Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Purgatorio/Lezione VI
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Lezione VI
[L’elemento satirico; l’episodio di Sordello.]
Poiché nel mondo soprannaturale immaginato da Dante non vi può essere azione, si comprende di quanta importanza sono le impressioni, unico modo che abbia il poeta per manifestare i caratteri e le passioni. Le anime innanzi alla visione non solo pensano ma sentono; e sentendo si mostrano piú poetiche che pensando. Il loro sentimento non è l’espressione delle passioni di cui sono purificate, ma una reazione contro di loro. Sono uomini dabbene, che dall’alto della loro virtú fulminano i vizii. Onde all’elemento descrittivo e didascalico si aggiunge l’elemento satirico. Il fondo della satira come della commedia è la realta, un complesso di particolari di costumi e di allusioni, che sono proprie di un tempo e che muoiono con quello. Onde qui sopratutto vi è una parte, che muore, come nelle commedie di Aristofane e di Molière. Una poesia, la quale si ristringe nei termini della realtá, muore con quella. E però il poeta deve sempre cogliere nel particolare la parte ideale ed umana, che si riferisca cioè all’umanitá e non alla tale o tale societá. P. e. è giá morto quel verso di Dante:
La vendetta di Dio non teme suppe; |
Orribil furo gli peccati miei; Ma la bontá divina ha si gran braccia Che prende ciò che si rivolve a lei. |
Spesso il poeta si contenta di esprimere crudamente la realtá comentata e colorita dai sentimenti contemporanei. In questo caso la poesia ha il suo stile nell’anima commossa degli uditori; ma in altro tempo ma con altri uditori voi avete li una parola squallida e senza vita. Cosi il racconto di Ugo Capeto dovè produrre un grande effetto sui contemporanei, e non di meno la è una poesia arida, scarsa di colori, ed ha aria di cronaca. Trovi il nudo fatto senza contorni e scompagnato di caratteri e di sentimento, quantunque qua e colá non vi manchi un certo vigore di espressione che ti rivela Dante. D’altra parte nella rappresentazione ch’egli fa del papato il satirico è guasto dall’elemento didascalico, che vi prepondera troppo: la forma uccide il fondo. La poesia comincia a manifestarsi nella satira che ella fa de’ Toscani; perché ivi hai il fatto compiutamente contornato. Vedi l’Arno in tutto il suo corso ed i paesi da lui attraversati perfettamente disegnati. Abbiamo il fatto ma non ancora i caratteri e i sentimenti; quegli animali simbolici non ti danno una immagine calda di uomini vivi. Al contrario nell’episodio di Sordello colui che parla rivela una grande ricchezza di sentimenti, e le persone e le cose sono rappresentate con tale pienezza di colori, che manifesta la veemenza dell’affetto ed il calore dell’immaginazione. Vi è insieme dell’eloquente e del poetico. L’occasione di questa satira è tolta dal sublime impeto d’amor patrio col quale Sordello, stato fino allora immobile, si gitta fra le braccia di Virgilio senza conoscerlo, sapendo solo che è del suo paese.
Questo spettacolo turba ed addolora il poeta pensando alle discordie fraterne d’Italia. Dante, come ghibellino, sognava la ricostituzione dell’impero romano con l’Italia a giardino o a centro. Di qui la sua opposizione al papa ed ai municipi e la sua predilezione per l’imperatore. In questa opinione vi è una parte giá morta con le condizioni che la videro nascere, ed un’altra stabile perché radicata in fatti permanenti, l’unitá italiana. Questi diversi sentimenti voi li trovate con piú o meno di vigore in tutta la Divina Commedia. Qui traboccano fuori con impeto; e perciò lo stile annunzia fin dalle prime parole una selvaggia energia. Le parole sono comprensive ricche di idee accessorie, che ti si affollano innanzi. Tale è il verso:
Non donna di provincie ma bordello. |
Quanta dolcezza in quelle «sol per lo dolce suon della sua terra»; e come lo stile cambia di un tratto, mettendo dinnanzi immagini per loro natura tenere e qui lugubri e strazianti: «di quei che un muro ed una fossa serra». Si rivolge ad Alberto, gittando indietro ogni riguardo, parlandogli sul viso a tu e tu «tu e tuo padre», come uomo fremente di collera. Vi è bene qualche particolare che rimane troppo crudo, come:
E vedrai Santafior com’è sicura; |
ma la maggior parte sono sfolgoranti d’immagini, come lá dove parla di Roma e nei versi rimasi celebri:
... Ed un Marcel diventa Ogni villan che parteggiando viene. |
Questo tuono d’indignazione si cambia ad un tratto in un tuono beffardo ed ironico, segno di estremo disprezzo per la plebe, che allora governava Firenze. E tira cosí insino a che giugne a un punto che non potendo piú contenere la collera compressa, si sveste della maschera dell’ironia, rinfaccia con veemenzaalla plebe la sua incostanza. L’ultima immagine, cosí nuova e nella sua semplicitá tanto vera, suggella degnamente questa poesia.