Leggenda eterna/Risveglio/Inferma
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INFERMA.
Eccola finalmente
la sera! Io dal mio letto
guardo con le pupille sonnolente
un fil di luna, che traverso i vetri
viene della malata solitaria
la buia stanza a popolar di spetri.
Viene, va, la veloce
schiera dell’ombre, e tutte
hanno forme diverse, hanno una voce
diversa, e sveglia nel passar ciascuna
ombra un pensiero, un sogno, una memoria,
poi sfuma cheta al lume della Luna.
Parlano, o nelle mani
bianche stringono bianche
carte. Io leggo i caratteri lontani
senza schiuder le ciglia. È l’infinita
schiera delle parole udite o lette
palpitando, nel sogno o nella vita.
Parole come impresse
sul foglio con un ferro
rovente; così a noi parve, e che ardesse
quel foglio; e alzammo gli occhi e in ogni parte
li volgemmo a veder se ancora i nostri
compagni: i libri, i mobili, le carte
dinanzi, intorno, accosto
a noi, fossero sempre
impassibili, là, ciascuno al posto
di prima, folla indifferente e ignava,
mentre la nostra ultima fede in una
oscura immensità precipitava.
Parole dall’accento
portentoso; parole
che come una gagliarda ala di vento
strapparon via le nebbie ad una nera
giornata di dicembre e ai campi, e ai prati
fulse improvviso il sol di primavera.
Parole di preghiera,
di tenerezza, un giorno
non curate, e la cui voce sincera,
da un vecchio foglio emersa, ora soltanto
ci asseta d’un amor senza ritorno
e ci gonfia i pentiti occhi di pianto!
Parole di comando,
di tuono, che i dispersi
soldati, vinti dal terrore, quando
la speranza è perduta, e dallo spalto
nemico infuria il foco, arresta nella
fuga, e rimena docili all’assalto.
Parole dell’accusa;
sottili, avvelenate
come pugnali, che il pensier ricusa
d’intendere, che il core sbigottito
non frena, e fra due strette anime innalzano,
rapidamente, un muro di granito.
Parole dei morenti;
rotti, misterïosi
da bianche labbra balbettanti accenti,
dove già parla come il sogno immenso
d’un’altra vita, e noi lascian pensosi,
finchè viviam, del loro occulto senso!
Tutte, tutte io le sento
venir, fuggir veloci,
leggiere, e nel mio capo, sonnolento
di febbre, sveglia nel passar, ciascuna
ombra, un pensiero, un sogno, una memoria;
poi sfuma cheta al lume della Luna.