le trafitte membra?
Morta dove è fuggita?
S’egli è pur verità, che l’impiagasti,
Forse ch’ella ferita
Si chiude entro l’albergo
De’ suoi più cari amici.
Alc. Se fosse, Melibeo, come tu dici,
Con Aretusa sua faria dimora,
Ch’ella altrui non conosce,
Con esso lei non è; solo, perch’ora
Di quello albergo io parto,
Che vi condussi il suo fratel Logisto,
Ah ch’ella è trapassata, il corpo spento
O lupo ingordo, od orso
Ha quinci tolto, e ne’ loro antri oscuri
Di quella alta beltà gran strazio fanno;
Misero me, quale altro amante in terra,
O si visse, o mori con tanto affanno?
O desir di vittoria
A che m’avete scorto?
O paterne foreste
Dogliomi forse a torto?
Viene fra voi la bella donna mia
Per darmi, ed ecco il perdo
Ah per qual duro modo, ogni conforto.
Mel. Non è vano il timore,
Lagrimi a suo talento;
Piangendo si rallenta un gran dolore.
Alc. Quando mai rimirossi, o Meganira,
Disavventura uguale?
Tu cadi saettata,
Ed il fratel ministra,
E l’amante discocca il fiero strale.
Mel. Vero ei favella; esempio
Miserabile ed empio.
Alc. Ninfa, che di beltà splendesti in terra
Mirabile, infinita,
Così da noi partita
Volgi pietosa il guardo a’ miei tormenti.
Senti, deh senti il suono
Di questo sen percosso,
Ascolta i miei lamenti in tanti guai,
Mira questi occhi molli,
Ch’asciutti in terra non vedransi mai,
Ben del commesso errore
Con pronta morte io pagherò la pena;
Ma tu benigna a questa man perdona;
Come d’alta beltade,
Così d’alta pietà porta corona.
Meg. Non far più che rimbombi,
De’ mesti gridi tuoi questa foresta;
Alcippo, eccomi presta
Ad ogni tuo conforto;
Deb che fai? le ginocchia alza da terra,
Perchè mi t’appresenti
Così tra vivo, e morto?
Alc. O pietà somma: da’ beati campi
Anima benignissima diparti
A consolare un’empio?
Mercede, o Meganira,
Che secondo il mio merto.
Or or di questo petto io farò scempio.
Meg. Frena la man, che fai?
Affisa gli occhi in me, son Meganira,
Forse obbliata m’hai?
Alc. Ben ravviso, ben veggio
La sempre incomparabile bellezza,
Ma cotanto l’offesi,
Che mirar non la deggio.
Meg. Ascosta in quelle piante
Dianzi raccolsi, Alcippo, i tuoi lamenti,
E chiaro so, come te stesso inganni,
Io mi son viva, e vegno
Non dagli Elisj campi,
Ma dal nostro Liconte: omai disgombra
Tanti non giusti affanni.
Alc. Se pur tu non adombri
Per consolarmi il vero,
Deh narra la cagione, onde ia qaci vepri
Così ti racchiudesti.
Meg. La ti dirò; correa bramosa intorno
Per ritrovarti, ma temea non forse
Io m’incontrassi in mio fratel Logisto;
Però colà m’ascosi infin che ’l giorno
Venisse meno, che per l’aria scura
Agli occhi altrui coperta
Cercar di te volea;
Sovraggiungesti, e saeltasti; ond’io
Vinta dalla paura
Nella più folta selva penetrai,
Ed a fuggire intenta
Il vel che mi donasti abbandonai.
Alc. Ma quello sparso sangue,
Che sulla terra vidi, onde venne egli?
Meg. Trasvolando lo strale
Mi punse, e non mi punse il braccio manco,
Non può dirsi ferita,
Così fu lieve il male:
lo con immensa piaga arei pagato
Il suon di tue querele,
Che mi fecer secura
Come inverso di me tu sei fedele.
Alc. Moviaino alle capanne d’Aretusa,
Là prenderem consiglio
Siccome ben conviensi
Al passato periglio.