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lettere | 53 |
d’Austria negli Atti di Clemente VII, ch’appellâro con esser regine da quelli giudici, che stavano in paese soggetto alla parte, e pur fûro intese. Ed io chi son poverello, non solo nel paese della parte ma sotto le branche sotterrato vivo, con la bocca serrata, con lo re ingannato da quelli chi l’acquistâro la mercede dell’iniquitá ed il pane del mendazio con questa favola, e non mi lasciano mostrare li libri chi componea al re. — cioè la Monarchia di Spagna e ’l Discorso alli principi d’Italia che non l’impediscano e come l’hanno a guardare, e la Tragedia di Scozia, — e poi per la chiesa di Dio tanti libri contra tutte le sètte del mondo e contra Lutero e contra macchiavellisti: e pure Vostra Beatitudine non mi lascerá che mi difenda? O santo Padre, la logica della Sapienza incarnata è questa: «a fructibns cogniscetis eos»; e perché dall’ombre dell’arbor mio giudicano di me, e dalle parole di nemici, e non dalli frutti, dall’opere mie? Di piú, perché m’ascoltino secondo la legge, ho promesso fare al re ed a santa chiesa cose mirabili, ch’a Vostra Beatitudine saran venute in mani, e desidero e prego le veda; e pur non mi vogliono ascoltare.
Dunque non zelo del re li move, ma timore che il re non sappia la grande furbaria ch’usâro in Calabria: fingendo di salvarla, la spopolâro, la sacchiâro, la compostâro: e di questo fatto poi ricevettero premii dall’ingannato re Assuero li Amari, li Seiani, li Caini. Dunque Vostra Beatitudine facendomi ascoltare, fará al re grandissimo beneficio non solo per quel che prometto io a Sua Maestá, ma perché apra gli occhi, restituisca l’onor alla provincia e li latrocinii, e quelli denari ch’ha dato alli lupi, pensando che fossero mercenarii, ricuperarebbe. E queste veritá non si pònno conoscere, s’io non vengo a Roma: del che molto tremano e persuadeno al re per ragion di stato ignoratissima, che non mi lasci venire; ed è perché s’essi avessero un punto solo di ragione, sapendo che son tenuti per figli di santa chiesa e potentissimi di danari e di favori, ed io tenuto per diavolo e poverello e solo, non dubitarono del tribunal romano; ma sanno che non ci n’è ragione in loro, «et qui male agit, odit lucem». Però questi satrapi tirano gli