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DEL CHIABRERA 297

     E provar mia virtute,
     Se bellissima Clori
     Or non può rimirarmi?
     O pena del mio cor tanto soave,
     Che mi traggi dal petto,
     Qualunque altro diletto,
     Ritorna, omai, ritorna,
     Che senza il tuo splendore
     Il sol dell’alto ciel qui non aggiorna.
Alc. Abbominato strale
     Ben fosti temprato
     Da scellerata destra,
     E con arte infernale.
Mel. Odo gridare Alcippo: io ben conosco
     Dell’amico dolcissimo gli accenti,
     Quale strana cagione oggi il conduce
     A far questi lamenti?
Alc. O turbine mi porti in mezzo l’onde,
     Ed ivi mi sommerga: o mi divori
     Dente crudel di più terribil fera
     O empio falmin m’avvampi, io già non posso.
     Omai, salvo che in morte, esser felice,
     Cotanto son vivendo
     Misero, ed infelice.
Mel. Di lamentar non resta.
     Pur dianzi il vidi lieto,
     Qual passion fia questa?
Alc. Miserabilmente
     Amata Meganira,
     Colma di vero amor da’ patrj boschi
     Movi a trovarmi tacita, romita,
     Ed io per modo tal qui ti raccolgo,
     Che ti tolgo la vita?
     Ah pera il dì, ch’io nacqui, e la nudrice
     Che pria mi strinse in fasce:
     Pera il latte ch’io trassi
     Fuor del materno seno
     Perch’ei non fu veneno.
Mel. Non vo’ ch’ei stia più solo
     O ricerchi conforto, o pur soccorso,
     Seco a parte sarò d’ogni suo duolo,
     O compagno, ed amico,
     Perchè tante querele?
     Perchè sì piangi, Alcippo?
Alc. Deh che favelli tu con esso Alcippo?
     Io non son più colui,
     A torto con tal nome altri mi chiama,
     Son miserabil mostro,
     Degno d’essere anciso
     E più da chi mi ama.
Mel. Che sventura incontrasti
     Dimmi, che sofferisti?
     O pur che di crudele adoperasti?
Alc. Che di crudele adopro?
     Puossi egli adoperar per destra umana
     Cosa sì lagrimosa?
     Sì terribil? sì ria?
     Ho trafitto crudet la donna mia.
Mel. E cosa certa? o pure almen sospetto?
     Deh raccontami appieno
     Cotanta disventura, io certamente
     Crederla mai non voglio,
     Se non è ben secura:
Alc. Fosse egli, o Melibeo,
     Fosse egli pur sospetto;
     Ecco mira la benda.
Mel. Di cotesta tua benda io nulla intendo,
     Hai raccolto nel core
     Così fatto dolore,
     Che l’interno concetto non dichiari,
     Deh fammi pienamente manifesto
     Tutto l’avvenimento
     Di caso sì funesto.
Alc. Poi ch’io deggio morire ho gran conforto,
     Che i duri affanni miei
     A te siano palesi
     Acciocchè tu li possa altrui ridire,
     Onde i cortesi amanti
     Vengano larghi a mie miserie estreme
     Di ben dovuti pianti.
     Già fui nelle contrade di Liconte,
     Ivi amai Meganira,
     Poi di cola partendo a lei fei dono
     Di questo vel dorato,
     Oggi ella essi condotta in queste piaggie
     Sola celatamente a ritrovarmi,
     Così m’ha fatto intendere Aretusa,
     Io mossi a ricercarla, e capitai
     Qui dentro a queste selve,
     Che nate al mondo elle non fosser mai;
     Era meco Logisto,.
     Fratel di Meganira,
     E mentre egli desira
     Che d’un dardo incantato io faccia prova,
     Tesi l’arco, e scoccai
     Inverso un tronco in quegli sterpi chiuso,
     Poi lo strale a raccor subito andai,
     Vidi ivi sulla terra
     Questa donata benda, e la conobbi,
     Ed indi argomentai,
     Esser la Ninfa mia quivi celata,
     Onde di qui tolsi Logisto, e ratto
     Son ritornato in queste macchie, ardendo
     Quegli occhi rimirare, onde tutto arsi;
     Lei non ho già mirato,
     Ma ben di molto sangue
     Ho veduto gli sterpi in terra sparsi;
     Intendi il caso miserabile; ora
     O Melibeo con le tue man m’uccidi,
     O lascia ch’io mi scagli
     Da qualche balza, e finalmente io mora.
Mel. Esser non può, ch’errino gli occhi tuoi,
     Alcippo, in ravvisar cotesto velo?
Ale. Che dici, o Melibeo? ben creder puoi,
     C’ho delle cose mie certa memoria.
Mel. Per avventura il vel, ch’a lei donasti
     Ella perdè, forse ad altrui donollo,
     Forse vago dell’oro
     Alle sue belle mani altri rubollo.
Als. Chi come Meganira
     Arde il vero amore
     Sì mal non guarda gli amorosi pegni;
     Per pietà, Melibeo,
     Dici vane ragioni,
     E la mia doglia consolar t’ingegni.
Mel. Ma se la trafiggesti?
     Ove spariro le trafitte membra?
     Morta dove è fuggita?
     S’egli è pur verità, che l’impiagasti,
     Forse ch’ella ferita
     Si chiude entro l’albergo
     De’ suoi più cari amici.