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Gaio Valerio Catullo - Poesie (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1889)
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O Colonia, c’hai l’uzzolo d’armeggiar sul gran ponte,
    E per farci un ballonzolo hai già le gambe pronte,

Ma per gl’irreparabili pali, su cui barella,
    Ti senti nelle viscere correr la tremerella,

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5Non esso un capitombolo faccia giù nel pantano;
    Così codesta fregola non t’assillasse invano,

E fosse tanto solida la tua pensile mole,
    Che anco i Salj potessero farci le capriole,

Dammi, prego, o Colonia, uno spasso coi fiocchi:
    10Fa’ che quel mio munícipe dal tuo ponte trabocchi,

Ma proprio a precipizio, a capo giù, nel lago,
    Dove il fango è più fetido e più profondo il brago.

Egli è un baccello ingenuo da sgararne un marmocchio
    Che il babbo ninna e dondola lieve sopra il ginocchio.

15Ha sposato una tenera bimba, un fior di donnina,
    Delicatina, morbida più d’una caprettina,

Da tenerla in custodia più che l’uva matura;
    Eppure egli le lascia fare il chiasso, e n’ha cura

Quanto d’un pelo; inabile a rizzare una mano,
    20Inerte come a un ligure fosso, smembrato ontàno;

Un gocciolone, un asino vero, un’anima grulla,
    Che di quanto l’attornia non ode o vede nulla,

Di nulla si capacita, nè s’è finora accorto,
    S’egli è un uomo o un fantasima, s’egli è vivo o s’è morto.

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25Costui costui precipita dal ponte nella mota,
    Sì ch’alfin, s’è possibile, dal letargo si scota,

E dentro al piaccichiccio lasci la mente ciuca,
    Qual mula il ferreo zoccolo entro a fangosa buca.