Le poesie di Catullo/42
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | 41 | 43 | ► |
O endecasillabi, qui v’adunate,
Quantunque in numero, dovunque siate.
Son io sì debole, così dappoco
Ch’una vil femmina mi prenda a gioco?
5Nega ella rendermi, se il tollerate,
Tutte le pagine ch’io le ho mandate,
Su, su, incalziamola, diamle la caccia.
Chi sia, chiedetemi, cotal donnaccia?
Ecco, vedetela, l’aria di mima,
10Il turpe incedere ve ’l dice in prima,
E l’increscevole arte maligna,
Onde, qual gallico can, sempre ghigna.
Fatele cerchio, stretti, feroci
Sollecitatela con queste voci:
15“O tu che traffichi te stessa e vendi,
O sozza adultera, quei fogli rendi.
Non cavi un misero asse bacato,
Feccia, postribolo, dal tuo mercato?”
Ma che! Gli asprissimi vostri furori
20Son per tal femmina carezze e fiori.
Pur se alcun minimo rossor rimane
Sopra quel ferreo ceffo di cane,
O endecasillabi, s’altro non giova,
Con voce altissima gridate a prova:
25“O tu che traffichi te stessa e vendi,
O sozza adultera, quei fogli rendi.”
Non ode? Immobile resta il suo core?
Cambiate subito modo e tenore;
Con piglio amabile, con voce mite,
30S’è pur giovevole, così le dite:
“Donna onestissima, casta, verace,
Rendi le lettere, se non ti spiace.”