Lettere (Andreini)/Lettera CXII
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Della morte del Signor Torquato Tasso.
non sò riprender il vostro pietoso dolore, nè sò accusarvi, se così tosto non terminate i lamenti, perche è difficile nelle gran perdite l’impor presto silentio alla doglia, laquale stimo, che sia in voi grandissima, come quegli da cui si riputava malamente impiegato quel tempo, che non era speso nella cara, & util compagnia del Signor Tasso. Scrivete ancora, che se innanzi al suo fine gli haveste veduta bianca l’una, e l’altra tempia, vi sarebbe più facile tolerar l’affanno: ma ch’essend’egli morto allhora che ’l suo nobile ingegno ne prometteva parti gloriosissimi, non potete impor tregua non che pace alle lagrime, parendovi ingiustitia di Natura, che un’huomo sapiente, non habbia alcun privilegio di più vita, che un’ignorante. Finalmente la vostra lettera mandatami è tutta piena di cose degne di memoria, lequali, perche tutte versano nel lamentarsi dell’immatura morte del Signor Tasso mi sforzano à ricordarvi, che ’l vostro caro amico nacque mortale, e che l’esser mortale non è altro che un non essere, posciache l’huomo comincia à morire quand’egli comincia à nascere. Io credo, che la sua bell’anima gioisca d’haver abbandonato il Mondo, poich’egli (e sia detto con pace dell’istesso Mondo) non era degno d’haverla. Non sapete dunque, che sicome il Nocchiero ad altro non intende, che ad andar al porto, così vivere non è altro che incaminarsi alla morte? volgete gli occhi del pensiero à tutto quello, che ’l gran giro della Terra in se chiude, e vedrete, che la falce letale del Tempo, e della Morte miete universalmente ogni stame di vita, come chi ne’ larghi prati miete ogni sorte d’herba, e non pur vedrete dalla forza dell’uno, e dell’altra l’humana messe atterrata: ma i più superbi Tempij, & i più alti Palazzi, e non solamente questi: ma le Ville, le Castella, le Città, le Republiche, i Regni, e gli Imperi, e che ciò sia vero, vedesi, che d’una gran Città rimane appena un picciol grido per far, ch’altri sappia, ch’ella già fu al Mondo; bisogna dunque haver in mente, che non pur gli huomini, le Cittadi, & i Regni si ridurranno in polvere: ma che questo gran Mondo, che par, che non possa cadere, caderà anch’egli, riducendosi ogni sua delitia in cenere; però se cosa alcuna non può esser sicura dall’armi del Tempo, e della Morte, non vi maravigliate, se ’l Signor Tasso non ha potuto andarne essente, nell’istesso modo, che non dee maravigliarsi un particolare, quando la Città và tutta à sacco, se la sua casa non s’è salvata. Non bisogna dunque, che dispiaccia tanto, e principalmente ad un’huomo prudente, come siete voi, se un solo sopporta quello, che ogn’un sopporta; perche tutto quello, che più d’infelice è quà giù con l’esser commune si fa tolerabile, e la Morte addolcisse l’amaro della sua severità col far la sua funesta legge eguale ad ogn’uno; però Signor mio, benche la morte del celebratissimo Signor Tasso, non possa esser pianta à bastanza nè da voi, nè da tutto ’l Mondo, vi prego nondimeno à darvi pace, & à rasciugar le lagrime, lequali voglio, ch’abbian servito sin qui, per far conoscere, che voi havete sentita così gran perdita, e che havete punto la sua morte se non quanto si doveva almen quanto si poteva. Discacciate la tristezza, e lasciate, che la ragione habbia suo luogo considerando, ch’è di necessità il soffrire un mal necessario, e che non ci è modo migliore, per vincer la sorte, che disporsi à voler ciò, ch’ella vuole. Voi fate torto all’amico, & à voi stesso, se volete piangerlo, come si piangon quelli, che vanno interamente ne’ sepolchri, e che non lasciano altro di loro, che le ceneri, e l’ossa. Egli non è morto così, attesoche la sua fama sopravivendo alla sua morte tiene, e terrà sempre animata la sua gloria; e s’egli non vive col corpo, vive con quella parte, che ’l faceva esser huomo, e quello che più importa, che ’l faceva esser il Tasso, alqual conforto potete aggiungere, che se gli honori dati à quelli, che muoiono addolciscono gli affanni de gli amici, che rimangono, il cuor vostro ha grandissima occasione di mitigare, anzi pur di discacciar affatto i suoi tormenti, poiche morte d’alcuno non fu mai tanto honorata di pianti (non di pianti del volgo: ma della nobiltà, e della nobiltà vera ) com’è stata la sua, havendo i più candidi Cigni dopò lui pianto di maniera, che se un Dio (per dir così) fosse morto, non s’havria potuto pianger altramente. Voglio terminar questa lettera sperando, che voi ancora terminerete il dolore, ricordandovi, che morto non si può chiamar il Signor Torquato, essendoche morto non si può dir colui, che alle sue ceneri sopravive. Morte non è altro, che un perpetuo oblio, dunque il Signor Tasso non morirà mai, poiche l’oblio non gli havrà mai forza sopra. Egli col suo sapere ha dato ad altrui tal essempio di vita, che chi vorrà lungamente vivere bisognerà, che lungamente muoia, nella nobil lettura de’ suoi dottissimi scritti.