Le piacevoli notti (1927)/Notte nona/Favola quinta

Notte nona - Favola quinta

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Notte nona - Favola quarta Notte decima

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FAVOLA V.1

I fiorentini2 ed i bergamaschi conducono i lor dottori ad una disputa, e i bergamaschi con una sua astuzia confondeno i fiorentini.

[Ferier Beltramo]

Quantunque, graziose donne, grandissima sia la disaguaglianza tra gli uomini saputi e litterati, e quelli che sono materiali e grossi, nondimeno alle volte s’hanno veduti gli sapienti essere stati superati dagli uomini illiterati. E questo chiaramente si vede nelle scritture sante, dove gli apostoli semplici e abbietti confondevano la sapienzia di quelli che erano prudenti e savi. Il che ora con una mia favoluzza apertamente intenderete.

Ne’ tempi passati, sí come piú volte intesi da gli avoli miei, e forse ancor voi inteso l’avete, erano in compagnia alcuni mercatanti fiorentini e bergamaschi, i quali, andando insieme, ragionavano, come si suol fare, varie e diverse cose. Ed entrando di una cosa nell’altra, disse un fiorentino: — Veramente voi bergamaschi, per quanto noi possiamo comprendere, siete uomini tondi e grossi; e, se non fosse quella poca mercatanzia, voi non sareste buoni di cosa alcuna per la vostra tanta grossezza. Ed avenga che la fortuna vi sia favorevole nella mercatanzia, non già per sottigliezza d’ingegno nè per scienza che voi abbiate, ma piú tosto per l’ingordigia e per l’avarizia che dentro di voi si riserba di guadagnare, nondimeno io non conosco uomini piú goffi nè piú ignoranti di voi. — All’ora fecesse avanti un bergamasco, e disse: — Ed io vi dico che noi bergamaschi siamo in ogni conto piú valenti di voi. E quantunque voi fiorentini abbiate il parlar dolce che porge all’orecchie de gli auditori maggior dilettazione del nostro, nondimeno [p. 120 modifica]in ogni altra operazione voi siete inferiori a noi di gran lunga. E se ben consideriamo, non c’è alcuno tra la gente nostra, o grande o piccolo che si sia, che non abbia qualche lettera; appresso questo noi siamo atti ad ogni magnanima impresa. Il che veramente non si trova in voi; e se pur si trova, sono pochi. — Essendo adunque grandissima contenzione tra l’una parte e l’altra, nè volendo i bergamaschi cedere a’ fiorentini, nè fiorentini a’ bergamaschi, ma difendendo ciascuno la parte sua, levossi un bergamasco e disse: — Che tante parole? Facciamo la prova e ordiniamo una solenne disputa, dove concorri il fior di dottori: e all’ora apertamente si vedrà quali di noi siano piú eccellenti. — Alla qual cosa i fiorentini acconsentirono; ma tra loro rimase differenza se’ fiorentini dovevano andar a Bergamo, o bergamaschi a Firenze; e dopo molte parole convennero insieme che se gettasse la sorte. E fatti duo bollettini e posti in un vasetto, toccò a’ fiorentini andare a Bergamo. Il giorno della disputa fu determinato alle calende di maggio.

I mercatanti andarono alle loro città e riferirono il tutto alli lor sapienti; i quai, intesa la cosa, furono molto contenti e apparecchioronsi di far una bella e lunga disputa. I bergamaschi, come persone saggie e astute, s’immaginorono di far sí ch’e fiorentini restassino confusi e scornati. Onde convocati tutti e savi della città, sí grammatichi come oratori3 , sí leggisti come canonisti, sí filosofi come teologi e di qualunque altra sorte dottori, fecero la scelta de gli migliori, e quelli ritenettero nella città, a ciò che fussero la rocca e la fortezza nella disputazione contra’ fiorentini. Gli altri veramente fecero vestire di panni vili e li mandarono fuor della città in quella parte dove passar doveano e’ fiorentini, e g’imposeno che sempre con loro latinamente ragionassero. Vestiti adunque i dottori bergamaschi di grossi panni, e mescolatisi colli contadini, si misero a far molti esercizij: alcuni cavavano fossi, altri zappavano la terra, e chi faceva una cosa e chi faceva l’altra.

Dimorando i dottori bergamaschi in tai servizij, che contadini pareano, ecco venire i fiorentini cavalcando con grandissima [p. 121 modifica]pompa; i quali, veduti ch’ebbero quelli uomini che lavoravano la terra, dissero: — Dio vi salvi, fratelli. — A cui risposero i contadini: — Bene veniant tanti viri! — I fiorentini, pensando che burlasseno, dissero: Quante miglia ci restano sino alla città di Bergamo? — A cui risposero i bergamaschi: — Decem, vel circa. — Udendo tal risposta, i fiorentini, dissero: — O fratelli, noi vi parliamo volgarmente, e onde prociede che voi rispondete latinamente? — Risposero i bergamaschi: — Ne miremini, excellentissimi domini. Unusquisque enim nostrum sic, ut auditis, loquitur, quoniam maiores et sapientiores nostri sic nos docuerunt. — Continovando i fiorentini il lor viaggio, viddero alcuni altri contadini che sopra la commune strada cavavano fossi. E fermatisi dissero: — O compagni! o là! Iddio vi aiuti. — A’ quai risposero i bergamaschi: — Et Deus vobiscum semper sit. — Che ci resta fino a Bergamo? dissero i fiorentini. — Exigua vobis restat via. — Ed entrando d’una parola in un’altra, cominciorno battagliare insieme di filosofia; e sí fortemente argoivano i contadini bergamaschi, che i dottori fiorentini non sapevano quasi rispondere. Onde, tutti ammirativi, tra loro dicevano: — Com’è possibile che questi uomini rozzi e dediti all’agricoltura e ad altri rusticani essercizi sieno ben instrutti delle scienzie umane? — Partitisi, cavalcarono verso un’ostaria4 non molto distante dalla città; la quale era accomodata assai. Ma prima che aggiungessero all’albergo, s’appresentò un fante di stalla; e invitandogli al suo ospizio, disse: — Domini, libetne vobis hospitari? hic enim vobis erit bonum hospitium. — E perchè i fiorentini eran già lassi per lo lungo cammino, scesero giú di suoi cavalli; e mentre volevano salire su per le scale per riposarsi, il patrone dell’albergo si fece in contro, e disse: — Excellentissimi domini, placetne vobis ut praeparetur coena? Hic enim sunt bona vina, ova recentia, carnes, volatilia et alla huiusmodi. — Stavano i fiorentini tutti sospesi, nè sapevano che dire: per ciò che tutti quelli con quai ragionavano, latinamente parlavano, e non altrimenti che se tutto il tempo della vita loro fussero stati in studio. Non stette molto tempo, che venne una fanticella: la qual in verità era monaca, [p. 122 modifica]donna molto saputa e dottrinata, e a tal effetto astutamente condotta; e disse: Indigentne dominationes vestrae re aliqua? Placet, ut sternantur lectuli, ut requiem capiatis? Queste parole della fante resero maggior stupore a’ fiorentini; e si misero a ragionar con esso lei. La quale, poscia che ebbe parlato di molte cose, tuttavia latinamente, entrò nella teologia; e tanto catolicamente parlò, che non vi fu veruno che non la comendasse molto. Mentre la fanticella ragionava, venne un vestito da fornaio, tutto di carboni tinto; e intesa la disputazione che facevano con la fantesca, s’interpose, e con tanta scienza e con tanta dottrina interpretò la scrittura sacra, che tutti e dottori fiorentini tra se affermavano non avere per lo adietro mai udito meglio.

Finita la disputatione, se ne andorono i fiorentini a riposare: e venuto il giorno, fecero tra loro consiglio si partirsi o andar dinanzi doveano. E dopo molto contrasto determinorono partire esser migliore, per ciò che, se ne gli agricoltori, se ne gli osti, se ne’ fanti e nelle femine è tanta dottrina, che saria5 nella città, dove sono uomini consumatissimi e che ad altro non attendeno che alli continovi lor studii? Fatta adunque la deliberazione, senza indugio alcuno, nè pur vedute le mura della città di Bergamo, montarono a cavallo e verso Firenze presero il camino. E in tal maniera i bergamaschi con la loro astuzia furono contro i fiorentini vittoriosi. E da quell’ora in qua i bergamaschi ebbero un privilegio dall’Imperatore, di poter sicuramente andar per tutte le parti del mondo senza impedimento alcuno. —


il fine della notte nona

  1. [p. 239 modifica]Ferier Beltramo sostituisce Fiordiana.
  2. [p. 239 modifica]firentini, ’53, ’54, ’56, ’58
  3. [p. 239 modifica]retorici, ’58
  4. [p. 239 modifica]osteria, ’58
  5. [p. 239 modifica]sará, ’58