Le rime di M. Francesco Petrarca/Canzone IX

Sonetto XLI Sonetto XLII

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CANZONE IX.


N
E la stagion che ’l ciel rapido inchina

     Verso Occidente, e che ’l dì nostro vola
     A gente che di là forse l’aspetta;
     Veggendosi in lontan paese sola
     5La stanca vecchierella pellegrina
     Raddoppia i passi, e più e più s’affretta:
     E poi così soletta
     Al fin di sua giornata
     Talora è consolata
     10D’alcun breve riposo; ov’ella oblia
     La noja e ’l mal de la passata via.
     Ma lasso, ogni dolor che ’l dì m’adduce,
     Cresce, qualor s’invia
     Per partirsi da noi l’eterna luce.
15Come ’l sol volge le ’nfiammate rote,
     Per dar luogo a la notte; onde discende
     Dagli altissimi monti maggior l’ombra;
     L’avaro zappador l’arme riprende;
     E con parole e con alpestri note
     20Ogni gravezza del suo petto sgombra:
     E poi la mensa ingombra
     Di povere vivande,
     Simili a quelle ghiande,
     Le qua’ fuggendo tutto ’l mondo onora.
     25Ma chi vuol, si rallegri ad ora ad ora:
     Ch’i’ pur non ebbi ancor, non dirò lieta,
     Ma riposata un’ora,
     Nè per volger di ciel, nè di pianeta.
Quando vede ’l pastor calare i raggi
     30Del gran pianeta al nido ov’egli alberga;
     E ’mbrunir le contrade d’Oriente;
     Drizzasi in piedi, et con l’usata verga,
     Lassando l’erba, e le fontane e i faggi,


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     Move la schiera sua soavemente:
     35Poi lontan daLla gente
     O casetta, o spelunca
     Di verdi frondi ingiuncha:
     Ivi senza pensier s’adagia e dorme.
     Ahi crudo Amor, ma tu allor più mi ’nforme
     40A seguir d’una fera, che mi strugge,
     La voce, e i passi, e l’orme;
     E lei non stringi che s’appiatta e fugge.
E i naviganti in qualche chiusa valle
     Gettan le membra, poi che ’l sol s’asconde,
     45Sul duro legno, e sotto a l’aspre gonne.
     Ma io; perchè s’attuffi in mezzo l’onde,
     E lassi Ispagna dietro a le sue spalle,
     E Granata, e Marrocco, e le Colonne;
     E gli uomini, e le donne,
     50E ’l mondo, e gli animali
     Aquetino i lor mali;
     Fine non pongo al mio ostinato affanno:
     E duolmi, ch’ogni giorno arroge al danno:
     Ch’i’ son già pur crescendo in questa voglia
     55Ben presso al decim’anno;
     Nè poss’indovinar chi me ne scioglia.
E, perchè un poco nel parlar mi sfogo;
     Veggio la sera i buoi tornare sciolti
     Dalle campagne, e da’ solcati colli.
     60I miei sospiri a me perchè non tolti
     Quando che sia? perchè no ’l grave giogo?
     Perchè dì, e notte gli occhi miei son molli?
     Misero me, che volli
     Quando primier sì fiso
     65Gli tenni nel bel viso
     Per iscolpirlo immaginando in parte
     Onde mai nè per forza, nè per arte
     Mosso sarà; fin ch’i’ sia dato in preda
     A chi tutto diparte?

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70Nè so ben'anco che di lei mi creda.
Canzon; se l’esser meco
     Dal mattino alla sera
     t’ha fatto di mia schiera;
     tu non vorrai mostrarti in ciascun loco:
     75et d’altrui loda curerai sì poco,
     ch’assai ti fia pensar di poggio in poggio,
     come m’ha concio ’l foco
     di questa viva petra, ov’io m’appoggio.