Lettere (Sarpi)/Vol. II/219
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CCXIX. — Al signor De l’Isle Groslot.1
Scrissi a V.S. sotto il dì 11 di questo. Col presente ordinario ho ricevuto la sua delli 4 dell’istesso mese, insieme con la raccolta delli privilegi de’ Gesuiti, i quali io credo aver manoscritti tutti. Confronterò questo esemplare stampato col mio, e in caso che avessi alcuna pezza di più, la manderò.
Con queste medesime ho ricevuto la Disputa politica, della quale avendo trascorso alcuni capi, veggo che l’autore ha di buone opinioni, e lo stimo. Solo mi pare che quella materia non dovesse esser trattata con così pochi argomenti, ma ricercasse maggior confirmazione e confutazione. Io credo che dagli altri libri che ha piaciuto al signor Gillot d’inviarmi, sarò per cavar profitto; perchè la negoziazione del Concilio di Pisa, nei suoi tempi, fu di molto momento. Io prego V.S. a far i dovuti ringraziamenti a quel signore, al quale io ho tanti obblighi, che non potrò corrispondere in minima parte. Aspetto di vedere la risposta del figlio di Barclaio,2 credendo, anzi essendo certo, di trovarci dentro di belle arguzie.
Il libro della medesima materia stampato in Heidelberg, non è comparso in questo paese, ma venerdì scriverò a Francoforte, chè di là mi sarà mandato più comodamente. Poichè i Gesuiti s’affaticano operando d’acquistar il dominio di Francia, anzi di Europa, e che non si vede modo al presente di far loro opposizione, è bene, almeno con le scritture, instituire la posterità, se in questi nostri sarà perduta: la quale però voglio anco sperare che non averanno forza di opprimere totalmente; e forse ancora piacerà a Dio che questi principii sveglino quelli a chi appartiene, e che si rimedi anco al male già fatto. Starò aspettando la relazione che V.S. mi promette, sopra il libro senza pari, che si tratta di metter in luce.
Io ho sentito dispiacere così grande dell’incontro avvenuto a Richer, come fosse occorso a me stesso. Quella privazione del sindicato3 non nuoce solamente a lui, ma ancora alla causa. Io ne sono stato sempre in gran timore, e credo che quel signore dovrà aver innanzi gli occhi l’esempio dell’abate di Bois: il che non le dico senza ragione e senza qualche indizio.
Avevo già inteso la dichiarazione del re della Gran Brettagna, molto savia e commendata. M’è piaciuto averla veduta formale, e ringrazio V.S. così di quella, come dell’altre pezze che li è piaciuto mandarmi.
Di nuovo, un cardinale ha dato avviso all’ambasciatore della Repubblica in Roma, che è stato maneggiato una pratica contro la vita del padre Paolo: cosa che dà qualche disgusto al Senato.
Quanto al negozio di monsieur di Thou, passò il successo in questa guisa. Avendo il padre conferito con il signor Nani il suo pensiero inclinato a mandar le memorie sue a monsieur di Thou, come cosa anco di onore per la Repubblica, e dimandatogli consiglio, rispose che non era cosa da consigliare, ma da eseguire: fosse dato a lui, chè ne avrebbe fatto l’ufficio. Il padre così fece; ma poi il signor Nani, o per dubbio che li venisse in mente, o perchè la cosa proposta in Collegio, si deliberò soprassedere; onde quello non le portò, e il Padre restò legato di non poter far altra risoluzione. Ecco quello ch’è passato. Al presente, desiderando che monsieur di Thou e il signor De l’Isle siano serviti, ho pensato un temperamento, il quale credo sarà facile, e senza che il Padre resti interessato. Era in questa città, con l’ambasciatore d’Inghilterra Wotton, un ministro, persona singolare: egli avendo letto le suddette cose, pregò il Padre di copia: in fine si contentò il Padre che le copiasse, non in italiano, come erano, ma in inglese; e ebbe li suoi rispetti, perchè pensasse poter far così, e non altrimente. Nell’allegata si scrive ad esso ministro, che ne faccia parte di tutto a monsieur di Thou. Sarà facile trovar in che terra egli abiti, informandosi da Wotton. Credo che monsieur de Thou sarà sodisfatto, e il Padre senza pericolo: ma la scrittura è lunga non meno d’un quinterno di carta.4
Le considerazioni che mi fa V.S. intorno i bisogni della Repubblica, sono vere e vedute. La necessità che vi sarebbe di lega, massime con le Provincie unite, è notissima: ma io non posso senza estrema impazienza vedere che, essendo il mondo diviso in due parti, la sola Repubblica vuol fare da sè. Non è la causa il timor di Spagna, ma certo interesse, e poca intelligenza. Chi volesse effettuare questa buona opera, non bisognerebbe cominciar da qui, ma dall’introdurre una ambasceria mutua; chè, fatto questo, io averei l’altro come fatto. Ma un certo sussiego, chè non posso dir altro, è causa che chi dovrebbe parlarne, non ne parla. Il signor Foscarini so che ne ebbe delle proposizioni; ma dovendo andar in Inghilterra, penso che li suoi interessi ricercassero che differisca la trattazione al ritorno. Fece un errore,5 perchè al presente non è più atto per ciò. Aspettare che Barbarigo sia in Francia, è cosa lunga: quello che vi è, non è buono: io non saprei per ora dove voltarmi. Ma di ciò ne scriverò più lungamente con l’ordinario seguente, dopo averci pensato e conferito.
Di nuovo non abbiamo altra cosa, se non che gli Uscocchi, dopo aver restituito il conte di Veggia, come credo già averli scritto, per il che si tenevano le differenze per composte, hanno fatto una incursione sopra lo stato della Repubblica, e menato via quantità di animali, avendo perciò dato danno di forse dieci mila scudi. Onde i nostri hanno fatto un’altra incursione molto maggiore, e penetrato negli Stati dell’arciduca per forsi venti miglia, hanno abbruciato e fatto danno, che si stima ascendere a non manco di 100 mila scudi; sebbene non sono rifatti di quel tanto ch’è stato preso a loro. Una parte e l’altra a tutti i confini sta su le guardie: si stima però, che le cose si componeranno. Piaccia a Dio che tutto quello che succede torni a sua gloria. Il quale prego che doni a V.S. tutte le sue grazie; e con questo fine, le bacio la mano, desiderando che per nome mio faccia affettuosissime raccomandazioni a monsieur di Thou e a monsieur l’Eschassier.
Mando a V.S. la lettera6 senza sigillarla, acciochè veda, se bene non intenderà che cosa gli dimandi, che lo dimando però con certezza che la mia volontà sarà eseguita. Non resterà altro se non che monsieur di Thou voglia fare quel poco di opera che occorrerà per mezzo di qualche amico, che credo sarà intieramene soddisfatto; e io prego lui, insieme con V.S., di credere che grandissimi rispetti mi movino a far camminare il negozio per questa via.
- Di Venezia, il dì 25 settembre 1612.
Note
- ↑ Edita come sopra, pag. 498.
- ↑ Vedi la Lettera seguente ed altre.
- ↑ Vedi la nota 2 a pag. 291.
- ↑ Il Griselini parla del Wotton ambasciatore in più luoghi delle sue Memorie ec., e in ispecie laddove confuta le menzogne del Burnet e del Walton circa la storia del Concilio di Trento. Vedasi a pag. 114-15 ec. Contuttociò, e dopo aver lette quelle parole, vedrà ciascuno quanto il racconto di questa Lettera importi per le future biografie dell’immortale Servita.
- ↑ Che il Foscarini fosse di carattere alquanto corrivo, mal raffrenabile, e però inclinato a commettere errori e imprudenze, possono essercene indizio anche i consigli che Fra Paolo si conduce a dargli, quando egli era ambasciatore in Francia, nella Lettera XXVII (tom. I, pag. 87).
- ↑ Cioè, la lettera pel ministro amico del Wotton.