Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XXVIII
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CANZONE XXVIII.
Conven ch’io volga le dogliose rime,
Che son seguaci della mente afflitta.
Quai sien ultime, lasso, e qua’ sien prime?
5Colui che del mio mal meco ragiona
Mi lascia in dubbio; sì confuso ditta.
Ma pur quanto l’istoria trovo scritta
In mezzo ’l cor, che sì spesso rincorro,
Con la sua propria man de’ miei martìri
10Dirò; perchè i sospiri
Parlando han triegua, ed al dolor soccorro.
Dico, che, perch’io miri
Mille cose diverse attento, e fiso,
Sol’una donna veggio, e’l suo bel viso.
15Poi che la dispietata mia ventura
M’ha dilungato dal maggior mio bene,
Nojosa, inesorabile, e superba;
Amor col rimembrar sol mi mantene:
Onde, s’io veggio in giovenil figura
20Incominciarsi il mondo a vestir d’erba;
Parmi veder in quella etate acerba
La bella giovenetta, ch’ora è donna:
Poi che sormonta riscaldando il Sole;
Parmi qual esser sole,
25Fiamma d’amor che ’n cor alto s’endonna;
Ma quando il dì si dole
Di lui, che passo passo a dietro torni;
Veggio lei giunta a’ suoi perfetti giorni.
In ramo fronde, over viole in terra
30Mirando a la stagion che ’l freddo perde,
E le stelle migliori acquistan forza;
Negli occhi ho pur le violette, e ’l verde
Di ch’era nel principio di mia guerra
Amor armato, sì ch’ancor mi sforza;
35E quella dolce leggiadretta scorza
Che ricoprìa le pargolette membra
Dov'oggi alberga l’anima gentile
Ch’ogni altro piacer, vile
Sembiar mi fa: sì forte mi rimembra
40Del portamento umìle
Ch’allor fioriva, e poi crebbe anzi agli anni;
Cagion sola e riposo de’ mie' affanni.
Qualor tenera neve per li colli
Dal sol percossa veggio di lontano;
45Come ’l Sol neve, mi governa Amore,
Pensando nel bel viso più che umano,
Che può da lunge gli occhi miei far molli,
Ma da presso gli abbaglia, e vince il core;
Ove fra ’l bianco, e l’aureo colore
50Sempre si mostra quel che mai non vide
Occhio mortal, ch’io creda, altro che ’l mio:
E del caldo desio;
Ch'è quando i' sospirando ella sorride;
M’infiamma sì, che oblio
55Niente apprezza, ma diventa eterno;
Nè state il cangia, nè lo spegne il verno.
Non vidi mai dopo notturna pioggia
Gir per l’aere sereno stelle erranti,
E fiammeggiar fra la rugiada, e ’l gielo;
60Ch’i’ non avesse i begli occhi davanti
Ove la stanca mia vita s’appoggia,
Qual' io gli vidi a l’ombra di un bel velo:
E siccome di lor bellezze il cielo
Splendea quel dì, così bagnati ancora
65Li veggio sfavillar; ond’io sempr' ardo.
Se ’l Sol levarsi sguardo,
Sento il lume apparir che m’innamora:
Se tramontarsi al tardo;
Parmel veder quando si volge altrove
70Lassando tenebroso onde si move.
Se mai candide rose con vermiglie
In vasel d’oro vider gli occhi miei,
Allor' allor da vergine man colte;
Veder pensaro il viso di colei
75Ch’avanza tutte l’altre meraviglie
Con tre belle eccellenzie in lui raccolte;
Le bionde treccie sopra ’l collo sciolte,
Ov’ogni latte perderia sua prova;
E le grancie ch’adorna un dolce foco.
80Ma pur che l’ora un poco
Fior bianchi, e gialli per le piaggie mova:
Torna alla mente il loco,
E ’l primo dì ch’i’ vidi a Laura sparsi
I capei d’oro; ond’io sì subit’arsi.
85Ad una ad una annoverar le stelle,
E ’n picciol vetro chiuder tutte l’acque,
Forse credea; quando in sì poca carta
Novo penser di ricontar mi nacque,
In quante parti il fior dell’altre belle
90Stando in sè stessa, ha la sua luce sparta;
Acciò che mai da lei non mi diparta:
Nè farò io: e se pur talor fuggo;
In cielo e ’n terra m’ha racchiusi i passi:
Perch’agli occhi miei lassi
95Sempre è presente: ond’io tutto mi struggo:
E così meco stassi,
Ch’altra non veggio mai, nè veder bramo,
Nè ’l nome d’altra nè sospir’ miei chiamo.
Ben sai, Canzon, che quant’io parlo è nulla
100Al celato amoroso mio pensero;
Che dì, e notte nella mente porto;
Solo per cui conforto
In così lunga guerra anco non pero:
Chè ben m’avria già morto
105La lontananza del mio cor piangendo?
Ma quinci dalla morte indugio prendo.