Lettere (Sarpi)/Vol. I/30

XXX. — Al medesimo

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XXX. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Disegnando V. S. di favorirmi mandandomi qualche bel trattato di quelli che si veggono già, credo che farebbe bene darmene prima qualche notizia, acciò non fosse cosa per altra via penetrata, e che ella facesse una nuova e gran fatica senza necessità. Non ha dubbio che l’assedio postoci dalli nostri amici acciò niente penetri, è una specie di servitù a noi e imperio a loro; ma siamo ciechi, anzi lo riputiamo a nostro beneficio. Se li amici nostri sanno valersi della pazienza, ci soggiogheranno affatto: il tutto è che operino lentamente e poco per volta, chè noi ci staremo volontariamente, ma anco con piacere. Si sono accorti del mal procedere loro passato, con averne voluto caricare gente... Da dieci giorni in qua, procedono con destrezza, e questo è il male. Dopo che s’ha inteso l’andata dell’armata in Ponente, abbiamo preso tanta sicurezza, che dormiremo profondamente per gran tempo. Dio ci faccia grazia, che non siamo trovati addormentati in qualche grave pericolo. [p. 100 modifica]

La torre che V. S. spera dover veder cadere, non mi par combattuta per buon modo. Se gli tirano li colpi troppo di lontano e giungono a lei deboli. Ci vorrebbe un’altra torre che si levasse vicina, la quale non sarebbe difficile fondarla e ridurla in alto, quando li operatori, che da lontano vanamente si faticano, pensassero di accostarvisi. Ma queste cose si debbono rimettere a Dio, senza il cui aiuto ogni nostro sforzo è inutile.

Delli Gesuiti ho sempre ammirato la politica, e le massime nel serbare li secreti. Gran cosa è che hanno le loro constituzioni stampate, nè però è possibile vederne un esemplare. Non dico le regole, che sono stampate in Lione (quelle sono puerilità); ma le leggi del loro governo, che tengono arcane.2 Sono mandati fuori e escono della loro Compagnia ogni giorno molti, e mal sodisfatti ancora; nè per questo sono scoperti li loro artificii.

Ho veduto e ho appresso di me, nelle ricerche di Pasquier, le arringhe fatte da lui dal 1564; ma quelle sono troppo vicine al principio della società: altri e maggior misteri hanno in questi tempi. Non vi sono altrettante persone nel mondo, che conspirino tutte in un fine, che siino maneggiate con tanta accuratezza, e usino tanto ardire e zelo nell’operare. Io crederei che fosse un grande acquisto il poter penetrar nel secreto del loro governo, e scoprire le loro arti e tratti politici, per potersegli opporre. Il tentativo al quale V. S. intende di [p. 101 modifica]acquistare le arringhe fatte del 1594 in Parigi contra loro, sarà utile; ma più se potesse da qualche fuoruscito di loro penetrare qualche cosa delle secrete.

Si tiene qua l’istesso che costì dell’ambasceria di don Pietro, che sii maneggiata da loro, e per lungo tempo; nè si penetra il vero fine. Se ben la pace de’ Paesi Bassi pare esser lo scopo, io non lo credo: può essere che sii posta innanzi per un preambulo, ma è necessario che sii maggior cosa. Non si dubita che li movimenti veduti in Boemia non siino maneggiati da loro, se bene per ancora non sono scoperti, nè si vede dove mirino. Aspetto che il tempo mostri sprovvistamente qualche gran macchina: se poi per rovinar altri o sè stessa, Dio solo ne farà la disposizione.

Ho veduto una lettera scritta da costì, dove si dice che il padre Cotton3 averà principalissima parte nell’instituzione del Delfino. Mi rendo difficile a crederlo: pur alle volte Dio accieca da dovero quelli che spontaneamente non vogliono vedere.

Intesi già che un Inglese gesuita, ritirato poi nel regno, scrisse un libro che intitolò: De modo agendi Jesuitarum. Contra il quale li Gesuiti fecero una apologia, che io ho ben veduto, ma il libro contro essi non ho mai potuto vedere. Ho anche inteso che un Elia Hasenmullero, che fu prima gesuita, si ritirò in Zurich e scrisse li loro artificii;4 nè ho mai [p. 102 modifica]potuto sapere se fosse bisogno parlar di loro cosa buona. Io vorrei ben poter penetrare in quegli arcani, essendo certo che qui un giorno farà bisogno parlar di loro: del che tanto più ho sospetto, quanto sono due anni dalla loro esclusione, e non fanno ancora moto alcuno. Ho in gran sospetto il loro silenzio, e temo che ordiscano qualche mala tela contra questa Repubblica, tanto più quanto ella si tiene sicura da loro, fondandosi sulla costanza universale di riputarli sempre per inimici: ma Dio voglia che siamo bastanti per opporci alle loro macchinazioni.

L’opera di monsignor Pithou viene commendata da tutti li canti, e insieme anco ognuno rapporta che l’animo suo sii di venderla. Egli ha ragione di dare il prezzo alle cose sue. Non credo però che il compratore, trattando con esso lui di mercato, gli facesse torto dicendo all’italiana, di non voler comprar gatto in sacco, ma vederlo. Se potrò averne qualche rappresentazione, in somma, ne dirò qualche parole. Importerà qui molto, se oltre la fatica del suo ingegno, vi fosse qualche pezza massime propria per le cose che controversavano. Ma sa bene V. S. che siamo fuori di occasione; il che molto importa per opporre a chi vuol mettere la mercanzia in stima.

Per dirli qualche cosa che mi passa per mente intorno l’ambasceria del Toledo, mi paiono molto pregnanti le proteste fatte al re: non so come cotesta maestà ci stii: bisogna bene che sii molto [p. 103 modifica]flemmatica sopportandola. Ma se offerse di far maritaggi con quelle condizioni che vuole il re, mi paiono come quando dissero di voler la pace con li Olandesi con le condizioni che volevano essi, terminando poi il negoziato a voler tutto a suo gusto proprio.

Mi è stato molto grato il libretto di D’Angelo per la sua antichità. Credeva che padre Massono fosse morto: desidero sapere d’onde egli abbia tanti libri che dà fuori, e avere un poco di relazione delle vere qualità di questo valent’uomo, perchè alla fama che viene di lontano, non soglio prestar molta fede. Quelle lettere5 e l’amicizia di Baronio sono un pregiudicio appresso di me di gran momento.

Io saprei volentieri se il parlamento di Provenza tiene alcuna giurisdizione sopra Avignone e sopra il contado Venosino, e se il re in quei luoghi ha alcuna recognizione o superiorità. Non posso intendere in che modo sii passato il contratto tra il papa e la regina di Napoli, che la maestà regia sii stata esclusa. So che li Angioini acquistarono la Provenza per un matrimonio di Spagna; ma mi persuado (non so se m’inganno) che anco li Spagnuoli tenessero la Provenza con soggezione alla corona di Francia.

Il padre cappuccino di Gioiosa è tenuto qua, non so se per bene o per male, e ritorna, per quanto intendo, costà. Sopra il Concilio battono tanto li ecclesiastici, che dubito non ottengano una volta. Il clero [p. 104 modifica]ne ha parlato; aspettomi che ne parli il nuncio, e poi il Toledo.

Intendo che quei della religione faranno congregazione appresso ad Orléans, che sarà appresso V. S., onde ella averà occasione di partecipare quello che sarà trattato.

In Germania li principi si vanno collegando: cosa che al papa dispiace sommamente. Qui si tiene che le cose di quell’imperio se ne vanno così: che l’imperatore sarà nè dimesso nè conosciuto per tale; che Mattias non sarà coronato re; che ognuno farà a suo modo.

Ho consegnato quella di V. S. al signor Asselinau: ho anco dato parte di quanto ella mi scrive.

Qui passano avvisi da Genova, e sono creduti, che in Spagna siino stati arrestati tutti li vascelli delli Stati: cosa che mi rende molto sospeso, avendo quel re accordato d’avvisarli sei mesi innanzi, quando non volesse che perseverassero a navigare alle sue terre. Dio faccia che le cose di quegli Stati non precipitino, come dubito, se la maestà cristianissima non li sostiene; chè d’Inghilterra non si può aspettar molto.

Non conviene ch’io sii più lungamente molesto a V. S.: pertanto farò fine baciandole la mano.

Di Venezia, il 2 di settembre 1608.




Note

  1. Edita, come sopra.
  2. Ciò valga a mettere in guardia quelli che troppo leggermente credono di conoscere e di possedere le vere Costituzioni Secreta Monita della compagnia di Gesù.
  3. Personaggio assai celebre fra i Gesuiti, che era pervenuto a posseder la grazia di Enrico IV, sino a farsi suo confessore; e pel quale fu detto che quel buon re “aveva del cotone nelle orecchie.„
  4. Il libro di cui qui parlasi è intitolato: Historia Jesuitici Ordinis, in qua de ejus auctore, nomine, gradibus, incremento, vita, votis, privilegiis ec. tractatur; e fu due volte impresso in Francfort, cioè nel 1593 e 1605. Aveva ben ragione il Sarpi di lamentare la mancanza di libri in Venezia.
  5. Queste allusioni sembrano riferibili al dotto francese Giovanni Papirio Masson (morto nel 1611), e che avea dato in luce le lettere del monaco Gilberto, ossia papa Silvestro II.