Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Purgatorio/Lezione VI

Il Purgatorio - Lezione VI

../ ../Lezione VII IncludiIntestazione 29 agosto 2023 75% Da definire

Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57 - Il Purgatorio Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57 - Lezione VII
[p. 269 modifica]

Lezione VI

[L’elemento satirico; l’episodio di Sordello.]


Poiché nel mondo soprannaturale immaginato da Dante non vi può essere azione, si comprende di quanta importanza sono le impressioni, unico modo che abbia il poeta per manifestare i caratteri e le passioni. Le anime innanzi alla visione non solo pensano ma sentono; e sentendo si mostrano piú poetiche che pensando. Il loro sentimento non è l’espressione delle passioni di cui sono purificate, ma una reazione contro di loro. Sono uomini dabbene, che dall’alto della loro virtú fulminano i vizii. Onde all’elemento descrittivo e didascalico si aggiunge l’elemento satirico. Il fondo della satira come della commedia è la realta, un complesso di particolari di costumi e di allusioni, che sono proprie di un tempo e che muoiono con quello. Onde qui sopratutto vi è una parte, che muore, come nelle commedie di Aristofane e di Molière. Una poesia, la quale si ristringe nei termini della realtá, muore con quella. E però il poeta deve sempre cogliere nel particolare la parte ideale ed umana, che si riferisca cioè all’umanitá e non alla tale o tale societá. P. e. è giá morto quel verso di Dante:

                                    La vendetta di Dio non teme suppe;      
[p. 270 modifica]ed al contrario vive nella memoria di tutti la terzina:
                                         Orribil furo gli peccati miei;
Ma la bontá divina ha si gran braccia
Che prende ciò che si rivolve a lei.
     

Spesso il poeta si contenta di esprimere crudamente la realtá comentata e colorita dai sentimenti contemporanei. In questo caso la poesia ha il suo stile nell’anima commossa degli uditori; ma in altro tempo ma con altri uditori voi avete li una parola squallida e senza vita. Cosi il racconto di Ugo Capeto dovè produrre un grande effetto sui contemporanei, e non di meno la è una poesia arida, scarsa di colori, ed ha aria di cronaca. Trovi il nudo fatto senza contorni e scompagnato di caratteri e di sentimento, quantunque qua e colá non vi manchi un certo vigore di espressione che ti rivela Dante. D’altra parte nella rappresentazione ch’egli fa del papato il satirico è guasto dall’elemento didascalico, che vi prepondera troppo: la forma uccide il fondo. La poesia comincia a manifestarsi nella satira che ella fa de’ Toscani; perché ivi hai il fatto compiutamente contornato. Vedi l’Arno in tutto il suo corso ed i paesi da lui attraversati perfettamente disegnati. Abbiamo il fatto ma non ancora i caratteri e i sentimenti; quegli animali simbolici non ti danno una immagine calda di uomini vivi. Al contrario nell’episodio di Sordello colui che parla rivela una grande ricchezza di sentimenti, e le persone e le cose sono rappresentate con tale pienezza di colori, che manifesta la veemenza dell’affetto ed il calore dell’immaginazione. Vi è insieme dell’eloquente e del poetico. L’occasione di questa satira è tolta dal sublime impeto d’amor patrio col quale Sordello, stato fino allora immobile, si gitta fra le braccia di Virgilio senza conoscerlo, sapendo solo che è del suo paese.

Questo spettacolo turba ed addolora il poeta pensando alle discordie fraterne d’Italia. Dante, come ghibellino, sognava la ricostituzione dell’impero romano con l’Italia a giardino o a centro. Di qui la sua opposizione al papa ed ai municipi e la [p. 271 modifica]sua predilezione per l’imperatore. In questa opinione vi è una parte giá morta con le condizioni che la videro nascere, ed un’altra stabile perché radicata in fatti permanenti, l’unitá italiana. Questi diversi sentimenti voi li trovate con piú o meno di vigore in tutta la Divina Commedia. Qui traboccano fuori con impeto; e perciò lo stile annunzia fin dalle prime parole una selvaggia energia. Le parole sono comprensive ricche di idee accessorie, che ti si affollano innanzi. Tale è il verso:

                                    Non donna di provincie ma bordello.      

Quanta dolcezza in quelle «sol per lo dolce suon della sua terra»; e come lo stile cambia di un tratto, mettendo dinnanzi immagini per loro natura tenere e qui lugubri e strazianti: «di quei che un muro ed una fossa serra». Si rivolge ad Alberto, gittando indietro ogni riguardo, parlandogli sul viso a tu e tu «tu e tuo padre», come uomo fremente di collera. Vi è bene qualche particolare che rimane troppo crudo, come:

                                    E vedrai Santafior com’è sicura;      

ma la maggior parte sono sfolgoranti d’immagini, come lá dove parla di Roma e nei versi rimasi celebri:
                                                   ... Ed un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene.
     

Questo tuono d’indignazione si cambia ad un tratto in un tuono beffardo ed ironico, segno di estremo disprezzo per la plebe, che allora governava Firenze. E tira cosí insino a che giugne a un punto che non potendo piú contenere la collera compressa, si sveste della maschera dell’ironia, rinfaccia con veemenzaalla plebe la sua incostanza. L’ultima immagine, cosí nuova e nella sua semplicitá tanto vera, suggella degnamente questa poesia.