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Gaio Valerio Catullo - Poesie (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1889)
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Il mio carissimo Varo, di piazza
     A veder trassemi la sua ragazza,

Non isgradevole putta o sgarbata,
     A farne giudice la prima occhiata.

5Demmo alle chiacchiere la stura: “Viene
     Lei di Bitinia? Ci si sta bene?

Come governansi? E, dica un po’,
     Lei torna carico di bezzi, no?”

“Bezzi? Alla grazia! io di ripicco,
     10Ei c’era proprio da farsi ricco,

E da riungersi meglio i capelli!
     Quel pretorucolo de’ miei corbelli

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Tenea, s’immagini che santo zelo!
     Tutto il suo sèguito per men d’un pelo.”

15“Pure amo credere, giacchè si sa
     Le lettighe essere nate colà,

A comprar uomini lei si diè briga
     Che la potessero trarre in lettiga.”

Ed io con aria da gran signore:
     20“Quella provincia certo è un orrore,

Ma pur possibile mi fu l’avere
     Otto bei giovani per tal mestiere.”

(E intanto, o misero, per quelle strane
     Terre non eravi neppure un cane,

25Che in collo a mettersi fosse gentile
     Lo zoppo trespolo del mio canile!)

“Oh allor di grazia, saltò a dir quella
     Con aria ingenua da sgualdrinella,

Quintuccio, prestami tal ben di Dio:
     30Vo’ un po’ al Serapide spassarmi.” Ond’io:

“Adagio; i comodi ch’io ti dicea,
     Cinna il mio socio, non io li avea:

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Errai; ma fossero di Cinna o miei,
     Siccome proprj me li godei:

35Tu poi le scatole rompi, e sei grulla,
     Se conto ho a renderti d’ogni nonnulla.”