Lettere (Andreini)/Lettera CXIII

CXIII. Del maritare una figliuola.

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CXIII. Del maritare una figliuola.
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Del maritare una figliuola.


E
Gli è pur vero (vita mia dolce) che della Fortuna è costume quand’ella vuol ingannar un misero di dimostrarsegli benigna. Voi sapete molto meglio di me quanto ci fosse favorevole nel principio de’ nostri amori, & hora innaspettatamente mi si mostra tanto contraria, ch’io con minor doglia sentirei l’annuntio della mia morte, che la nuova, che per lei m’è stata data. Ah ben’è vero.

Che l’estremo del riso assale il pianto.

Io per me havererei havuto ardir di giurare, che mai, per qual si voglia accidente fosse avvenuta cosa, che turbar havesse potuto la felicità de’ nostri contenti: ma hora con mio grandissimo dolore m’avveggo quanto poco altri si dee prometter delle contentezze humane. Ohime, ch’è pur forza, ch’io vi metta à parte del mio tormento. E mi scoppia ’l cuore à pensarlo: oh considerate à scriverlo; e pur convien che ’l sappiate. Così volesse Amore, che quel dolor, che per tal nuova sentirete si facesse tutto mio, accioche facendosi più grave il martire, io per la sovverchia doglia ne rimanessi estinta, & voi non sentiste pur una [p. 110r modifica]scintilla di passione. Ohime Fortuna à che son’io condotta colpa della tua volubiltà? che bench’io senta doglia indicibile, nondimeno io la chiamo picciola, e di niun valore, poich’ella non mi toglie la vita, che di perder volontieri eleggerei più tosto che mettervi à parte del mio male: ma che? S’io non vel’ dico, altri vel dirà, & à me giova di credere, che vi sarà più caro d’intender alcuna nuova, benche amara da me, che da qual altro si voglia. Sappiate dunque anima mia cara, che mio padre venne hieri à me tutto allegro, e mi disse. Figliuola mia, essendo venuto il tempo d’accompagnarti, e che tu m’habbi à far contento della tua prole, per mezo della quale spero di conseguir se non immortalità almen vita per molti, e molti anni, ho eletto di maritarti, per ciò disponi l’animo tuo in conformità del mio, e di quello ancor di tua madre, laquale altro non brama che questo. Lo sposo, ch’io t’ho eletto è giovane, ricco, bello, e da te conosciuto. Io à queste parole mi feci tutta vermiglia, e ’l cuore per allegrezza, con moto frequente pareva, che volesse uscirmi di seno; à quel suono di giovane, bello, e da te conosciuto, mi caddè in animo, che foste voi, quand’egli seguitando il suo ragionamento disse. Quest’è ’l Signor Valerio. oh guarda mia cara figlia, s’hai occasione d’esser contenta, oh quante t’havranno invidia. S’alle prime parole mi feci nel viso di fuoco, alle seconde mi feci di neve, e mi corse un freddo ghiaccio per l’ossa, e chinando gli occhi à terra non men rimasi attonita, e stupida, che s’i’ havessi veduta la [p. 110v modifica]sassifica testa di Medusa, allaqual mutatione comprese mio padre come accorto, che la proposta non mi piaceva, e con tutte le ragioni, che possa addur un padre, mi confortò à far la sua voglia, e facendomi forza, perch’io rispondessi, prima sgorgando un lagrimoso rivo da gli occhi con voce debile da sospiri, e da singulti interrotta li dissi. Padre mio, se insino à quest’hora qual figliuola obediente non apersi mai la bocca per contradirvi; ma continuamente mi feci, legge del voler vostro, hor, che vuol grand’occasione ch’io dica l’animo mio il dirò, essendo ragionevole, che più tosto mio padre ’l sappia, che altri. Dunque con ogni dovuta humiltà vi dico non esser di mio contento di pigliar questo giovane ancorche dotato di qualità così rare, e di gratia non vi turbate; ma con rimembranza dell’ubbidienza passata perdonatemi la disubbidienza presente, e credetemi padre mio, che non altro pensiero, che di viver ancora per qualch’anno sotto la vostra custodia, e sotto i cari, e savij ammaestramenti della mia dolce madre hora mi vi fà contradire. Padre mio un’hora io non saprei viver senza voi, non voglio uscir ancora delle vostre braccia, e voglio credere, che non sarete così crudele che vogliate discacciarmi à viva forza. Tacqui finito questo con animo tremante come colui, che aspetta sentenza di casa, che molto gli prema, e ben vidi, che mia madre (presente anch’ella à questo) s’era piegata alle mie parole, e piangendo al mio pianto aperse la bocca per pregar mio padre à concedermi la giusta gratia, quand’egli tutto infuriato mi disse. Ah [p. 111r modifica]comprendo ben’io, che non l’amor di tuo padre, o di tua madre; ma altro ti spinge à non compiacer al mio volere. Figlia, che nega di maritarsi degnamente quand’è ’l tempo si dimostra d’alcuna cosa colpevole. In somma disponti di dar il tuo consenso, perche così voglio, e domani o lieta, o trista lo sposo hà da toccarti la mano, sì che intendi. Ciò detto si partì così fiero, che spaventò l’istessa mia madre, laquale tutta mesta si partì anch’ella di camera lasciando me sola in preda alla disperatione, & al dolore presupponendo per quant’io mi creda dover essermi di giovamento il pianto. Io così rimasa presi questa carta, e bagnandola più di lagrime, che d’inchiostro feci pensiero di scoprirvi l’infelice mio stato non sapendo che rimedio trovare à tanto mio bisogno, se nol trovate voi, voi, che della mia cadente vita siete vero sostegno. A voi ricorro in questo mio gran pericolo, e vi prego per quell’amore, che mi portate, e ch’io vi porto, per quella fede, c’hò in voi, e per quella riverenza con che v’osservo, che vogliate darmi alcun’aiuto, ch’io sempre conoscerò ogni mia felicità da voi, e se non sarò atta à ricompensarla, la ricompenserà il Cielo giusto premiatore delle buone opere. Imaginate, tentate, trovate modo per soccorrermi, e muovetevi à compassione di me, che cinta da tante miserie non sò à qual partito appigliarmi. Io non voglio esser se non vostra, se però vi contentate. Vi prego con tutto ’l cuore a farmi questa gratia, assicurandovi, che se non trovate modo di farmi vostra, io troverò modo d’uscir di vita.