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i - canzoni 7



     Tanto valor, tanta beltá non m’era
peregrina né nuova,
sí che dal fulgurar d’accesi rai,
125che facean gli occhi e la virtute altiera,
giá stato essendo in pruova,
ben mi credea d’esser sicur ormai.
Quando men mi guardai,
quei pargoletti, che ne l’auree crespe
130chiome attendean, qual vespe
a chi le attizza, al cor mi s’aventâro,
e nei capelli vostri lo legâro.


E lo legâro in cosí stretti nodi,
che piú saldi un tenace
135canape mai non strinse né catene;
e chi possa avenir chi me ne snodi,
d’imaginar capace
non son, s’a snodar Morte non lo viene.
Deh! dite come aviene
140che d’ogni libertá m’avete privo
e menato captivo,
né piú mi dolgo ch’altri si dorria,
sciolto da lunga servitute e ria.


     Mi dolgo ben che de’ soavi ceppi
145l’inefabil dolcezza
e quanto è meglio esser di voi prigione
che d’altri re, non piú per tempo seppi.
La libertate apprezza
fin che perduta ancor non l’ha, il falcone;
150preso che sia, depone
del gir errando sí l’antiqua voglia,
che sempre che si scioglia
al suo signor a render con veloci
ale s’andrá, dove udirá le voci.