Lettere (Campanella)/X. Al medesimo
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X
Al medesimo
Il secondo appello al pontefice che non ha di che temere da uomo mortale. Ha chiesto d’esser mandato a Roma, dove potrebbero esser giudici suoi il Bellarmino ed il Baronio, non dice l’eminentissimo fra Girolamo Bernerio che è il protettore dell’ordine domenicano. Cosí solo si potrá mostrare quel che v’è di vero ne’ fatti di Calabria, e la furberia di coloro che lo perseguitano. Ricorda ancora una volta i propri libri e le promesse in favore del re Filippo III, mentre le sue profezie lo hanno fatto tenere per ribelle e soffrire da otto anni pene inaudite. Cita di nuovo i canoni ed i casi analoghi che lo dovrebbero proteggere; scrive di nascosto per pietá de’ carcerieri.
Beatissimo Padre,
Io di novo appello la causa mia al tribunal proprio di Vostra Beatitudine, perché la grandezza e numerositá delle miserie mie e la difficoltá di questa importantissima causa non pònno esser considerate e giudicate da giudici bassi ed attimorati, ma solo dalla Beatitudine Vostra che è luogotenente della prima Sapienza e prima Ragione, verbo eterno alla cui giuridizione tutte le creature razionali deven star soggette, e quelle che non ci sono per ignoranza o per fraude, ci saranno secondo ha promesso l’incarnata Sapienza: e giá siamo in procinto di veder le miraviglie sue in questo articolo magno di tempi cristiani, ma non ci è chi voglia mirarle, perché siamo figli delle tenebre «quos dies Domini sicut fur in nocte comprehendat». Ma spero in quella Sapienza a cui ho dedicato li studii e la vita mia, ché «nos non sumus noctis neque tenebrarum etc.».
Io le dico che la mia causa di ribellione è come quella di Amos: «rebellat Amos, o rex»: e cosí di tutti profeti e filosofi si legge chi furo facelle dell’eterna luce: ed essa luce venendo a quelle tenebre patío le medesime calunnie, «quia contradicit Caesari etc.», «se regem facit etc.», «blasphemat etc.», «daemonium habet etc.»; e mostrò morendo che con sangue e guai si sigilla la dottrina celeste. Ed è vero quel che dice Salomone: «vidi iustos, quibus mala proveniunt tanquam opera egerint impiorum: malos autem, qui ita securi sunt ac si bene egissent»; ma in questo tempo piú necessario è che si vegga questo, avendolo poco innanti la illustrissima sibilla delle sibille Brigida prenunciato: che qualchi pochi boni si trovaranno nella chiesa: «constringuntur sicut in cippo ita ut exeat medulla», ed altrove: «honor et virtus prosternetur, senes et sapientes non levabunt caput, donec etc.». E parlando dell’Anticristo giá istante, dice la fede del mondo novo e l’eresia di Germania e la conculcazione del clero esser ultimi segni della venuta: e giá Lutero suo precursore, arundine agitata, nemico di sacramenti, di penitenze e di modestia, e d’ogni ridicola furbaria maestro, opposto a san Giovan Battista, è comparso in Germania, secondo poco inanti avea predetto san Vincenzo: che tale e di tal regione di Germania avea di comparire.
Ed io veggo li segni «in sole et luna et stellis», che san Gregorio scrisse che solamente mancavano per vedersi l’ultimi accidenti della morte del mondo. Ma noi stiamo «sicut in diebus Noe comedentes et bibentes»; e perché di queste cose parlai, fui tenuto per ribello, riprendendo li scommunicati officiali li quali, sendo tutti quasi macchiavellisti, si pensano che la religione sia arte di stato e che ogni predicante e profeta cerca regni e stati umani: però dall’animo loro han misurato il mio, e volesse Dio che non misurassero con la medesima misura il vostro, anzi dell’apostoli stessi. Ed in vero fummo forzati a mostrarci eretici per non parere di essere mandati da prelati a ribellare, come diceano l’officiali scommunicati: e perché si gridò in Seminara dalli clerici che ruppero li carceri secolari per liberar un clerico: Viva il papa!; e fra Dionisio diavolo per uccidere quelli ch’aveano ucciso suo zio, concitava gente d’uscir in campagna, ed allegava li pronostichi miei delli terremoti che poi si videro in Calabria, — ed ognuno mi dava gran credito, — e della ruina della provinzia che predissi e fu così.
Per tanto, santissimo Padre, — sendo stato io otto anni in una fossa dove non vedo cielo né luce mai, sempre inferrato, con mal mangiare e peggio dormire, e con dolori di testa che casco spesso morto, e d’orecchie e di petto, oltre li tormenti asprissimi di corda e dui poliedri, e quaranta ore di vegghia con funicelli sin all’ossa e sedendo sopra un acutissimo legno chi mi secâro piú [che] due libre di carne, e piú che vinti di sangue in diverse volte m’uscîro, e sanai miracolosamente, e con tanta pazienza e miseria Dio mi tenne vivo, e per pazzia dove non giovò la sapienza, e con speranze divine mancando tutte l’umane, — devo oggi dopo tanta penitenza esser ascoltato dalla benignissima madre santa Chiesa e da Vostra Beatitudine.
Ci sono li canoni, De sententia et re indicata in Clementinis canon pastoralis, dove in tanta causa di ribellione dice che quanto è piú grave piú difensioni si devono dare e fuor delle mani della parte; e l’istoria di Tieberga nel decreto e di Caterina d’Austria negli Atti di Clemente VII, ch’appellâro con esser regine da quelli giudici, che stavano in paese soggetto alla parte, e pur fûro intese. Ed io chi son poverello, non solo nel paese della parte ma sotto le branche sotterrato vivo, con la bocca serrata, con lo re ingannato da quelli chi l’acquistâro la mercede dell’iniquitá ed il pane del mendazio con questa favola, e non mi lasciano mostrare li libri chi componea al re. — cioè la Monarchia di Spagna e ’l Discorso alli principi d’Italia che non l’impediscano e come l’hanno a guardare, e la Tragedia di Scozia, — e poi per la chiesa di Dio tanti libri contra tutte le sètte del mondo e contra Lutero e contra macchiavellisti: e pure Vostra Beatitudine non mi lascerá che mi difenda? O santo Padre, la logica della Sapienza incarnata è questa: «a fructibns cogniscetis eos»; e perché dall’ombre dell’arbor mio giudicano di me, e dalle parole di nemici, e non dalli frutti, dall’opere mie? Di piú, perché m’ascoltino secondo la legge, ho promesso fare al re ed a santa chiesa cose mirabili, ch’a Vostra Beatitudine saran venute in mani, e desidero e prego le veda; e pur non mi vogliono ascoltare.
Dunque non zelo del re li move, ma timore che il re non sappia la grande furbaria ch’usâro in Calabria: fingendo di salvarla, la spopolâro, la sacchiâro, la compostâro: e di questo fatto poi ricevettero premii dall’ingannato re Assuero li Amari, li Seiani, li Caini. Dunque Vostra Beatitudine facendomi ascoltare, fará al re grandissimo beneficio non solo per quel che prometto io a Sua Maestá, ma perché apra gli occhi, restituisca l’onor alla provincia e li latrocinii, e quelli denari ch’ha dato alli lupi, pensando che fossero mercenarii, ricuperarebbe. E queste veritá non si pònno conoscere, s’io non vengo a Roma: del che molto tremano e persuadeno al re per ragion di stato ignoratissima, che non mi lasci venire; ed è perché s’essi avessero un punto solo di ragione, sapendo che son tenuti per figli di santa chiesa e potentissimi di danari e di favori, ed io tenuto per diavolo e poverello e solo, non dubitarono del tribunal romano; ma sanno che non ci n’è ragione in loro, «et qui male agit, odit lucem». Però questi satrapi tirano gli altri satrapi al parer loro, e voglion combatter meco con ferri, fosse, boia, sbirri, tormenti e malanni: queste armi io non ho, ma solo la ragione: e d’ogni cento loro darò cinquanta e la mano, e litigarò e li vincerò con queste armi cristiane.
O santo Padre, tutta la vita mia fu studi reconditi e di veritá naturale e politiche e divine, e sempre piena di guai e di persecuzioni: e sempre con pazienza sono stato intra la santa chiesa, benché mille volte fui invitato d’andar in Francia ed in Germania, e da veneziani in Turchia con l’ambasciatore per persuadere al turco un gran negozio; e mai non l’ho fatto per lo gran desiderio e gioia ch’ho delli studi miei. E giá si vede vero quel che dice l’Ecclesiastico della sapienza che fa alli suoi seguaci: «timorem et probationem et metum inducet super illum et cruciabit illum in tribulatione doctrinae suae, donec innotescant cogitationes suae et credat animae suae», e poi «thesaurizabit super illum». Io passai queste pene per amor della sapienza, ed oggi ho voluto vedere il tesoro che fa di me, l’ho pregato Dio sa come. Vidi, intesi e conobbi che nella chiesa sono li doni di Cristo, sapienza, profezia, interpretazioni, curazioni, miracoli ed altri; ma stanno sepolti per la incredulitá, e perché noi ci servimo di Cristo e non servimo a Cristo.
Ed ecco che li laici ci pagano per giusto giudicio divino di questa stessa moneta che si servono della chiesa, ma non servono alla chiesa. Or io dissi a questi signori giudici, ch’almeno per mostrar cose mirabili d’atterrare questo macchiavellismo e di resuscitare li doni e la morta fede tra catolici e per conversion d’eretici mi lasciassero ch’io parli e venga a Roma; e tutti si burlano «qui terrena sapiunt», li giudici tremano che non m’hanno potuto dar da scrivere a Vostra Beatitudine né mutar di carcere, né li sacramenti stessi: ed io in parte li scuso, ché qua ci vuole Crisostomi, Ambrosi, Atanasi, Tomasi a far testa a tanta possanza. Se ben con belli modi tutto si potria fare. E mo’ io stavo piangendo com’Elia sotto il iunipero, dimandando la morte; ed ecco venir questo angelo samaritano dopo che mi sprezzâro li leviti e li ̔sacerdoti e «me tradiderunt in manus tribulantium et in animam inimicorum meorum», — questo, dico, mosso da spirito di sapienza e discrezione, leggendo le cose mie non volgari, e forse in spirito scritte piú che in lettera, — «et vult alligare vulnera mea». O beato Padre, ascolti Vostra Beatitudine questo meschino, se non ho parlato mai con giudei né con turchi né con eretici che non l’avessi fatti o cristiani o mutar quella ostinazione, e poi operò Dio, — e li posso dar lista di piú che cento convertiti, e son nato a questo; — e che giova ammazzarmi se posso far bene e non son tutto inutile e fracido membro?
Platone, non che san Tomaso, conobbe che non deve morire nella republica che può giuare; ed io che mal ho fatto? Se non che le parole altrui m’affliggono, «qui exierunt ex nobis, sed non erant ex nobis»; ma dico: «erunt in eodem lecto, unus assumetur, alias relinquetur». Nullo di miei parenti né di suoi fûro turchi né fuggîro, se non «filius perditionis»: ed io sto, come Ieremia, «profugus ad chaldaeos etc.». Di piú, io non trovarò mai settario al mondo che non lo convinca della sua falsa fede, e subito lo riduco alla legge naturale della prima Ragione; e fatto questo, disputo sopra li precetti di Cristo morali e ceremoniali, e monstro con viva magia divina che sono secondo la legge della natura, e scopro Cristo per prima Ragione governatrice amorosa, che per ragion di providenza e d’amore che ne porta, si dovea incarnare e farsi a noi accessibile, com’era inaccessibile prima, e darci legge certa di vivere o morir bene. E come ho convinto me, convinco gli altri: e questi ultimi segni son per far toccare con mani la ruina dell’epicureismo e peripateticismo che regna ed eterna il mondo; e pur non sono inteso.
Questo è ben peccato mio, ma può esser anche del commune: dopo che san Geronimo e san Gregorio si scaldaro contra i vizii del clero, venne il flagello di Macone, la cui legge consiste in favole e sporchezze, né può uomo sentirla senza ridere; e pur questo è giudicio di Dio che sia creduto non sapienza sua: «tradidit nos Deus in ignominiam et illos in reprobum sensum». Dopo si scaldò Beda e san Bernardo, non fûro creduti, e perdemmo Terra santa e l’Imperio orientale. Poi Brigida e Caterina ed altri santi; fin a poeti misero la bocca contra noi. E non credendo, venne Lutero e Calvino chi fan l’uomo bestia, Dio causa del male, che ne dice: fate bene; e poi c’inganna e ne fa fare il male per tradirci. E pur la gente crede a questo dio traditoresco calviniano e che ’l papato sia anticristiano, perché il sole della chiesa è eclissato.
Siamo cristiani per parentato e commoditá. Siamo ridutti ad Italia e Spagna: e qui regna il Macchiavello e la mortalitá dell’anima, l’eternitá del mondo, la providenza sproveduta di fisici ed astronomi, contra li quali io mi armai; ed ecco m’hanno vinto e posto nel lago di Ieremia. E voi, santissimi, non volete ascoltarmi: «quare persequimini me sicut Deus?». «Nunquid obliviscetur misereri Deus?». Et vos Dii cur obliviscimini? quali bolle In cena Domini e quali canoni v’osservano i laici? Io non mi faccio tal che possa rimediare; ma forse potria, «quia stulta et infirma elegit Deus etc.», ed «inventus est pauper et salvavit eum etc.». Io son tanto inamorato della gloria d’Italia, — e vedendo ch’ha perduto la signoria del mondo e che si serba il suo splendore solo nel papato, — che s’io fossi epicureo per ben della patria, come buon filosofo, son votato al sacrificio e martirio, e scrissi di ciò tanti libri che Vostra Beatitudine li saprá; e s’io parlarò a questo santo senato, farò vedere cose di grande amore e stupendo, se non saranno di sapienza stupenda. So che non posso esser creduto, ma mi doglio che non son lasciato a mostrar la prova: il primo è prudenza, il secondo malignitá di nemici communicata agli amici.
Il fuoco non contrastato né soffiato non s’accende: il contrasto e guai di mártiri accesero il fuoco celeste nella chiesa, splendevano i miracoli, per ognuno chi moria ne nasceano mille cristiani. Dunque li guai presi di buon cuore fan crescere il seme divino; ma poi il mondo cedette al clero e ci donò la robba e gli onori, ed ecco smorzato lo spirito quasi, raffreddata la caritá e ridotto il cristianesimo a dui angoli della terra, che prima era per tutto il mondo. E chi parla dell’antico spirito è burlato e si tiene per favola il passato, mentre si nega, s’atterra e si burla il presente: ed ecco piange la santa chiesa, come dice Brigida e san Bernardo: «in pace amaritudo mea amarissima ». La ragion di conservar lo stato, la prudenza terrena l’ha ridutta a niente. Io volendo dolermi di me, mi doglio della republica tutta, che son membro suo, e lo farò vedere: «et quare persequimini me sicut Deus?». «Si expandimus manus nostras ad Deum alienum, nonne Deus requirat ista? ipse enim novit abscondita cordis»; ma a voi fu detto: «a fructibus cognoscetis eos»; «sed si dealbatae fuerint manus meae et vestimento sicut nix, adhuc sordibus intingitis me?.». Lasciatemi mo’ stare, che son mentre vivo di santa chiesa, siate buoni protomedici e poi mi contento morire: ma che utile è macchiar la religione mia, la provinzia e ’l re stesso con l’infamia e sangue mio inaudito? Li cerco per giudici l’illustrissimi e reverendissimi Bellarmino e Baronio, colonne e luminari di santa chiesa, chi per tutto il mondo mandan lo splendor loro; lascimi Vostra Beatitudine appoggiare a queste colonne e nel lume loro scoprirsi la veritá o bugia mia. Non dico il signor illustrissimo e reverendissimo Ascolano, stella di pura dottrina e di fervido zelo, perch’è del mio ordine, ma questi signori; perché Vostra Beatitudine veda che io non fuggo il giudizio ma l’ingiustizia.
E cosí supplico, mi protesto e dico come so e posso, da questa fossa infelice, nascostamente, e prego che non si sappia: se non, mi aggiongono piú flagelli, e questi leopardi armati, che si moveno a misericordia di lasciarmi scrivere e guidare alli miei pastori, come pecora in man del lupo, pateriano assai. O santo Padre, li lupi che mi tengono in bocca, mi concedeno tanta misericordia per istinto miracoloso; e voi, santi pastori, non lasciarete che Dio metta nel vostro petto una scintilla di misericordia per la vostra pecorella? Absit. «Dominus mortificat et vivificat». Non posso pensare chi vi donò potestá di mortificar solo e non di vivificare ancora: due son le chiavi. «Quis es tu ut timeas ab homine mortali?»: fu detto a Vostra Beatitudine in Isaia. Se usa la sua potestá bene, non potrá l’inferno né il mondo tutto levarle un capello, «quia omnes numerati sunt»; ma se usano l’arte di stato e del mondo, certo il mondo ne vincerá, perché «filii huius saeculi sunt prudentiores filiis lucis»; tanto piú che v’hanno invitato al gioco loro dove sanno che pònno guadagnare, come li marioli nelli dadi falsi. Scrivo tremando ed altre lettere mandai: se vol vedere, veda; se non, facciamo mostrar la prova: l’inchiostro non può significare il fervor de l’animo mio dopo che ho visto e toccato in questi guai li misteri della fede e le cose celesti. Dio sia quello che mi conceda alli piedi di Vostra Beatitudine o morir come Anania e Safira, o cader come Simon mago s’io mento, overo dedicarmi al martirio con la sua benedizione; ché quanto scandalo s’è fatto per me tanto maggior edificazione ne resulti secondo l’ordine della Sapienza eterna che deve stare nel sacro petto del suo vicario. Amen.
[Napoli, marzo (?) 1607].