Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XXXI
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CANZONE XXXI.
Cosa fu mai in qual che stranio clima;
Quella, se ben si stima,
Più mi rassembra; a tal son giunto, Amore.
5Là onde 'l dì ven fore,
Vola un'augel, che sol senza consorte
Di volontaria morte
Rinasce, e tutto a viver si rinnova:
Così sol si ritrova
10Lo mio voler': e così in su la cima
De’ suoi alti pensieri al Sol si volve;
E così si risolve;
E così torna al suo stato di prima:
Arde, e more, e riprende i nervi suoi;
15E vive poi con la Fenice a prova.
Una pietra è sì ardita
Là per l’Indico mar; che da natura
Tragge a sè il ferro, e ’l fura
Dal legno in guisa ch’i navigj affonde:
20Questo prov’io fra l’onde
D’amaro pianto; che quel bello scoglio
Ha col suo duro argoglio
Condotta ov'affondar conven mia vita:
Così l’alma ha sfornita
25Furando ’l cor, che fu già cosa dura:
E me tenne un, ch’or son diviso e sparso;
Un sasso a trar più scarso
Carne, che ferro. O cruda mia ventura!
Che ’n carne essendo, veggio trarmi a riva
30Ad una viva dolce calamita.
Nell’estremo Occidente
Una fera è, soave, e queta tanto,
Che nulla più: ma pianto,
E doglia, e morte dentro a gli occhi porta:
35Molto convene accorta
Esser qual vista mai ver’ lei si giri:
Pur che gli occhi non miri,
L’altro puossi veder securamente.
Ma io incauto dolente
40Corro sempre al mio male; e so ben quanto
N’ho sofferto, e n’aspetto: ma l’ingordo
Voler ch’è cieco, e sordo,
Sì mi trasporta, che ’l bel viso santo,
E gli occhi vaghi fien cagion ch’io pera,
45Di questa fera, angelica, innocente.
Surge nel mezzo giorno
Una fontana, e tien nome del Sole;
Che per natura sole
Bollir le notti, e ’n sul giorno esser fredda;
50E tanto si raffredda,
Quanto ’l Sol monta, e quanto è più da presso;
Così avven' a me stesso;
Che son fonte di lagrime, e soggiorno:
Quando ’l bel lume adorno,
55Ch’è ’l mio Sol, s’allontana; e triste, e sole
Son le mie luci; e notte oscura è loro;
Ardo allor: ma se l’oro.
E i rai veggio apparir del vivo Sole;
Tutto dentro, e di for sento cangiarme,
60E ghiaccio farme; così freddo torno.
Un’altra fonte ha Epiro;
Di cui si scrive, ch’essendo fredda ella,
Ogni spenta facella
Accende; e spegne qual trovasse accesa.
65L’anima mia, ch’offesa
Anchor non era d’amoroso foco;
Appressandosi un poco
A quella fredda ch’io sempre sospiro,
Arse tutta; e martiro
70Simil giammai nè Sol vide, nè stella:
Ch’un cor di marmo a pietà mosso avrebbe;
Poi che ’nfiammata l’ebbe,
Rispensela vertù gelata, e bella:
Così più volte ha ’l cor racceso, e spento:
75I’ ’l so, che ’l sento; e spesso me ’nadiro.
Fuor tutti nostri lidi
Nell’isole famose di Fortuna,
Due fonti ha: chi dell’una
Bee, mor ridendo; e chi de l’altra, scampa.
80Simil fortuna stampa
Mia vita, che morir poria ridendo
Del gran piacer ch’io prendo:
Se nol temprassen dolorosi stridi.
Amor, ch’anchor mi guidi
85Pur'all’ombra di fama occulta; e bruna;
Tacerem questa fonte; ch’ogni or piena,
Ma con più larga vena
Veggiam, quando col Tauro il Sol s’aduna:
Così gli occhi miei piangon d’ogni tempo;
90Ma più nel tempo che Madonna vidi.
Chi spiasse, Canzone
Quel ch’i’ fo; tu poi dir, Sott'un gran sasso
In una chiusa valle, ond’esce Sorga,
Si sta: nè chi lo scorga,
95V’è, se no Amor, che mai nol lascia un passo,
E l’immagine d’una che lo strugge:
Che per sè fugge tutt’altre persone.