Lirica (Ariosto)/Canzoni/I. - Pregato dalla sua donna, descrive...
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I
Pregato dalla sua donna, descrive il trionfo d’amore che ella riportò, con la sua bellezza, su di lui, legandolo d’un nodo indissolubile. Ciò avvenne in Firenze durante le feste del 1513 in onore del Battista.
Non so s’io potrò ben chiudere in rima
quel che in parole sciolte
fatica avrei di ricontarvi a pieno;
come perdei mia libertá, che prima,
5Madonna, tante volte
difesi, acciò non avesse altri il freno;
tenterò nondimeno
farne il poter, poi che cosí vi agrada,
con desir che ne vada
10la fama e a molti secoli dimostri
le chiare palme e i gran trionfi vostri.
Le sue vittorie ha fatto illustri alcuno,
e con gli eterni scritti
ha tratto fuor del tenebroso oblio;
15ma li perduti esserciti nessuno,
e gli adversi conflitti
ebbe ancor mai di celebrar disio;
sol celebrar voglio io
il dí ch’andai prigion ferito a morte;
20ché contra man sí forte,
ben ch’io perdei, per l’aver preso assalto,
piú che mill’altri vincere mi essalto.
Dico che ’l giorno che di voi m’accesi
non fu il primo che ’l viso
25pien di dolcezza e li real costumi
vostri mirassi affabili e cortesi,
né che mi fossi aviso
che meglio unqua mirar non potea lumi;
ma selve, monti e fiumi
30sempre dipinsi inanzi al mio desire,
per levarli l’ardire
d’entrar in via, dove per guida porse
io vedea la speranza star in forse.
Quinci lo tenni e mesi ed anni escluso,
35e dove piú sicura
strada pensai, lo volsi ad altro corso;
credendo poi che piú potesse l’uso
che ’l destin, di lui cura
non ebbi; ed ei, tosto che senza morso
40sentissi, ebbe ricorso
dove era il natural suo primo instinto;
ed io nel labirinto
prima lo vidi, ove ha da far sua vita,
che pensar tempo avessi a darli aita.
45Né il dí, né l’anno tacerò, né il loco
dove io fui preso e insieme
dirò gli altri trofei ch’allora aveste,
tal che apo loro il vincer me fu poco.
Dico, da che ’l suo seme
50mandò nel chiuso ventre il Re celeste,
avean le ruote preste
de l’omicida lucido d’Achille
rifatto il giorno mille,
e cinquecento tredeci fiate,
55sacro al Battista, in mezo de la estate.
Ne la tósca cittá, che questo giorno
piú riverente onora,
la fama avea a spettacoli solenni
fatto raccôr, non che i vicini intorno,
60ma li lontani ancora;
ancor io, vago di mirar, vi venni.
D’altro ch’io vidi tenni
poco ricordo, e poco me ne cale;
sol mi restò immortale
65memoria, ch’io non vidi, in tutta quella
bella cittá, di voi cosa piú bella.
Voi quivi, dove la paterna chiara
origine traete,
da preghi vinta e liberali inviti
70di vostra gente, con onesta e cara
compagnia, a far piú liete
le feste, a far piú splendidi i conviti,
con li doni infiniti
in ch’ad ogn’altra il ciel v’ha posto inanzi,
75venuta erate dianzi,
lasciato avendo lamentar indarno
il re de’ fiumi, ed invidiarvi ad Arno.
Porte, finestre, vie, templi, teatri
vidi piene di donne
80a giuochi, a pompe, a sacrifici intente,
e mature ed acerbe, e figlie e matri
ornate in varie gonne;
altre star a conviti, altre agilmente
danzare; e finalmente
85non vidi, né senti’ ch’altri vedesse,
che di beltá potesse
d’onestá, cortesia, d’alti sembianti
voi pareggiar, non che passarvi inanti.
Trovò gran pregio ancor, dopo il bel volto,
90l’artificio discreto,
ch’in aurei nodi il biondo e spesso crine
in rara e sotil rete avea raccolto;
soave ombra dirieto
rendea al collo e dinanzi alle confine
95de le guance divine,
e discendea fin all’avorio bianco
del destro omero e manco.
Con queste reti insidiosi Amori
preson quel giorno piú di mille cori.
100Non fu senza sue lode il puro e schietto
serico abito nero,
che, come il sol luce minor confonde,
fece ivi ogn’altro rimaner negletto.
Deh! se lece il pensiero
105vostro spiar, de l’implicate fronde
de le due viti, d’onde
il leggiadro vestir tutto era ombroso,
ditemi il senso ascoso.
Sí ben con aco dotta man le finse,
110che le porpore e l’oro il nero vinse.
Senza misterio non fu giá trapunto
il drappo nero, come
non senza ancor fu quel gemmato alloro
tra la serena fronte e il calle assunto,
115che de le ricche chiome
in parti ugual va dividendo l’oro.
Senza fine io lavoro,
se quanto avrei da dir, vuo’ porr’ in carte,
e la centesma parte
120mi par ch’io ne potrò dir a fatica,
quando tutta mia etá d’altro non dica.
Tanto valor, tanta beltá non m’era
peregrina né nuova,
sí che dal fulgurar d’accesi rai,
125che facean gli occhi e la virtute altiera,
giá stato essendo in pruova,
ben mi credea d’esser sicur ormai.
Quando men mi guardai,
quei pargoletti, che ne l’auree crespe
130chiome attendean, qual vespe
a chi le attizza, al cor mi s’aventâro,
e nei capelli vostri lo legâro.
E lo legâro in cosí stretti nodi,
che piú saldi un tenace
135canape mai non strinse né catene;
e chi possa avenir chi me ne snodi,
d’imaginar capace
non son, s’a snodar Morte non lo viene.
Deh! dite come aviene
140che d’ogni libertá m’avete privo
e menato captivo,
né piú mi dolgo ch’altri si dorria,
sciolto da lunga servitute e ria.
Mi dolgo ben che de’ soavi ceppi
145l’inefabil dolcezza
e quanto è meglio esser di voi prigione
che d’altri re, non piú per tempo seppi.
La libertate apprezza
fin che perduta ancor non l’ha, il falcone;
150preso che sia, depone
del gir errando sí l’antiqua voglia,
che sempre che si scioglia
al suo signor a render con veloci
ale s’andrá, dove udirá le voci.
155La mia donna, Canzon, sola ti legga,
sí ch’altri non ti vegga,
e pianamente a lei di’ chi ti manda;
e, s’ella ti comanda
che ti lasci veder, non star occulta,
se ben molto non sei bella, né culta.