Massimiano Tiranno

Francesco Gnecchi

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Massimiano Tiranno Intestazione 10 febbraio 2017 75% numismatica

Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1894
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APPUNTI

di

NUMISMATICA ROMANA



XXXI.

MASSIMIANO TIRANNO


(anni 200 a 225 circa d. c.).


" Carneade!... Chi era costui? ruminava fra se Don Abbondio, seduto nel suo seggiolone, in una stanza al piano di sopra, con un libricciuolo aperto dinnanzi.... „1.

I miei buoni amici, aprendo la Rivista, potranno dire egualmente: " Massimiano tiranno!... Chi era costui? „.

Ed io pure, osservando un’ignota monetina, mi sono fatto per lungo tempo l’identica dimanda, alla quale non posso rispondere se non mostrando la moneta stessa riprodotta alla Tav. 1 in doppio esemplare, (n. 1 e 2), e dimandando a mia volta: Τίνος ἡ εἰκών αὕτη καὶ ἡ ἐπιγραφή;

La moneta è molto semplice:

D/ — IMP MAXIMIANVS P F AVG - Testa nuda e sconosciuta, a destra.

R/ — AEQVITAS AVG L’Equità a destra colle bilancie e un lungo scettro o un’asta. [p. 26 modifica] E il nome di Massimiano non è certamente ignoto nella numismatica romana. E anzi doppiamente conosciuto per due imperatori, i quali ambedue ci lasciarono una così abbondante copia di loro monete, da poter essere riccamente rappresentati in tutte le più umili collezioni.

Ma se il nome, che leggesi chiaramente sulla moneta è noto, ciò non basta perchè l’attribuzione, che parrebbe alla prima presentarsi come la più naturale, sia la giusta. Altri elementi, che pure giova considerare, all’infuori del nome, si oppongono a tale attribuzione, e, provando invece come la moneta non possa appartenere ne all’uno né all’altro degli imperatori che portarono il nome di Massimiano, ci mettono di fronte a quel nuovo Massimiano, che per distinguerlo dagli altri due abbiamo contraddistinto colla qualifica di tiranno.

Parrà strano che un nome nuovo possa venire ancora ad arricchire la lunga serie dei piccoli usurpatori romani, dopo tante collezioni che sono state compulsate, dopo tante ricerche e tanti studii; ma il fatto è tale, e credo se ne convincerà facilmente chi avrà la bontà di seguirmi in questa breve ricerca.

Incominciando dalla cronaca, dirò donde e come due esemplari diversi di una moneta cosi strana pervennero alla mia collezione. La prima (n. 1 della tavola) mi venne proposta dal Reno nell’aprile dello scorso anno, da quello stesso Sig. Lückger, che mi aveva procurato altre buone monete romane, fra cui il medaglione di Caracalla trovato a Colonia, che descrissi nel fase. II della Rivista, 1893. Come il medaglione di Caracalla, il denaro col nome di Massimiano fu trovato a Colonia, e precisamente negli scavi pel canale sulla piazza Apellhof, alla profondità di circa 3 metri e mezzo. Stava in una piccola urna, insieme ad una fibula. — L’impronta che mi [p. 27 modifica]veniva trasmessa in semplice stagnuola, mi arrivava assai sciupata; ma pure ancora in istato da lasciarmi vedere che il ritratto non corrispondeva a quello di Massimiano Erculeo, come la moneta era classificata, è come pareva dovesse indicare la leggenda; meno ancora poi a Galerio Massimiano, il quale poi sarebbe escluso anche dal titolo d’Augusto, che figura sul denaro. Sulle prime credetti che si trattasse di una falsificazione; pure, avendo i dati precisi sul ritrovamento da persona degnissima di fede, mi feci spedire la moneta; e quando l’ebbi ricevuta, dovetti persuadermi che si trattava di un pezzo assai curioso e interessante, ma la cui autenticità era al disopra di ogni sospetto.

La conservazione ne era eccellente, la leggenda chiarissima; pure la moneta, sia pel tipo della fabbrica, sia per la qualità dell’argento, sia poi specialmente per l’effigie rappresentata, non poteva in nessun modo essere attribuita a Massimiano Erculeo.

Ritenni per qualche tempo il denaro unico e inedito; ma poi, guardando, per non so quale altra ragione, il volume VI della seconda edizione del Cohen, con mia sorpresa lo trovai descritto e anche disegnato, precisamente al n. 9 di Massimiano Erculeo, dove è citato un simile ma non identico esemplare appartenente al Sig. Rollin. Scrissi tosto a Parigi e non mi fu difficile avere anche quel secondo esemplare tav. I, n. 2, il quale, appartenente già alla collezione del Barone de Witte, giaceva da molti anni nei cartoni dei Sigg. Rollin et Feuardent, senza che avesse destato l’interesse di nessun raccoglitore, forse appunto perchè erroneamente classificato.

Questo secondo denaro, di autenticità pure indiscutibile, è di conservazione assai meno buona di quello di Colonia e da qualche depressione o mancanza di metallo, visibile principalmente al rovescio, lo [p. 28 modifica]si direbbe riconiato su altra moneta, come è il caso per esempio delle monete di Druantilla. I due denari sono prodotti da conii differenti; pure ambedue hanno il medesimo tipo di fabbrica e il medesimo argento, e il principe rappresentato si vede evidentemente che è lo stesso nei due esemplari. — Il Sig. Rollin, avendo sott’occhio il solo esemplare mal conservato e nel quale i tratti della barba erano quasi completamente scomparsi, trovò nel ritratto, come c’è difatti, una grande rassomiglianza con quello di Costanzo Gallo, circostanza, che lo indusse, non potendo attribuire la moneta all’epoca di Massimiano Erculeo, e, non osando fare un’ipotesi più arrischiata, a supporre che essa fosse restituita da Costanzo Gallo. Difatti egli accompagna la sua descrizione colla nota seguente: " Cette médaille, dont le portrait est cxactcmcnt celili de Constance Galle, parait être de restitution „.

Ora tale ipotesi mi pare assai facilmente impugnabile. Se è vero che il ritratto può a tutta prima, nel denaro un po’ consunto di Parigi, richiamare i tratti di Costanzo Gallo, per la faccia allungata, per la foggia della capigliatura, e per la mancanza della barba; tale somiglianza diminuisce assai e si può dire che sfugga nell’esemplare ben conservato di Colonia, il quale ci presenta un uomo barbuto, dell’apparente età di almeno 40 anni. E superfluo l’accennare come di barba non vedasi mai traccia sulle monete e sui medaglioni di Costanzo Gallo, il quale è sempre rappresentato imberbe e con faccia giovanile da cinque a sei lustri, quale egli era appunto.

Ma, data pure una accidentale somiglianza, davvero io non vedrei in ciò alcuna ragione per venire alla deduzione di una moneta di restituzione. Non s’è mai dato il caso — almeno a mia conoscenza — che un imperatore restituisse una moneta di un suo [p. 29 modifica]predecessore, ponendovi il proprio ritratto in luogo di quello dell’imperatore restituito, cosa che del resto parrebbe anche contradditoria. E poi, delle caratteristiche abbastanza note delle monete di restituzione non ne troviamo alcuna in questa moneta; ne la leggenda del rovescio che vi alluda, né il tipo della rappresentazione che vi si riferisca, e neppure abbiamo il caso dativo nella leggenda del diritto.

Se non bastassero poi questi argomenti, ve n’ha un altro ancora più grave, per cui il denaro non può attribuirsi all’epoca di Costanzo Gallo. Non parlo della difficoltà storica di spiegare una tale restituzione isolata d’un principe vissuto alla distanza di oltre sessant’anni. L’argomento è per così dire tecnico e perciò assai più stringente. Il tipo della fabbrica e l’argento, se non possono attribuirsi all’epoca di Massimiano Erculeo tanto meno possono, per le medesime ragioni, attribuirsi a quella di Costanzo Gallo. — L’ipotesi quindi di una restituzione è assolutamente da abbandonarsi, come priva di ogni fondamento.

Ma veniamo ora a considerare la moneta in se stessa. Che il ritratto rassomigli più o meno a quello di Costanzo Gallo è cosa che riesce molto indifferente e inconcludente pel caso nostro. Quello invece che ci interessa è la constatazione che esso in in può in alcun modo adattarsi a Massimiano Erculeo, come aveva ben avvertito anche il Sig. Rollin, I tratti di Massimiano Erculeo sono essenzialmente differenti e per chi non li avesse abbastanza bene in mente, ho riprodotto alcune teste di quest’ultimo nella tavola, onde stabilire un confronto.

Oltre alla differenza essenziale delle fisionomie si noti poi anche un altro particolare. Tutte le monete di Massimiano Erculeo in oro e in argento portano la testa dell’imperatore laureata. Un solo [p. 30 modifica]aureo fa eccezione, avendo la corona radiata, qualche altro per essere adornato dalla pelle del leone alla loggia d’Ercole; ma nessuno ha la testa nuda. E del resto tutte coronate sono sempre le teste degli Augusti nei tempi che lungamente precedono quelli di Massimiano, come nei seguenti fino a Magnenzio. I soli Cesari sono rappresentati a capo scoperto. Il nostro denaro contiene quindi in se stesso qualche cosa di irregolare, proprio d’un tiranno, ma non d’un autentico imperatore; e noi possiamo fin d’ora stabilire che esso non deve in nessun modo attribuirsi a Massimiano Erculeo.

Il tipo barbaro della moneta, oltreché dalla fabbrica e dalle traccie di una riconiazione, visibili in uno degli esemplari, è constatato anche da un’altra considerazione, che emerge dalla rappresentazione del rovescio. L’Equità è rappresentata da una figura femminile colle bilancie e un lungo scettro o se si vuole un’asta. Ora questa rappresentazione dell’Equità venne introdotta da Galba in alcuni suoi bronzi precisamente con questi emblemi, le bilancie e lo scettro o l’asta; così venne continuata pure nelle monete di bronzo di Vitellio, Vespasiano, Tito e Domiziano, in alcuni bronzi e in un denaro d’Adriano e finalmente in un denaro d’Antonino; ma. dopo quest’epoca, viene senza eccezione per tutta la durata dell’impero abbandonato lo scettro ed in suo luogo adottata la cornucopia, introdotta primieramente da Nerva. Se noi passiamo tutte le monete portanti la rappresentazione dell’Equità da Antonino fino a Costantino vediamo che questa è invariabilmente rappresentata da una figura femminile che porta per emblemi le bilancie e la cornucopia. Una moneta isolata (e che pure deve essere stata coniata in questo lasso di tempo), che offre una rappresentazione diversa dall’uso generale, non può essere stata coniata che in [p. 31 modifica]una piccola zecca di provincia sia dell’Oriente, sia della Germania o della Spagna, dove forse si prese a modello un antico denaro d’Adriano o d’Antonino, il che potrebbe forse spiegare anche perchè la testa dell’imperatore fu incisa senza corona.

Alla osservazione mossami da un amico, che un usurpatore in luogo d’una rappresentazione così piana e così banale come quella dell’Equità, ne avrebbe preferita una più caratteristica, più immaginosa, più significativa, rispondo citando semplicemente l’esempio di quasi tutti gli altri usurpatori. Si osservino, ad esempio, le monete di Pacaziano, di Regaliano, di Jotapiano, di Mario; quali rovesci strani troviamo noi sulle loro monete? Nessuno, e invece tutti questi tiranni stamparono sui rovesci delle loro monete: CONCORDIA, FELICITAS, FIDES, FORTVNA, LIBERALITAS, ORIENS, PAX, PROVIDENTIA, VICTORIA, e così via, perfettamente equivalenti all’ÆQVITAS del nostro Massimiano. Del che mi pare d’intravvedere anche chiaramente la ragione. Era interesse di questi usurpatori che le loro monete avessero corso nell’impero, e perciò mettevano ogni cura a fabbricarle in modo che avessero ad assomigliare il più possibile a quelle imperiali. Nè varrebbe citare a questo proposito l’esempio di Carausio, il quale, trovandosi nella sua isola in posizione eccezionale, poteva sbizzarrirsi a piacere coniando monete coi rovesci più strani e con leggende nuove e speciali. Tutti gli altri usurpatori si attennero al sistema più prudente e più pratico dell’imitazione, sistema che venne poi seguito e perfezionato dai numerosissimi usurpatori medioevali.

Se ora poi consideriamo gli elementi che ci rimangono, il tipo della fabbrica, affatto differente da quella dei denari di Massimiano Erculeo, la qualità dell’argento, ben lontana dalla purezza di quello dell’epoca dello stesso Massimiano, e i [p. 32 modifica]caratteri, nei quali sta specialmente la pietra di paragone per giudicare delle epoche, dovremo necessariamente ammettere che la moneta fu coniata in altra epoca, in epoca anteriore; e tale epoca potremo facilmente identificarla, dietro la scorta degli accennati elementi, in quella dei tempi d’Elagabalo o giù di lì. I numerosi denari di tipo un po’ barbaro o diremo orientale di Caracalla, Geta, Elagabalo, quelli di Giulia Socmiade, di Giulia Mesa, d’Aquilia Severa o anche d’Alessandro Severo, presentano lo stesso identico aspetto, tanto che, collocando il nostro denaro fra questi e lasciandone visibile il rovescio, lo si riterrebbe precisamente a suo posto.

Considerando finalmente anche il peso (per quanto può valere quest’argomento in monete barbare o semi-barbare) vediamo che i due denari, pesando l’uno gr. 2,900 l’altro 2,500, si accordano assai meglio con quelli di Caracalla o d’Elagabalo, i quali, stanno sempre al disotto dei tre grammi, offrendo una media di gr. 2,850 circa, che non con quelli di Massimiano Erculeo o degli Augusti suoi contemporanei, i quali eccedono sempre i tre grammi, e danno una media di gr. 3,200.

La conclusione viene dunque logica e spontanea. Il denaro non può appartenere a Massimiano Erculeo; ma, avendo tutti i caratteri di una moneta barbara e anteriore, e portando il nome di Massimiano e un ritratto ignoto, deve necessariamente appartenere a un terzo Massimiano (che cronologicamente sarebbe il primo), la cui epoca deve aggirarsi intorno al primo quarto del terzo secolo.

Ora, chi è questo terzo Massimiano che coniò moneta al suo nome e col titolo d’Augusto? Quando, dove e quale potere effimero esercitò questo ignoto tiranno? Ecco il punto sul quale, per quante [p. 33 modifica]ricerche io abbia fatto, non sono in grado di portare la minima luce.

Ho frugato nelle biblioteche, ho interrogato molti dotti italiani ed esteri; ma nessuno m’ha potuto dare indicazioni non dirò precise; ma neppure approssimative nell’ingrata ricerca. Il solo che riuscì a scovare il nome di un Massimiano, che sarebbe vissuto appunto in quell’epoca, ossia al tempo di Alessandro Severo, fu il Sig. R. Mowat di Parigi, che da lungo tempo mi onora della sua amicizia, che segue con amore quanto riguarda la numismatica romana, e dal quale ebbi già in altre occasioni esatte informazioni e preziosi consigli. Egli m’indirizzò all’Onomasticon del De Vit, dove è citato un Massimiano con queste parole: " Quidam ad quem extant rescripta duo Imp. Alexandri data a. 223 et 224 in Cod. 7, 57, 2 (a. 223) et 5. 62. 6 (a. 224), dummodo ad eandem personam pertineant „.

Mi parve sulle prime che la scoperta di tale personaggio fosse estremamente significativa pel mio assunto, che il tiranno della mia moneta fosse trovato; ma poi, meglio riflettendo, mi accorsi che ne eravamo ancora lontani parecchio. Quantunque il nome concordasse e l’epoca coincidesse perfettamente colle mie supposizioni, come attribuire una moneta che porta il titolo d’Augusto ad un personaggio cui l’imperatore inviava dei rescritti? Bisognava supporre che tale personaggio si fosse rivoltato al suo legittimo Signore e ne avesse usurpato il potere...; ma tutte queste non erano che: supposizioni delle più arrischiate, e, invece di stare nel campo storico, si entrava di nuovo in quello delle induzioni più fantastiche. Senza abbandonare quindi questa lieve traccia, è giusto tenerci in prudente riserva e rassegnarci per ora a confessare la completa ignoranza sul personaggio; notando però che il mistero [p. 34 modifica]che regna intorno a lui non è punto una smentita né una prova contraria al mio asserto.

Si trovò il pianeta Urano parecchi anni dopo che Leverrier ne aveva segnalata l’esistenza. Potrebbe darsi che ulteriori ricerche storiche facessero un giorno o l’altro identificare anche il tiranno ora semplicemente segnalato, e fra le possibilità c’è quella che il tiranno si scoprisse essere appunto quel Massimiano citato del De Vit. Ma, se anche non si riuscisse mai a sapere qualche cosa di storicamente accertato, io non potrei che ripetere, dietro la scorta del mio denaro: Eppure in oriente, o in qualche altra provincia dell’impero romano, un tiranno dal nome Massimiano e nel torno degli anni 200 a 225 dell’era volgare, ci deve essere stato!

Ad ogni modo poi non sarebbe questo il solo caso nella serie romana di un nome tramandatoci unicamente dalle monete.

Milano, Gennaio 1894.


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Note

  1. A. Manzoni, I Promessi Sposi, Capitolo VIII.