Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone XXII
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CANZONE XXII.
Ch’altri no m’intendeva, ond’ebbi scorno:
E puossi in bel soggiorno esser molesto.
Il sempre sospirar nulla rileva.
5Già su per l’Alpi neva d’ogn’intorno:
Ed è già presso al giorno; ond’io son desto.
Un'atto dolce onesto è gentil cosa:
Ed in donna amorosa anchor m’aggrada,
Che ’n vista vada altera, e disdegnosa,
10Non superba, e ritrosa.
Amor regge suo imperio senza spada.
Chi smarrit'ha la strada, torni indietro:
Chi non ha albergo, posisi in sul verde:
Chi non ha l’auro, o ’l perde,
15Spenga la sete sua con un bel vetro.
I’diè in guardia a san Pietro; or non più, nò:
Intendami chi può; ch’i’ m’intend’io.
Grave soma è un mal fio a mantenerlo.
Quando posso, mi spetro; e sol mi sto.
20Fetonte odo che ’n Po cadde, e morìo:
E già di là dal rio passato è ’l merlo:
Deh, venite a vederlo: or'io non voglio.
Non è gioco uno scoglio in mezzo l’onde,
E ’ntra le fronde il visco. Assai mi doglio
25Quand'un soverchio orgoglio
Molte virtuti in bella donna asconde.
Alcun'è che risponde a chi nol chiama:
Altri, chi ’il prega, si delegua, e fugge:
Altri al ghiaccio si strugge:
30Altri dì, e notte la sua morte brama.
Proverbio, ama chi t’ama, è fatto antico.
I’ so ben quel ch’io dico. or lassa andare,
Che convien ch’altri impare alle sue spese.
Un’umil donna grama un dolce amico.
35Mal si conosce il fico. A me pur pare
Senno, a non cominciar tropp’alte imprese:
E per ogni paese è buona stanza.
L’infinita speranza occide altrui:
Ed anch’io fui alcuna volta in danza.
40Quel poco che m’avanza,
Fia chi nol schifi, s’i ’l vo’ dare a lui.
I’ mi fido in colui che ’l mondo regge,
E ch’ e seguaci suoi nel bosco alberga;
Che con pietosa verga
45Mi meni a pasco omai tra le sue gregge.
Forse ch’ogni uom che legge, non s’intende:
E la rete tal tende, che non piglia;
E chi troppo assottiglia, si scavezza.
Non fia zoppa la legge, ov’altri attende.
50Per bene star si scende molte miglia.
Tal par gran maraviglia, e poi si sprezza.
Una chiusa bellezza è più soave.
Benedetta la chiave che s’avvolse
Al cor’, e sciolse l’alma, e scossa l’ave
55Di catena sì grave,
E ’nfiniti sospir del mio sen tolse.
Là dove più mi dolse, altri si dole:
Et dolendo adolcisse il mio dolore:
Ond’io ringrazio Amore,
60Che più nol sento; ed è non men che suole.
In silenzio parole accorte, e sagge;
E ’l suon che mi sottragge ogni altra cura;
E la pregion’ oscura ov’è ’l bel lume:
Le notturne viole per le piagge;
65E le le fere selvagge entr’alle mura;
E la dolce paura, e ’l bel costume;
E di duo fonti un fiume in pace volto,
Dov’io bramo, e raccolto ove che sia:
Amor’, e gelosia m’hanno il cor tolto;
70E i segni del bel volto,
Che mi conducon per più piana via
Alla speranza mia, al fin degli affanni.
O riposto mio bene; e quel che segue;
Or pace, or guerra, or tregue,
75Mai non m’abbandonate in questi panni.
De’ passati miei danni piango, e rido,
Perchè molto mi fido in quel ch’i’odo.
Del presente mi godo, e meglio aspetto;
E vo contando gli anni, e taccio, e grido;
80E ’n bel ramo m’annido, ed in tal modo,
Ch’i’ ne ringratio, e lodo il gran disdetto
Che l’indurato affetto alfine ha vinto,
E nell’alma dipinto, I’ sare’ udito,
E mostratone a dito; ed hanno estinto.
85Tanto inanzi son pinto,
Ch’il pur dirò: Non fostu tanto ardito.
Chi m’ha ’l fianco ferito, e chi ’l risalda;
Per cui nel cor via più che ’n carte scrivo;
Chi mi fa morto, e vivo,
90Chi in un punto m’agghiaccia, e mi riscalda.