Levia Gravia/Libro I/Alla Louisa Grace Bartolini

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VII.

ALLA LOUISA GRACE BARTOLINI


A te, sciolto da’ languidi
Tedi lo spirto, e anelo
Del vital aere al fremito
Ed a l’effuso cielo,
Sorge: dal cuor rimormora
6L’aura de’ canti, inclita donna, a te;

A cui ne’ tócchi rapidi
D’animator pennello
E ne’ frenati numeri
La memore del bello
Idea sorride e tenero
12Senso e del bene l’operosa fe’.

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O desta a i forti palpiti
Che viltà preme in noi,
Nata a i concilii splendidi
De i vati e de gli eroi,
Salve, Eloisa, armonica
18D’altre genti figliuola e d’altre età!

Perché tra i vecchi popoli
Venisti e a gli anni tardi,
Quando gli eroi si assoldano,
Spengonsi i vati e i bardi,
E si scelera l’ultimo
24De l’oscurato ciel raggio, beltà?

Altr’aer ed altro secolo
L’attèa Corinna accolse;
E, quando ella da’ rosei
Labbri il canto devolse,
Tutto pendeva un popolo
30Da l’ardente fanciulla affisa al ciel.

Fremea sotto la cetera
L’onda alterna del petto:
Da le forme virginee
Ineffabil diletto
Spirava; ma le lacrime
36Splendido a’ folgoranti occhi eran vel.

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Stupían mirando i príncipi
E i figli de gli Achei
Poggiati a’ colli madidi
De’ corridori elei:
Cantava l’alta vergine
42La sua patria, i suoi dèi, la libertà.

Ed oblioso Pindaro
De la ceduta palma
Parea per gli occhi effondere
Il sorriso de l’alma,
Rimembrando Eleuteria
48Che tra i popoli salvi inneggia e va.

Ma ben, come da súbita
Procella esercitate,
Le selve atre germaniche
Suonâr, se a l’adunate
Plebi i cruenti oracoli
54Apria Velleda e de le pugne il dí.1

Tra l’erme ombre de’ larici,
Da la luna e dal vento
Rotte, la vergin pallida
In nero vestimento
Alta levossi, a gli omeri
60Lenta il crin biondo onde null’uom gioí.

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E cantò guerre, orribili
Guerre; e a la cena ìmmonda
Convitò i lupi e l’aquile;
E tepefatta l’onda
De’ freddi fiumi scendere
66Vide tarda fra i corpi al negro mar.

Lungo andò allor per l’aere
Rombo da i tócchi scudi:
Precipitâr da’ plaustri
Le madri, e con gl’ignudi
Petti la pugna accesero
72O ululando le marse aste affrontâr.2

Ahi, dov’è pompa inutile
Al vivere civile
La donna, ivi non ornasi
Il costume virile
Di forza e verecondia,
78E turpe incombe a’gravi spirti amor.

Ma tu, Eloisa, l’agile
Estro di Suli a i monti
Invía, dove piú gelide
Mormoran l’aure e i fonti,
E molce i petti liberi
84Canto d’augelli e balsamo di fior;

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E dinne la bellissima
Sposa d’eroi Zavella,
Che pur con l’una stringesi
Il nato a la mammella,
Con l’altra mano fulmina
90L’oste premente e gli orridi bassà.3

De le polone femmine
Ridinne i canti amari,
Che di lor vene tingono
I supplicati altari
0 chieggono a la Vistola
96Tra cotanta di spade impunità

Gli spenti figli. O candido
Stuolo, lamenta e muori,
In fin che basta il ferreo
Tempo de gli oppressori,
E pur cadendo mormora
102- No, che la patria mia morta non è. -

Già la rivolta affrettasi
Fósca di villa in villa,
Turbina il vento ed agita
L’animatrice squilla,
E il nuovo carme a’ liberi
108Popoli suona su i caduti re.



Note

  1. [p. 395 modifica]“Ea virgo nationis bructeræ late imperitabat; vetere apud germanos more, quo plerasque feminarum fatidicas et, augescente superstitione, arbitrantur deas. Tuncque Veledæ auctoritas adolevit; nam prosperas germanis res et excidium legionum prædixerat„ Tacitus, Hist. iv 61.
  2. [p. 395 modifica]“Memoriæ proditur, quasdam acies, inclinatas iam et labentes, a feminis restitutas constantia precum et obiectu pectorum et monstrata cominus captivitate... Inesse quin etiam sanctum aliquid et providum putant; nec aut consilia earum adspernantur aut responsa negligunt. Vidimus sub divo Vespasiano Veledam diu apud plerosque numinis loco habitam. Sed et olim Auriniam et complures alias venerati sunt, non adulatione, nec tanquam facerent deas.„ Tacitus, Germ. 8.
  3. [p. 395 modifica]Servono di dichiarazione questi versi d’un canto del popolo greco (trad. di N. Tommasèo): “È Suli il [p. 396 modifica]celebre, Suli il celebrato; ove combattono piccoli bambini, donne e ragazze, ove combatte la Zavella, colla spada alla mano, col bambino all’un braccio, col fucile nell’altro, colle cartuccie nel grembiule. La Luisa Grace a cui è intitolata quest’ode, nata in Bristol nel 1818, morí in Pistoia il 3 maggio 1865. Quelli che solo abbian visto di lei le versioni dei canti di T. B. Macaulay e E. W. Longfellow e le Rime e prose pubbl. dopo la sua morte dal marito Franc. Bartolini (tipogr. dei successori Le Monnier, 1869 e 1870), non potrebbero ancora farsi un’idea giusta del suo ingegno, della dottrina in piú lingue e letterature e dell’ancor piú grande gentilezza e generosità dell’animo suo.