Lettere di Winckelmann/Articolo XI
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A r t i c o l o XI.
Notizie del museo reale a Capo di monte in Napoli,
e della biblioteca di san Giovanni Carbonara.
Ma non vogliamo parlar mai della capitale del regno di Napoli, della bella Partenope? Non è ora mio scopo ragionarvi dell’incantatrice sua situazione, quale non potrei mai abbastanza degnamente descrivervi. Dunque vengo al mio dipartimento antiquario, e scelgo oggi a parlarvi d’un museo, e d’una biblioteca. Sia il museo quello di Capo di monte, e la biblioteca quella di san Giovanni Carbonara. Il museo sta in un palazzo rimasto imperfetto a cagione della guerra di Velletri; e in esso è collocata la galleria de’ quadri, la libreria, e sopra tutto l’insigne raccolta delle medaglie, degl’intagli, e de’ camei de’ duchi di Parma. Ma questo palazzo essendo situato in un’eminenza, che signoreggia tutta la città, si arriva ad esso dopo d’aver superata la salita erta, e scoscesa con un palmo di lingua fuori; e per questo motivo i paesani non se ne pigliano tanto fastidio. Se i nostri nipoti avranno la forte di vedere disposto tutto quello tesoro, non avrà vergogna di stare a fronte a qualunque altro, che esser voglia. Dopo venti anni, che è restato incassato, infagottato, ed ammucchiato in pianterreni oscuri, ed umidi, è finalmente comparso ad dias luminis auras; ma con qualche mina di cose insigni. Le pitture antiche cavate dal palazzo, de’ cesari al monte Palatino in Roma sono svanite affatto dalla muffa1. La maggior parte de’ quadri, ed i migliori sono disposti in venti grandi stanzioni. Le medaglie erano già messe in ordine; ma la libreria co’ famosi mss. Farnesiani sta arrampicata ne’ mezzanini. Il direttore della galleria, del museo, e della biblioteca è uno de’ Somaschi, il Padre della Torre, uomo garbatissimo, e pieno di buon costume, e gentilezza, ma portato ad altri studj. Il suo mestiere è la fisica, che professa nello studio pubblico. Ha, oltre tante cariche, la sopraintendenza alla stamperia reale; ed è difficile ad un sol uomo il provedere a tutto. La gioja de’ quadri è il ritratto di Leone X. a tre figure di Raffaello d’Urbino. V’è a Firenze un altro simile, ma non si fa quale de’ due sia l’originale. Leggasi intorno a ciò il Vasari2. Quell’opera è un non plus ultra dell’arte; ed io scommetto, che nè van Eick, nè quell’altro, l’onore della mia patria, che fa risorgere la pittura declinata3, possono fare un ritratto superiore a quello. Il gran ritratto originale di Paolo III. Farnese, fatto da Tiziano, anch’esso di tre figure, sta accanto a quell’altro, come l’Apollo di Callimaco al Febo d’Omero, e come la Diana dell’Eneide a quella dell’Odissea. Ma non son pittore anch’io; e mi ristringo a quello, che più è di mia portata. Le medaglie sono disposte in venti gran tavoloni coperti d’una stiaccia, o sottil rete di rame. Tutte sono incastrate in bacchette di bronzo, le quali si voltano in modo, che si può vedere il diritto, e il rovescio. Le ho esaminate, levatane la stiaccia, giornate intiere. Il museo è più ampio di quello, che ne dà idea il libro del Padre Pedrusi intitolato i Cesari, libro cattivo, e facemmo, ma stimatissimo da’ pedanti; il quale non si è appigliato, che alle medaglie romane per partorire più presto grossi volumacci, giacché le romane danno più campo a fare scorrerie istoriche. Il principale di quello museo, almeno al genio mio, sono le medaglie greche in cinque tavoloni, delle quali la maggior parte era il già famoso museo di Faucault, comprato dall’ultimo duca di Parma. Il card. Noris ne fa menzione nel carteggio col conte Mezzabarba, e anche il P. Montfaucon nella sua Paleografia Greca. Questa raccolta, e la libertà, con cui l’ho maneggiata, mi ha dati più lumi, che tant’altri musei, che ho veduti. Sua Maestà ha accresciuto il museo colla compra delle medaglie degl’imperatori romani in oro, raccolte dall’emo Alessandro Albani, e regalate alla marchesa Grimaldi, dopo la di cui morte per mezzo d’un mercante di Livorno si sono unite alla raccolta Farnesiana. Il re le ha pagate 4050. ducati napoletani. Consiste in 143. medaglie, e la più rara è un Emiliano, già s’intende in oro. Due parole della libreria a san Giovanni Carbonara. Questa libreria, che accolse i libri del Sannazzaro, quelli di Giano Parrasio, che li lasciò in legato al card. Seripando, e que’ medesimi, che possedeva lo stesso cardinale, era nel secolo passato fornitissima di bei mss. greci, e latini; ma la dabbenaggine di que’ Padri Agostiniani, e l’autorità de’ sovrani hanno ridotto quello tesoro quasi a niente. Verso il fine del secolo passato venne a Napoli un giovane letterato olandese Witsen, forse quello, che poi fu console d’Amsterdam, ed ha reso il suo nome celebre. Infinocchiò uno di que’ buoni Padri, il quale gli vendè quaranta de’ più rari mss. greci per trecento scudi. Questo negozio trapelò; ma il venditore per mancanza d’un catalogo non poteva essere convinto: e Witsen se ne partì col suo bell’acquisto. Questa notizia l’ho ricavata da un certo carteggio. L’ultima diminuzione è stata fatta alla libreria dagli Austriaci, i quali con mano regia hanno preso gli avanzi migliori. Il famoso Dioscoride, i Vangeli scritti in lettere majuscole d’oro su pergamena purpurea4, un Diodoro Siculo, un Licofrone, un Dione Cassio, un Euripide, ec., tutti greci, conviene ora cercarli a Vienna. Vicende deplorabili! 5
Note
- ↑ Vedi Tom. iI. pag. 58.
- ↑ Tom. iiI. par. 3. pag. 196., e Gimma Della fis. sott. Tom. iI. lib. 5. cap. 3. art. 6. num. 8. pag. 76.
- ↑ Mengs, di cui abbiamo parlato qui avanti Tom. I. pag. 58.
- ↑ Nella relazione italiana, che riporta il sig. Kollar al luogo citato qui appretto, si dice, che è in carta purpurea, a differenza di tanti altri, che si dicono in pergamena.
- ↑ Nei supplementi fatti dal sig. Adamo Francesco Kollar al Tomo I. de’ Commentarj della biblioteca Vindobonese di Pietro Lambecio col. 763., e segg. si dà il catalogo di tutti i codici, e libri, che da quella libreria passarono alla Cesarea di Vienna. Isacco Vossio in una sua lettera a Niccolò Heinsio, che è la XII. del Tomo iiI. Syllog. epistolar. a viris illustr. scriptar. ec. per Petrum Burmannum, Leidæ 1727. pag. 566. parla d’un codice abbastanza antico di Varrone De re rustica, che gl’increbbe di non avere in Napoli rincontrato, e collazionato colle stampe.