Levia Gravia/Libro II/Nel sesto centenario di Dante
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Io ’l vidi. Su l’avello iscoverchiato
Erto l’imperïal vate levosse:
Allor la sua marina Adria commosse,
4E tremò de l’Italia il manco lato.
Qual vapor mattutino ei nel purgato
Etere surto a l’Apennino mosse:
Drizzò lo sguardo a valle, e poi calosse
8Come nembo di lampi incoronato.
Sentir l’arcana deità presente1
Le plebi de’ mortali e sbigottita
11Nel conspetto di lui tacque ogni mente:
Ma fuor de l’arche antiche al sole uscita
De’ savi e de’ guerrier la morta gente
14Salutò la grand’anima redíta.
II.
Ella ove incurva il ciel piú alto l’arco
Fermossi, e ’l viso a la città distese.
Mirò l’itale insegne, e l’occhio carco
4Di lacrime in un riso almo si accese.
Ma, come d’atro velo ombrate e offese
Vide, Quirin, la tua, la tua, San Marco,
De l’immortale amore al sen raccese
8Sentí le punte, e ruppe a l’ira il varco.
— Ahi, serva Italia, di dolore ostello!
Ancor la lupa t’impedisce, e doma
11Gli spirti tuoi domestico flagello.
Mal rechi a l’Arno la mal carca soma:
Non questo è il nido del latino augello:
14Su, ribelli, e spergiuri, a Roma, a Roma —
III.
Disse, e movea. Come ne’ turbin torti
Groppo di nubi rapide su’ venti,
De’ magnanimi eroi di vita spenti
4Seguían l’ombre partite in due coorti.
Gli uni, in pruove di guerra anime forti,
Scendean sinistri vèr’ le adriache genti:
Oh, quando i vivi a te salvar son lenti,
8Sacra Italia, per te pugnino i morti!
Gli altri, a filosofar menti divine,
Dietro il poeta che splendea primiero
11Le famose attingean rive latine.
Quel che avvenne, non so: ma tosto, io spero,
Rifiorita d’onor su le ruine
14Roma libera fia da l’adultèro.