Le piacevoli notti/Notte XIII/Favola XI
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FAVOLA XI
La paura, amorevoli donne, alle volte nasce da troppo ardir e alle volte dall’animo pusillanime, il quale doverrbbe temere solamente quelle cose, ch’hanno potenza di far ad altrui male, non quelle che non sono da temere.
Io, donne mie care, voglio raccontarvi un caso, non da burla, ma da dovero a’ giorni nostri avenuto ad un povero fratuncello, non senza però suo grave danno. Il qual, partitosi da Cologna per andare à Ferrara, passò l’Abbadia e il Polesine di Rovigo, ed entrato nel territorio del Duca di Ferrara, fu sopraggiunto dalla buia notte. E quantunque la luna splendesse, nondimeno per esser giovanetto, solo e in altrui paese, temeva di non esser morto o da masnadieri, o da silvestri animali. Non sapendo il poverello dove gire e trovandosi senza pecunia, vidde un certo cortile discosto alquanto dagli altri; ed entratovi dentro senza che da alcuno fosse veduto nè sentito, se n’andò al pagliaio, a coste il quale era una scala appoggiata, e salito sopra, meglio che puotè per riposare quella notte s’acconciò. Appena il fraticello era coricato per dormire, che sopraggiunse uno attilato giovane, il quale aveva nella man destra la spada e nella man sinistra la rotella, e cominciò pianamente cifolare. Il fraticello, sentendo cifolare, pensò di essere scoperto e per timore quasi tutti i capegli addosso se gli arricciarono; e pieno di paura molto cheto si stava. Il giovane armato era il prete di quella villa, il quale era d’amor acceso della moglie del patrone di quella casa. Stando adunque il fraticello non senza grandissimo spavento, ecco uscir di casa una donna in camiscia ritondetta e fresca e venirsene verso il pagliaio, la qual tantosto che il prete vide, posta giù la spada, e la rotella, corse ad abbracciarla e basciarla e altresì ella lui, e postisi ambidue appresso il pagliaio, e coricatisi in terra, il prete prese quella cosa che l’uomo ha: ed alzatale la camiscia, tostamente nel solco per ciò fatto la mise. Il fraticello, che era di sopra e vedeva il tutto, s’assicurò, pensando che il prete non era ivi venuto per dargli noia, ma per prender diletto con l’amata donna. Onde preso un poco d’ardire, distese il capo in fuori del pagliaio per meglio vedere e sentire quello che facevano gli innamorati; e tanto innanzi col capo si fece, che pesandoli più la testa, che il busto, nè avendo modo nella paglia di ritenersi, sopra di loro cadde e non senza suo danno, perchè si ruppe un poco d’una gamba il schinco. Il prete e la donna, ch’erano in sul più bello del menar delle calcole, e che ancor non erano venuti al compimento dell’opera, vedendo i drappi e il cappuccio del frate nero, forte si smarrirono, pensando che fusse qualche notturna fantasma; e lasciata la spada e la rotella, ambiduo tremanti e di paura pieni si diedero al fuggire. Il fraticello, non senza paura e dolore del schinco, meglio ch’ei puote in un cantone del pagliaio se ne fuggì, e fatto un gran bucco nel pagliaio, ivi si nascose. Il prete, che temeva non fusse scoperto, essendo la spada e la rotella conosciuta, tornò al pagliaio e senza veder altra fantasma, prese la sua spada e la rotella e non senza gran sospetto ritornò a casa. Venuta la mattina sequente, e volendo il prete celebrar la messa un poco per tempo, acciò che certi suoi negozii ispedir potesse, stavasi su l’uscio della chiesa, aspettando il chierichetto che a risponder la messa venisse. Stando così il prete in aspettazione, ecco venir il fratuncello, il quale innanzi giorno s’era levato e partito per non esser ivi raccolto e mal trattato. E giunto ch’egli fu alla chiesa, il prete il salutò e addimandollo dove egli così solo se n’andava. A cui rispose il fratuncello: Me ne vo a Ferrara. E addimandato dal prete se egli fretta aveva, li rispose che no e che li bastava assai se la sera si trovava in Ferrara. E addimandato più oltre s’egli voleva servirlo alla messa, rispose di sì. Il prete, vedendo il fraticello aver il capo e la tonica tutta imbrattata di paglia, ed esser vestito di panni neri, s’imaginò ch’egli fusse la fantasma che veduta aveva; e disse: Fratel mio, dov’hai dormito la passata notte? A cui rispose il fraticello: Io ho dormito malamente sopra un pagliaio non molto discosto di qua, ed hommi quasi rotta una gamba. Questo udendo, il prete ebbe maggior credenza del fatto, nè il fraticello si partì, ch’egli scoperse pienamente la cosa come stava. E detta la messa, e desinato col prete, il fraticello si partì col suo schinco rotto. Ed avenga che il prete lo pregasse che di ritorno volesse andar ad alloggiare con esso lui, perciò che egli voleva che alla donna tutto il fatto raccontasse, non però vi venne: ma avuta la risposta in sonno, per altra via al suo monasterio fece ritorno.
Finita la favola dal Trivigiano recitata e non poco comendata, egli, senza interporgli tempo, al suo enimma diede principio così dicendo:
Un palmo e più lo toglio, e non in vano, |
Non vorrei, gentilissime madonne, esser ripreso da voi di disonestà, avendo io proposto davanti a tanto conspetto, cosa che paia offendere le caste orecchie vostre. Ma nel vero il mio enimma non porta seco cosa disonesta, anzi cosa che molto vi aggrada e di cui ne prendete piacer non poco. Il mio adunque enimma, dinota il liuto, il cui manico è lungo più d’un palmo, il cui ventre siede in grembo di colui che suona, e dà diletto a gli ascoltanti. Tutti a pieno laudarono il sottil enimma dal Trivigiano raccontato e primieramente la Signora, che l’udiva volentieri. Ma poscia che tacquero, la Signora ordinò ad Isabella che colla favola seguitasse; la qual non sorda nè muta in cotal guisa disse.