Parodo

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Euripide - Le supplici (423 a.C. / 421 a. C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Parodo
Prologo Primo episodio
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coro
Strofe I
O vegliarda, ti supplica
l’antico labbro mio:
cado alle tue ginocchia.
Libera i figli miei, non far che restino
insepolte le membra dei cadaveri
giacenti, nell’oblio,
feral, preda alle scane
delle fiere montane.

Antistrofe I
Ti muova questo misero
pianto dei nostri cigli,
e le impronte che incidono
le mani sopra le mie membra pallide.
Ahimè, ch’io non potei recare in patria
i miei defunti figli,
e non s’addensa cumulo
di terra a lor sul tumulo.

Strofe II
Anche tu fosti madre, avesti un pargolo,
o Signora, anche tu, diletto al talamo

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del tuo consorte. Ora, i tuoi sensi ai miei
accomuna, partecipa lo spasimo
che invade me, che il figlio mio perdei.
Il tuo figlio convinci, ch’egli venga alle rive
dell’Ismèno, e le salme a noi dei validi
eroi consegni, ch’ora sono di tomba prive.

Antistrofe II
Squallida è la mia veste: il lutto, supplice
qui mi spinse a prostrarmi, ove le vittime
consuma il fuoco, delle Dee su l’ara.
È con me la Giustizia: è in te, tal figlio
è il tuo, la possa: al danno mio ripara.
La prece a te rivolgo, io, prostrata nel duolo:
fa’ ch’io dal tuo figliuolo abbia il cadavere,
ch’io stringa al sen le misere membra del mio figliuolo.

Strofe III
D’ululi segue un’alta gara, d’ululi:
delle man’ delle ancelle odi lo schianto.
Or dunque, su, compagne del mio pianto,
compagne del mio cruccio,
le danze dell’Averno ora s’intreccino:
faccia alla guancia oltraggio
la bianca unghia, la laceri, l’insanguini:
dei vivi a chi sparí questo è l’omaggio.

Antistrofe III
Fuori mi trae da me l’insazïabile
brama di pianto; da un’eccelsa roccia
cosí geme perenne umida goccia.
Mai non desiste l’ululo:

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allor che i figli muoiono,
il tormentoso spasimo materno
in ululi si scioglie. Ahi, degli spasimi
trovar possa io l’oblio nel sonno eterno!