Lettere (Sarpi)/Vol. I/74

LXXIV. — Al signor De l’Isle Groslot

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LXXIV. — Al signor De l’Isle Groslot
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LXXIV. — Al signor De l’Isle Groslot.1


So bene che l’armata che i Turchi preparano, non è di gran considerazione: però è cosa verissima che il papa se ne travaglia. Le cause sono la propria debolezza; il disegno di spendere in altro che in difendere i suoi popoli; e la qualità del nemico, con cui non vagliono le arti che sanno usare. L’armata turchesca non eccederà cento galere; e pur non sarà sprezzabile, atteso che le marine da capo d’Otranto sino a Roma sono assai aperte.

Le differenze del pontefice con la Repubblica dormono. Pare che tutte siano in silenzio, salvo quella dell’Abbazia; e che perciò non siano toccate le altre, acciò più facilmente si componga. Non posso pronosticare ciò che debba riuscire: è ben necessario che fra poco le cose o siano accomodate o in stato incomponibile.

Io son tanto assuefatto ad udire qualche macchinazione contro di me, che le sento senza alcun moto d’animo, e come cose quotidiane. Io son sicuro che si continuerà così sino alla mia morte, la quale potrebbe essere che succedesse per opera loro; potrebbe anco avvenire che, non riuscendo li loro disegni, si portasse al termine naturale: cose che sono [p. 251 modifica]poco differenti. Già son vecchio assai,2 nè mi sarà molto grato il prolungare e soggiacere a maggiori debolezze di corpo o d’animo. Questa ultima non è stata cosa di gran momento, perchè non ha passato il trattamento di parole.

Nel servizio di Dio io faccio quello che so, ben con timore di fare importunamente, e perciò impedire il meglio. L’istesso fa il padre Fulgenzio. Non bisogna ingannarsi; ogni cosa s’ha d’aspettare da di sopra.

Le turbazioni d’Austria, che parevano composte, si risvegliano, e in Boemia ne nascono di maggiori. Il nuovo re Matthias ha imparato d’interpretare le convenzioni come altre volte s’è fatto in Francia: non però pare che sia in stato di poter ottenere il fine suo e delli Gesuiti.

La nuova che il confessore della regina di Spagna sia mandato di Spagna, non è anco venuta qui. Io non lo posso credere: è di tanto momento, che è necessario aspettarne secondi avvisi; ma se sarà vera, ben considera V.S., che il mistero ci è sotto occultato, e bisogna andarci cauti.

Certo è che li Spagnuoli non hanno mai voluto confessor gesuita in Corte; che la regina impetrò questo suo tedesco con le lacrime; che hanno voluto più volte levarlo con diversi titoli d’onore e utile; ch’egli è uomo più tosto da poco, che altro. Bisogna (s’è vero) che gran cosa vi sia.

Del ducato di Cleves non aspetto altro, salvo che un notabile impedimento all’unione delli [p. 252 modifica]principi Germani; poichè due principali case vi hanno competenza. Si vede che non è anco il tempo del beneplacito divino per dar il colpo alla tirannide.

Il pericolo che la città di Ginevra ha fuggito, è stato molto grande. Non so se verranno perciò impediti altri trattati.3 Il re di Francia ha gran ragione di non porger orecchi ad ogni persona, poichè dall’un canto viene trattato con lui, e dall’altro macchinatogli sì fattamente contro: perchè l’andar Ginevra sotto alcun principe, stimo cosa di molto pregiudicio agl’interessi del re.

Dio voglia che questa pace generale non termini in una generale guerra. Veggo gran differenze tra quelli che altre volte erano unitissimi; e tutto si cuopre con la maschera della Religione; opera che provoca tanto maggiormente l’ira divina. In altri secoli la ipocrisia ha avuto qualche corso; ma in questo ella domina sola, esclusa ogni vera pietà.4 Dio ci abbia misericordia!

Non debbo attediar più V.S. Il padre Fulgenzio, il signor Molino, e io principalmente, li baciamo la mano.

Di Venezia, li 26 maggio 1609.




Note

  1. Dalla raccolta di Ginevra, pag. 166.
  2. Assurdamente ha qui la prima stampa: “già son occhij assai.„ Il Sarpi, nato nel 1552, aveva allora 57 anni.
  3. È noto con quanti e ostinatissimi artifizii i duchi di Savoia tentassero di sottomettere la libera città di Ginevra; e la tanto famosa sorpresa e scalata ad essa data inutilmente nella notte del 22 dicembre 1602. Ma qui sembra alludersi ad altri e più recenti pericoli diplomatici.
  4. Ora, che dire del tempo nostro, in cui della religione non si ha cura alcuna, e solo si combatte pei beni materiali che, in nome di quella, voglionsi conservare?