Meganira (1834)/Atto quinto
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ATTO QUINTO
SCENA PRIMA
Uranio, Aretusa.
Ur. Non t’affannar parlando
Aretusa, con me più lungamente;
Io nella vecchia etate
Cosa altra disiar non mi saprei,
Che rimirar nipoti,
I quai sul fin dell’ultime giornate
Chiudesser gli occhi miei;
Sia persuaso Alcippo;
Uranio è persuaso;
Ar. Egli tanto di foco ha chiuso in seno;
Tanto per Megauira
Si strugge, ch’oggimai quasi vien meno.
Ur. Non vo’, ch’egli si strugga disiando,
Struggasi dolcemente
E godendo, ed amando,
Ma fuor di queste nostre selve,
Amori ha ricercato?
Non era qui tra’ Caffj alcuna Ninfa,
Per cui fosse infiammato?
Ar. Chi de gli umani amori
Narrar saprà giammai,
Uranio, le cagioni?
Dimorando ne’ boschi di Liconte
Colà di Meganira egli fu preso:
Poi che qui ritornossi
Non cercò d’altra fiamma
Sendo già tutto acceso:
Ur. Adunque da quel tempo egli ha serbato,
Insino a questo giorno
La passion d’amore?
Certo, fra’ giovinetti ha da chiamarsi
Non d’incostante core.
Ar. Rivolge il secondo anno,
Ch’egli aspetta opportuna
Stagion di rivelarti
Il suo rinchiuso affanno.
Ur. Creduto arei, che di due mesi interi
Non corresse lo spazio,
E ch’egli non cangiasse
E desiri, e pensieri.
Certo che la sua Ninfa
Querelarsi non può di poca fede.
Ar. Troppo poca virtude
Assegni, Uranio, e troppo
Condanni d’incostanza
Tutta la gioventude;
Ma veggo a noi venir, s’io non m’inganno,
Alcippo, e Meganira;
E con lor Melibeo,
Fatti all’incontra, e con sereno aspetto,
Uranio, rassecura
L’animo lor: non forse di turbarti
Avessero paura.
SCENA SECONDA
Uranio, Aretusa, Alcippo, Meganira, Melibeo.
Ur. La Ninfa, Alcippo, che ti sta da Jato,
Si leggiadra, e si bella
Viene tra queste selve
Per prova far ne’ nostri giochi anch’ella;
S’io credo alla sembianza
Ella è de’ nostri boschi peregrina:
Vuol dunque cortesia
Ch’ella ne’ nostri alberghi abbia sna stanza
Tu non rispondi alla dimanda mia?
Mel. Per più nobil cagione.
Che di feste, e di giochi
Uranio, se ne vien questa straniera:
E chiede ogni ragione,
Che non per brevi giorni,
Ma quanto dura il corso di sua vita
Ella faccia soggiorno in tua magione:
Ben vuol fartene Alcippo
Caldissima preghiera,
Ma non ha per aprirti
Il suo desio, la lingua ben disciolta,
Onde invece di lui
Io ti dirò, tu dolcemente ascolta.
Ur. Taci non far preghiera
O Melibeo, nè voler far iscusa
Sovra il desir d’Alcippo,
Hammi detto Aretusa
Con distese parole i loro amori,
Voglio io, che in questo giorno
Si porga refrigerio a’ loro ardori;
Alcippo, io ti son padre,
E con paterna carità deggio io
Procurarti dolcezze,
E non pene e dolori.
Beltà tanto gentile
Quanto in te si rimira
Mi sforza, o Meganira,
A pregiarmi di te, come di figlia,
Omai con noi dimora
Carissima e diletta,
Alza da terra le modeste ciglia,
O desiata e degna
Di via più disiarsi
Nobile giovinetta.
Meg. Uranio, io mel conosco,
Tuo costume gentile,
E l’affetto paterno
Fa, ch’io non ti son vile.
In me pregio non è mio pregio solo
A vincer te possente,
Ch’io non son poco cara al tuo figliuolo;
Certo è ch’io non son bella,
Ma in quella vece io mi farò fedele,
Teco mi viverò, non come figlia,
Ma bensi come ancella;
E poi, che per ventura
Il mio fratel Logisto
Con esso noi dimora,
È mio sommo desio,
Ch’egli pur con sua mano
Mi faccia dono dello sposo mio.
Ar. E questo il colmo delle contentezze.
Entro le mie capanne ei dee trovarsi;
Colà moviamo il piede.
Mel. Via più, che non si crede,
Uranio, il tuo diletto esser dec forte:
De’ rei casi di morte
Sono costoro usciti:
Entriamo, e stupirai,
Come tu gli abbia uditi.