Leonardo prosatore/Scritti scientifici/Il corpo umano
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IL CORPO UMANO.
O speculatore di questa nostra macchina, non ti contristare perchè coll’altrui morte tu ne dia notizia, ma rallegrati che il nostro Altore abbia fermo lo intelletto a tale eccellenzia di strumento.
Quad. An. Cr., II, 5 v. |
IL CORPO UMANO
Ufficio del dolore nella vita animale.
Se la natura ha ordinato la doglia nell’anime vigitative col moto, per conservazione delli strumenti i quali pel moto si potrebbono diminuire e guastare, l’anime vigitative sanza moto non hanno a percorrere nè ’ncontrare posti obbietti, onde la doglia non è necessaria nelle piante, onde rompendole non sentano dolore come quelle delli animali.
Medicina e malattia.
Medicina è riparegiamento de disequalati elementi. Malattia è discordanza d’elementi fusi nel vitale corpo.
Contro gl’interruttori delle sezioni cadaveriche.
Li abbreviatori delle opere fanno ingiuria alla cognizione e allo amore, con ciò sia che l’amore di qualunche cosa è figliolo d’essa cognizione, e l’amore è tanto più fervente quanto la cognizione è più certa, la quale certezza nasce dalla cognizione integrale di tutte quelle parte, le quali, essendo insieme unite, compongano il tutto di quelle cose che debbono essere amate.
Che vale a quel che per abbreviare le parte di quelle cose che lui fa professione di darne integral notizia, che lui lasci indietro la maggior parte delle cose di che il tutto è composto?
Gli è vero che la impazienza, madre della stoltizia, è quella che lalda la brevità; come se questi tali non avessino tanto di vita che li servissi a potere avere una intera notizia d’un sol particulare, come è un corpo umano! e poi vogliano abbracciare la mente di Dio, nella quale s’include l’universo, caratando e minuzzando quella in infinite parte, come l’avessino a notomizzare.
O stoltizia umana! non t’avvedi tu che tu se’ stato con teco tutta la tua età, e non hai ancora notizia di quella cosa che tu più possiedi, cioè della tua pazzia? e voli poi, colla moltitudine dei sofistichi, ingannare te e altri, sprezzando le matematiche scienze, nelle qual si contiene la vera notizia delle cose che in lor si contengano; e voi poi scorrere ne’ miracoli e scrivere e dar notizia di quelle cose di che la mente umana non è capace, e non si posson dimostrare per nessuno esemplo naturale; e ti pare avere fatto miraculi quando tu ha guasto una opera d’alcuno ingegnio speculativo; e non t’avvedi che tu cadi nel medesimo errore che fa quello che denuda la pianta dell’ornamento de’ sua rami, pieni di fronde miste colli odoriferi fiori e frutti sopra, e dimostra in quella pianta esser da fare di inude tavole.
Come fece Giustino, abbreviator delle Storie scritte da Troco Pompeo1 (il quale scrisse ornatamente tutti li eccellenti fatti delli sua antichi, li quali eran pieni di mirabilissimi ornamenti), e così compose una cosa inuda, ma sol degnia d’ingegni impazienti, li quali pare lor perder tanto di tempo, quant’è quello che è adoperato utilmente, cioè nelli studi delle opere di natura e delle cose umane.
Ma stieno questi tali in compagnia delle bestie, e li lor cortigiani sien cani e altri animali pien di rapina e accompagninsi con lor; correndo sempre dietro a chi fugge, seguitano l’innocenti animali che, con la fame, alli tempi delle gran nevi, ti vengano alle case, dimandanti limosina, come a lor tutore.
E se tu se’, come tu ài iscritto, il re delli animali (ma meglio dirai dicendo re delle bestie, essendo tu la magiore), perchè non li aiuti a ciò che ti possin poi darti li lor figlioli in benefizio della tua gola, colla quale tu ài tentato farti sepoltura di tutti li animali? e più oltre direi, se ’l dire il vero mi fussi integralmente lecito. Non usciam delle cose umane dicendo una somma iscellerataggine, la qual non accade nelli animali terrestri, imperò che in quelli non si trova animali che mangino della loro spezie se non per mancamento di celabro (imperò che infra loro è de’ matti, come infra li omini, benchè non sieno in tanto numero), e questo non accade se non ne li animali rapaci, come nella spezie leonina e pardi, pantera, cerveri, catte e simili, li quali alcuna volta si mangiano i figlioli; ma tu, oltre alli figlioli, ti mangi il padre, madre, fratelli e amici, e non ti basta questo, che tu vai a caccia per le altrui isole pigliando li altri omini; e quelli.... fai ingrassare e te li cacci giù per la tua gola2! Or non produce natura tanti semplici che tu ti possa saziare? e se non ti contenti de’ semplici, non poi tu con la mistion di quelli fare infiniti composti come scrisse il Platina3 e li altri altori di gola?
E se alcuno se ne trova vertuoso e bono nollo scacciate da voi, fateli onore, a ciò che non abbia a fuggirsi da voi e ridursi nelli ermi o spelonche o altri lochi soletari per fuggirsi dalle vostre insidie; e se alcun di questi tali si trova, fateli onore, perchè questi sono i nostri idei terrestri, questi meritan da noi le statue, simulacri e li onori; ma ben vi ricordo che li lor simulacri non sien da voi mangiati, come accade in alcuna regione dell’India, che quando li lor simulacri operano alcuno miraculo (secondo loro), li sacerdoti lo tagliano in pezzi, essendo di legno, e ne danno a tutti quelli del paese, e non sanza premio4, e ciascun raspa sottilmente la sua parte e mette sopra la prima vivanda che mangiano, e così tengan per fede aversi mangiato il suo santo, e credan che lui li guardi poi da tutti li pericoli. Che ti pare, omo, qui della tua spezie? se’ tu così savio come tu ti tieni? son queste cose da esser fatte da omini?
Chi non stima la vita non la merita.
E tu, omo, che consideri in questa mia fatica l’opere mirabile della natura, se giudicherai esser cosa nefanda il destruggerla, or pensa essere cosa nefandissima il torre la vita all’omo, del quale, se questa sua composizione ti pare di maraviglioso artifizio, pensa questa essere nulla rispetto all’anima, che in tale architettura abita, e veramente, quale essa si sia, ella è cosa divina, si che lasciala abitare nella sua opera a suo beneplacito, e non volere che la tua ira o malignità destrugga una tanta vita (chè, veramente, chi nolla stima nolla merita), poichè così mal volentieri si parte dal corpo, e ben credo che ’l suo pianto e dolore non sia sanza cagione.
E ingegnati di conservare la sanità, la qual cosa tanto più ti riuscirà quanto più da fisici ti guarderai, perchè le sue composizione son di spezie d’archimia5, della qual non è men numero di libri ch’esista di medicina.
Rispondenza tra il corpo e l’anima.
Chi vole vedere come l’anima abita nel suo corpo, guardi come esso corpo usa la sua cotidiana abitazione6; cioè, se quella è sanza ordine e confusa, disordinato e confuso fia il corpo tenuto dalla su’ anima.
Non mi pare chi li omini grossi, e di tristi costumi, e di poco discorso meritino sì bello strumento, nè tante varietà di macchinamenti, quanto li omini speculativi, e di gran discorsi, ma solo un sacco dove si riceva il cibo e donde esso esca; che in vero, altro che un transito di cibo non sono da esser giudicati; perchè niente mi pare che essi partecipino di spezie umana, altro che la voce e la figura, e tutto el resto è assai manco che bestia.
Proemio della sua anatomia.
E tu, che di’ esser meglio il vedere fare la notomia, che vedere tali disegni, diresti bene, se fussi possibile veder tutte queste cose, che in tal disegni si dimostrano, in una sola figura; nella quale, con tutto il tuo ingegnio, non vedrai e non arai la notizia se non d’alquante poche vene; delle quali io, per averne vera e piena notizia, ho disfatti più di dieci corpi umani, destruggendo ogni altri membri, consumando con minutissime particule tutta la carne che d’intorno a esse vene si trovava, sanza insanguinarle, se non d’insensibile insanguinamento delle vene capillare. E un sol corpo non bastava a tanto tempo, che bisogna procedere di mano in mano in tanti corpi, che si finissi la intera cognizione; la qual ripricai due volte per vedere le differenzie.
E se tu arai l’amore a tal cosa, tu sarai forse impedito dallo stomaco; e se questo non ti impedisce, tu sarai forse impedito dalla paura coll’abitare nelli tempi notturni in compagnia di tali morti squartati e scorticati e spaventevoli a vederli; e se questo non t’impedisce, forse ti mancherà il disegnio bono, il quale s’appartiene a tal figurazione.
E se tu arai il disegno, e’ non sarà accompagnato dalla prespettiva; e se sarà accompagnato, e’ ti mancherà l’ordine delle dimostrazion geometriche e l’ordine delle calculazion delle forze e valimento de’ muscoli; e forse ti mancherà la pazienza, se tu non sarai diligente.
Delle quali, se in me tutte queste cose sono state o no, centoventi libri da me composti ne daran sentenzia del sì o del no, nelli quali non sono stato impedito nè d’avarizia o negligenzia, ma sol dal tempo. Vale.
Vantaggi del disegno negli studi anatomici.
... io ti ricordo che tu non t’impanchi colle parole se non di parlare con orbi, o se pur tu voi dimostrar con parole alli orecchi e non all’occhi delli omini, parla di cose di sustanzie o di nature7, o non t’impacciare di cose appartenenti alli occhi col farle passare per li orecchi, perchè sarai superato di gran lungo dall’opera del pictore.
Con quali lettere descriverrai questo core che tu non empia un libro? e quanto più lungamente scriverrai alla minuta, tanto più confonderai la mente dello alditore e sempre arai bisognio di sponitori o di ritornare alla sperienzia, la quale in voi è brevissima e dà notizia di poche cose rispetto al tutto del subbietto di che desideri integral notizia8.
Tracce per il Trattato sull’Anatomia.
Comincia la tua anatomia all’omo perfetto, e poi lo fa vecchio e men muscoloso, po’ va spogliando a gradi insino all’ossa.
E ’l putto farai poi colla dimostrazion della matrice.
Dopo la dimostrazione di tutte le parte delle membra dell’omo e delli altri animali, si figurerà il modo del bene oprare tali membri, cioè: dello levarsi da diacere, d’andare, correre, saltare per diversi aspetti, levare e portare gran pesi, gittare cose lontane da se, e del notare, e così in ciascuno atto dimostrare quali membri e muscoli sieno causa delle predette operazioni, e massime del giucar di braccia.
Adunque qui con 15 figure intere ti sarà mostro la cosmografia del minor mondo9, col medesimo ordine che inanzi a me fu fatto da Tolomeo nella sua cosmografia; e così dividerò poi quelle membra, come lui divise il tutto in province, e poi dirò l’ufizio delle parti per ciascun verso, mettendoti dinanti alli occhi la notizia di tutta la figura e valitudine dell’omo in quanto ha moto locale mediante le sue parte.
E così piacessi al nostro Altore che io potessi dimostrare la natura delli omini e loro costumi nel modo che io descrivo la sua figura.
Il core.
Il core in sè non è principio di vita; ma è un vaso fatto di denso muscolo, vivificato e nutrito dall’arteria e vena, come sono gli altri muscoli. Vero è che il sangue e l’arteria, che in lui si purga, son vita e nutrimento delli altri muscoli, ed è di tal densità che appena il foco li po nuocere; e questo si vede nelli omini bruciati, li quali, poi che son cenerizzate le sua osse, il core è ancor dentro sanguinoso; e questa tanta resistenzia di caldo ha fatto la natura, acciocchè e’ possa resistere al gran calore, che si genera nel sinistro lato del core, mediante il sangue dell’arteria, che in tal ventriculo s’assottiglia10.
Il core è il nocciolo che genera l’albero delle vene; le quali vene han le radici nel letame, cioè le vene miseraice, che van a diporre lo acquistato sangue nel fegato, donde poi le vene superiori del fegato si nutricano.
Se il core muta sito per la sua morte o no.
La mutazione del core per la sua morte è equale alla mutazione che esso fa nella espulsione del suo sangue11, e qualche cosa meno.
Questo si manifesta quando si vede li porci in Toscana, li quali passano il core alli porci con uno strumento detto spillo, co’ il quale si trae il vi[no] delle botti, e così arrovesciando il porco e fermatolo bene, li passano il lato destro insieme col core con tale spillo e mettendolo in dentro addirittura; e se tale spillo passa il core quando è allungato, il core nella sua espulsione del sangue si raccorta e tira la ferita in alto insieme colla punta dello spillo, e tanto quanto elli alza la punta dello spillo di dentro, tanto abbassa il manico dello spillo di fora; e poi quando il core si distende e spigne in basso essa ferita, allora la parte di fori d’esso spillo fa moto contrario alla parte di dentro che si move insieme col moto del core; e così fa molte volte, in modo che al fine della vita esso spillo esteriore rimane in mezzo alli stremi dove eran li ultimi moti contrari del core quando era vivo, e quando il core sia interamente freddo, elli si ritira una minima parte e si raccerta per quanto era lo spazio occupato dal caldo, perchè il caldo cresce o diminuisce quel corpo dov’egli entra o esce; e questo ho veduto più volte e ho osservato tali misure e lasciato stare tale strumento nel core in fin che tale animale è sparato.
Le vene.
Le vene sono estensibili e dilatabili; e di questo donerò testimonianza coll’avere io veduto uno ferirsi a caso la vena comune, e immediate riserratosela con istretta legatura, e in ispazio di pochi giorni crescere un’apostema sanguinea, grossa come un ovo d’oca, piena di sangue, e così stare più anni; e ancora ho trovato, ’n un decrepito, le vene miseraice riserrato il transito al sangue12, e raddoppiate in lunghezza.
Alterazioni senili.
L’arteria e la vena13, che, ne’ vecchi, s’astende infralla milza e ’l fegato, si fan di tanta grossezza di pelle ch’ella serra il transito del sangue che viene dalle vene miseraice, per le quali esso sangue trascorre al fegato e al core e alle due vene maggiori, e, per conseguenza, per tutto il corpo; e tali vene, oltre allo ingrossamento della pelle, crescano in lunghezza e si attorcigliano a uso di biscia, e il fegato perde l’omore del sangue che da questa li era porto; onde esso fegato si disecca e fassi al modo di crusca congelata, sì in colore come in materia, in modo che con poca confregazione che sopra esso si faccia, essa materia cade in minute particule, come segatura, e lascia le vene e arterie; e le vene del fiele e dell’ ombelico che, per la porta del fegato, in esso fegato entravano, rimangono tutte spogliate della materia d’esso fegato, a uso della meliga o saggina, quando n’è spiccati li grani14.
Il colon e l’altre interiora ne’ vecchi molto si ristringano15 e ho trovate loro pietre nelle vene16 che passan sotto le forcole del petto, le quali eran grosse come castagne, di colore e forma di tartufi, over di loppa o marogna di ferro, le quali pietre eran durissime, come essa marogna, e avevan sacchi appiccati alle dette vene a modo di gozzi.
E questo vecchio, di poche ore innanzi la sua morte, mi disse lui passare cento anni, e che non si sentiva alcun mancamento della persona, altro che debolezza; e così, standosi a sedere sopra uno letto nello Spedale di Santa Maria Nova di Firenze, sanza altro movimento o segnio d’alcuno accidente, passò di questa vita.
E io ne feci notomia per vedere la causa di sì dolce morte, la quale trovai venire meno17 per mancamento di sangue e arteria che notria il core e li altri membri inferiori, li quali trovai molto aridi, stenuati e secchi; la qual notomia discrissi assai diligentemente e con gran facilità, per essere privato di grasso e d’omore, che assai impedisce la cognizione delle parti.
L’altra notomia fu d’un putto di due anni, nella quale trovai ogni cosa contraria a quella del vecchio.
Li vecchi che vivano con sanità, moiano per carestia di nutrimento, e questo accade perchè elli è ristretto al continuo il transito delle vene miseraice, per lo ingrossamento della pelle d’esse vene successivamente insino alle vene capillari, le quali son le prime che interamente si richiudano, e da questo nascie che li vecchi teman più il freddo che li giovani, e che quelli che son morti vecchi hanno la pelle di color di legnio o di castagnia secca, perchè tal pelle è quasi al tutto privata di nutrimento.
E tale tonica di vene fa nell’omo come nelli pomeranci, alli quali tanto più ingrossa la scorza e diminuisce la midolla quanto più si fanno vecchi.
E se tu dirai che lo ingrossamento del sangue non corre per le vene, questo non è vero, perchè il sangue non ingrossa nelle vene, perchè al continuo more e rinasce18.
Difficoltà dell’esame anatomico dei nervi.
E ricordoti che la notomia delli nervi non ti darà la situazione di loro ramificazione nè in quali muscoli essi si ramifichino, mediante li corpi disfatti in acqua corrente o in acqua di calcina, perchè ancora che ti rimanga l’origine de’ lor nascimenti sanza tale acqua come con l’acqua, le ramificazione loro pel corso dell’acqua si vengano a unire, non altrementi che si facci il lino o canapa pettinata per filare, tutta in un fascio, in modo che impossibile è a ritrovare in quali muscoli o con quale o con quante ramificazione li nervi s’infondino ne’ predetti muscoli.
Meccanismo della respirazione.
Que’ muscoli19 han moto volontario e non volontario, con ciò sia che loro son quelli che aprano e serrano il polmone; aprano quando essi lasciano il loro ufizio, cioè del raccortarsi, chè in tal tempo le coste, ch’eran prima tirate e costrette insieme pel raccortare di tal muscoli, allor rimangano in libertà e tornano alla loro naturale distanzia; allora il petto s’allarga, e perchè e’ non si può dare vacuo in natura, il polmone, che di dentro toccava le coste, è necessario che lui seguiti il lor dilatamento; e così aprendosi il polmone, a uso di mantace, tira l’aria che riempie il suo creato spazio.
Della dimostrazione come si statuisce la spina del collo.
In questa dimostrazione del collo si farà tante figure di muscoli e corde, quanto sono li uffizi dell’azion d’esso collo; e questo primo, che qui si nota, è come le coste nelle lor fortezze sostengano diritta la spina del collo, e, mediante le corde che salgano a essa spina, esse corde fan doppio uffizio, cioè ch’elle sostengano la spina mediante le coste, e sostengano le coste mediante la spina; e tale duplicità di potenzie, situate nelli stremi opositi di tal corda, adoprano con essa corda non altrementi che si adopri la corda colli stremi dell’arco, ma questo tal concorso di muscoli alla spina la sostengano diritti, sì come le corde delle navi sostengano il suo albero; e le medesime corde, legate all’albero, ancora sostengano in parte le sponde de’ navili, alle quali son congiunte.
Difesa dell’occhio.
Perchè l’occhio è finestra dell’anima, ella è sempre con timore di perderlo, in modo tale ch’essendoli mossa una cosa dinanzi che dia subito spavento all’omo, quello colle mani non soccorre il core, fonte della vita, nè ’l capo, ricettaculo del signore de’ sensi, nè audito, nè odorato o gusto, anzi subito lo spaventato senso: non bastando chiudere li occhi con sua coperchi serrati con somma forza, che subito lo rivolge in contraria parte; non sicurando ancora20, vi pone la mano, e l’altra distende, facendo antiguardia contro al sospetto suo.
Ancora, la natura ha ordinato che l’occhio de l’omo per se medesimo col coperchio si chiuda, acciò che, non sendo da esso dormiente guardato, d’alcuna cosa non sia offeso.
Dilatazione e restringimento della pupilla.
La pupilla dell’occhio si muta in tante varie grandezze, quanto son le varietà delle chiarezze e oscurità delli obbietti che dinanzi se li rappresentano.
In questo caso la natura ha riparato alla virtù visiva, quando ella è offesa dalla superchia luce, di ristrignere la popilla dell’occhio, e quando è offesa dalle diverse oscurità, d’allargare essa luce, a similitudine della bocca della borsa. E fa qui la natura come quel che ha troppo lume alla sua abitazione che serra una mezza finestra e più e men, secondo la necessità; e quando viene la notte esso aprie tutta essa finestra per vedere meglio dentro a detta abitazione. E usa qui la natura una continua equazione, col continuo temprare e ragguagliare, col crescere la popilla e diminuirla, a proporzione delle predette oscurità o chiarezze che dinanzi al continuo se le rappresentano.
Vedrai la sperienzia nelli animali notturni, come gatte, grifi, allocchi e simili, li quali di mezzogiorno hanno la popilla piccola e di notte grandissima, e ’l simile fan tutti li animali terrestri d’aria e d’acqua, ma più senza comparazione li animali notturni. E se lo voi sperimentare nell’omo, guardali fisso la popilla dell’occhio tenendo una candela accesa alquanto discosto e falli guardare esso lume, il quali li accosterai a poco a poco, e vedrai essa popilla che quanto più tal lume se le avvicina tanto più si ristrigne.
Come il corpo dell’animale al continuo more e rinasce.
Il corpo di qualunche cosa la qual si nutrica, al continuo muore e al continuo rinasce, perchè entrare non può nutrimento se non in quelli lochi dove il passato nutrimento è spirato; e s’elli è spirato, elli non ha più vita, e se tu non li rendi nutrimento equale al nutrimento partito, allora la vita manca di sua valetudine; e se tu li levi esso nutrimento, la vita in tutto resta destrutta, ma se tu ne rendi tanto quanto se ne destrugge alla giornata, allora tanto rinasce di vita quanto se ne consuma; a similitudine del lume fatto dalla candela col nutrimento datoli dall’omore di essa candela, il quale lume ancora lui, al continuo, con velocissimo soccorso, restaura di sotto quanto di sopra se ne consuma morendo, e di splendida luce si converte, morendo, in tenebroso fumo; la qual morte è continua, sicome continuo esso fumo, e la continuità di tal fumo è equale al continuato nutrimento, e in istante21 tutto il lume è morto e tutto rigenerato insieme col moto di nutrimento suo22.
E la sua vita ancora lei riceve il flusso e reflusso, come ci mostra la ventilazione della sua cima; e il medesimo accade nelli corpi delli animali, mediante il battimento del core, che genera l’onda del sangue per tutte le vene, le quali al continuo si dilatano e constringano; e la dilatazione è nel ricevere il superchio sangue, e la diminuzione è nel lasciare soprabbondanzia del ricevuto sangue; e questo c’ insegna il battimento del polso, quando colle dita si tocca le predette vene in qualunche loco del corpo vivo. Ma, per ritornare al nostro intento, dico che la carne delli animali è rifatta dal sangue, che al continuo si genera del lor nutrimento, e che essa carne si disfa, e ritorna per le arterie miseraice, e si rende alle intestine, dove si putrefà di putrida e fetente morte, come ci mostran nelle loro espulsioni e caligine, come fa il fumo e foco dato per comparazione.
Note
- ↑ Marcio Iuniano (Iustinus), storico vivente prima del sec. V d. C., ridusse l’opera di Trogus Pompeius (storico dell’età d’Augusto) intitolata Historiarum Philippicarum libri XLIV. Quest’opera è andata perduta. Justinus fece il sommario di ciascun libro e lo corredò della scelta dei più bei passi tolti dall’originale.
- ↑ Allude certamente a costumi di popoli antropofaghi di cui gli era giunta notizia.
- ↑ Bartolomeo Sacchi, detto il Platina. L’opera a cui il V. allude è l’Opusculum de obsoniis ac honesta voluptate, tradotto in italiano alla fine del Quattrocento (Cividale, 1481) in cui dà precetti per comporre cibi coi semplici vegetali.
- ↑ Compenso.
- ↑ Ossia non si basano su principi scientifici, ma su chimere: come acutamente il V. giudica la medicina del suo tempo!
- ↑ Come il corpo approfitti del dimorare dell’anima in lui.
- ↑ Dell’essenza delle cose, ossia di Metafisica.
- ↑ Si dissettava un cadavere o due all’anno nelle Università più famose!
- ↑ L’uomo.
- ↑ È cosa ormai provata che i muscoli del cuore, specialmente quelli della parete del ventricolo sinistro, hanno particolare consistenza e spessore. Quanto poi alla resistenza che il cuore, secondo il V., opporrebbe alla combustione, è da ritenersi una favola.
- ↑ Infatti il cuore cessa di pulsare in sistole, e la morte improvvisa, poi, dà sistole completa.
- ↑ Il fenomeno è indicato modernamente col nome di flebosclerosi. Più sotto il Vinci parla anche di arteriosclerosi.
- ↑ Di solito il Vinci adopera senza troppo distinguere le due parole. Qui par alludere all’aorta addominale e alla vena cava. Costruisci: nei vecchi, l’arteria e la vena che s’astende ecc.
- ↑ Il Vinci descrive le alterazioni prodotte dalla cirosi epatica; però l’anormale circolazione del sangue ch’egli ritiene effetto dell’arteriosclerosi è assai più spesso dovuta alla retrazione della sostanza epatica. La vena del fiele è, probabilmente, il condotto che porta la bile dal fegato alla cistifelle; la vena dell’ombelico, l’uraco.
- ↑ Involuzione degli organi addominali.
- ↑ Aneurismi e fleboliti.
- ↑ Meno, scrive il Vinci, pensando alla vita, non alla morte.
- ↑ Infatti è erronea la credenza popolare del cosidetto sangue grosso; il sangue si mantiene sempre uguale a se stesso.
- ↑ Gl’intercostali.
- ↑ Non essendo ancora sicuro.
- ↑ Sull’istante.
- ↑ Vedi la nota a pag. 81.