Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/IC
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IC.
ALLA STESSA
a Forlì
11 luglio (1847)
Mia carissima Marianna,
Figurati di vedermi in ginocchio dinanzi a te, ed in mezzo a voi altri, chiedendovi scusa quante mai posso del mio silenzio di due mesi dopo una vostra lettera affettuosissima e piena di consolanti e care parole, e tutte esprimenti della più tenera e calda amicizia. E già so bene che solo questa può farmi perdonare, come solo la virtù di questa e in sua considerazione ho potuto io tardare a prender la penna in mezzo alle angustie e al dolore immenso prodotto dalla perdita da noi fatta. Io era ben sicura che voi, care anime, avreste diviso con noi il nostro affanno e avreste preso parte vivissima all’incancellabile ed eterno nostro lutto, e le parole colle quali mi piace di assicurarmene, mi scendono dolcissime al cuore, e ve ne son grata oltre ogni dire in misura dell’amore con cui è amato il vostro amabilissimo Genitore, è certo quella stessa con cui veniva amato il povero e diletto mio padre da ciò potete ben misurare il nostro dolore. Scorrono i giorni ed i mesi, e il lutto il più profondo è nel nostro cuore come nel primo di, in quel giorno tremendo in cui noi restammo orfani di un padre amorosissimo, di un amico fedele, di una sicurissima guida. A me par quasi un sacrilegio, di non rivolgere a lui la mente e gli affetti ogni momento del giorno; mi par quasi un sacrilegio di aprir la bocca al riso, o di aprirla per parlare di qualche cosa che non si riferisca a lui. E pure bisogna vivere, e bisogna conversare e mostrare volto placido, e bisogna pensare di affari, e sospendere il pensare a lui, cui si penserebbe sempre. E questo pure è un grosso affanno, e lungo e doloroso quant’altri mai. Vedi bene quanta fiducia ho io nell’amor di voi, miei carissimi; chè non ho timore di portarvi noia parlandovi sempre di me e degli affanni miei quando vorrei parlare delle speranze che serbate di vedere impiegato meritamente il papà tuo, e presto, e onorevolmente. Oh! Sarà quello per me uno dei più lieti miei giorni, quando mi dirai che giustizia è stata renduta ad un uomo (li merito, probo e virtuosissimo. Così voglia Iddio riempir di consolazione e di letizia la diletta vostra famiglia, ed abbellire e render felici i giorni dell’ottimo padre vostro e di tutti voi. In questi tempi di mutazioni e di speranze è più facile il conseguire lo scopo dei lunghissimi desiderii, ma sarà poi vero? O la speranza rimarrà sempre vana? Cara Marianna mia, confortiamoci insieme a passare anche questi altri giorni che ne rimangono, i quali, se a Dio piacesse, di abbreviare, pur ne saremmo lieti, ed intanto amiamoci sempre e fortemente e stringiamoci ai nostri cuori dolenti e vulnerati. La mia famiglia ringrazia caramente te e i tuoi di tanto amore. Cleofe era tornata da un mese quando il povero di lei suocero è morto, e tutti noi lo abbiamo assistito fino all’estremo luttuosissimo momento, la di cui ricordanza non si cancellerà giammai dalla mente nostra.
Io ti scrivo coll’ultimo dei miei nipoti che non fa che cantare vicino a me, sicchè non so che cosa ti abbia scritto, e per non mortificarmi non rileggo, e poi ho fretta di mandare alla posta, per non sembrare più a lungo scortese o dimentica di voi, care anime.
Io vi ho tutti nel mio cuore, miei cari; a Papà Brighenti dimando e voglio che mi benedica, e alle amate e dilette figlie dimando e voglio che mi amino sempre, dando ad esse un tenerissimo e lungo abbraccio.