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250 lettere di fra paolo sarpi.


Non sarò più lungo; farò fine baciando le mani alli signori Gillot, Thou e Casaubono.

Di Venezia, il 26 maggio 1609.




LXXIV. — Al signor De l’Isle Groslot.1


So bene che l’armata che i Turchi preparano, non è di gran considerazione: però è cosa verissima che il papa se ne travaglia. Le cause sono la propria debolezza; il disegno di spendere in altro che in difendere i suoi popoli; e la qualità del nemico, con cui non vagliono le arti che sanno usare. L’armata turchesca non eccederà cento galere; e pur non sarà sprezzabile, atteso che le marine da capo d’Otranto sino a Roma sono assai aperte.

Le differenze del pontefice con la Repubblica dormono. Pare che tutte siano in silenzio, salvo quella dell’Abbazia; e che perciò non siano toccate le altre, acciò più facilmente si componga. Non posso pronosticare ciò che debba riuscire: è ben necessario che fra poco le cose o siano accomodate o in stato incomponibile.

Io son tanto assuefatto ad udire qualche macchinazione contro di me, che le sento senza alcun moto d’animo, e come cose quotidiane. Io son sicuro che si continuerà così sino alla mia morte, la quale potrebbe essere che succedesse per opera loro; potrebbe anco avvenire che, non riuscendo li loro disegni, si portasse al termine naturale: cose che sono


  1. Dalla raccolta di Ginevra, pag. 166.