Le piacevoli notti/Notte I/Favola III
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FAVOLA III.
Il fine della favola da Alteria precedentemente raccontata mi dà materia di dovere raccontarne una, la quale vi fia non men piacevole che grata; ma sarà differente in uno: che in quella pre Severino fu da Cassandrino gabbato, ma in questa pre Scarpacifico più volte gabbò coloro che lui gabbare credevano, sì come nel discorso della mia favola a pieno intenderete.
Appresso Imola, città vendichevole ed a’ tempi nostri dalle parti quasi ridotta all’ultimo esterminio, trovasi una villa, chiamata Postema, nella cui chiesa ufficiava ne i tempi passati un prete, nominato pre Scarpacifico, uomo nel vero ricco, ma oltre modo misero ed avaro. Costui per suo governo teneva una femina scaltrita ed assai sagace, Nina chiamata; ed era sì aveduta, che uomo non si trovava, che ella non ardisse di dirli ciò che bisognava. E perchè ella era fedele e prudentemente governava le cose sue, la teneva molto cara. Il buon prete, mentre fu giovane, fu uno di quelli gagliardi uomini che nel territorio imolese si trovasse; ma, giunto all’estrema vecchiezza, non poteva più sopportare la fatica del caminar a piedi. Laonde la buona femina più e più volte lo persuase che un cavallo comperar dovesse, acciò che nell’andar tanto a piedi la vita sua innanzi ora non terminasse. Pre Scarpacifico, vinto dalle preghiere e dalle persuasioni della sua fante, se ne andò un giorno al mercato; e, adocchiato un muletto che alle bisogne sue parevali convenevole, per sette fiorini d’oro lo comperò. Avenne che a quel mercato erano tre buoni compagnoni, i quali più dell’altrui che del suo, sì come anche a’ moderni tempi si usa, si dilettavano vivere. E, veduto che ebbero pre Scarpacifico avere il muletto comperato, disse uno di loro: Compagni miei, voglio che quel muletto sia nostro. — E come? dissero gli altri. — Voglio che noi ci andiamo alla strada dove egli ha a passare, e che l’uno stia lontano dall’altro un quarto di miglio; e ciascaduno di noi separatamente li dirà, il muletto da lui comperato esser un asino. E se noi staremo fermi in questo detto, il muletto agevolmente sarà nostro. E, partitisi di comune accordo, s’acconciorono su la strada, sì come tra loro avevano deliberato; e, passando pre Scarpacifico, l’uno de’ masnadieri, fingendo d’altrove che dal mercato venire, li disse: Iddio vi salvi, messere. A cui rispose pre Scarpacifico: Ben venga il mio fratello. — E di dove venete voi? disse il masnadiere. — Dal mercato, rispose il prete. — E che avete voi di bello comperato? disse il compagnone. — Questo muletto, rispose il prete. — Qual muletto? disse il masnadiere — Questo che ora cavalco, rispose il prete. — Dite voi da dovero, overo burlate meco? — E perchè? disse il prete. — Perciò che non un mulo, ma un asino mi pare. — Come, asino? disse il prete. E, senza altro dire, frettolosamente seguì il suo camino. Nè appena cavalcato aveva due tratte d’arco, che se li fe’ incontro l’altro compagno, e disseli: Buon giorno, messere; e di dove venete voi? — Dal mercato, rispose il prete. — Vi è bel mercato? disse il compagno. — Sì bene, rispose il prete. — Avete fatta voi alcuna buona spesa? disse il compagnone. — Sì, rispose il prete; ho comperato questo muletto che ora tu vedi. — Dite il vero? disse il buon compagno; avetelo voi comperato per un mulo? — Sì, rispose il prete. — Ma, in verità, egli è un asino, disse il buon compagno. — Come, un asino? disse il prete. Se più alcuno me lo dice, voglio di esso farli un presente. E seguendo il suo camino, s’incontrò nel terzo compagno, il qual li disse: Ben venga il mio messere; dovete per aventura venir dal mercato voi? — Sì, rispose il prete. — Ma che avete comperato voi di bello? disse il buon compagno. — Ho fatto spesa di questo muletto che tu vedi. — Come, muletto? disse il compagnone; dite da dovero, over burlate voi? — Io dico da dovero e non burlo, rispose il buon prete. — Oh povero uomo! disse il masnadiero; non vi avedete che egli è un asino, e non muletto? Oh ghiotti, come bene gabbato vi hanno! Il che intendendo, pre Scarpacifico disse: Ancor duo altri poco fa me l’hanno detto, ed io no ’l credevo. E, sceso giù del muletto, disse: Piglialo, che di lui io ti fo un presente. Il compagno, presolo e ringraziatolo della cortesia, a i compagni se ne tornò, lasciando il prete andar alla pedona. Pre Scarpacifico, giunto che fu a casa, disse alla Nina, come egli aveva comperato una cavalcatura, e, credendosi aver comperato un muletto, aveva comperato un asino; e perchè per strada molti ciò detto gli avevano, all’ultimo n’aveva fatto un presente. Disse la Nina: cristianello, non vi avedete che elli vi hanno fatto una beffa? Io mi pensavo che voi foste più scaltro di quello che voi siete. Alla mia fè, che elli non mi arrebbeno ingannata. Disse allora pre Scarpacifico: Non ti affannare di questo, che, se egli me ne hanno fatto una, io gliene farò due: e non dubitare; perciò che essi, che ingannato mi hanno, non si contenteranno de questo, anzi con nuova astuzia verranno a vedere se potranno cavarmi alcuna cosa da le mani. Era nella villa un contadino non molto lontano dalla casa del prete, ed aveva, tra l’altre, due capre che si somigliavano sì che l’una dall’altra agevolmente conoscer non si poteva. Il prete fece di quelle due mercato, ed a contanti le comperó. E, venuto il giorno seguente, ordinò alla Nina che apparecchiasse un bel desinare, perciò che voleva alcuni suoi amici venissero a mangiar con esso lui; e l’impose che ella togliesse certa carne di vitello e la lessasse, ed i polli e il lombo arrostisse. Dopo le sporse alcune spezie, ed ordinolle che li facesse un saporetto ed una torta, secondo il modo che ella era solita a fare. Poscia il prete prese una de le capre, e legolla ad un siepe nel cortile, dandole da mangiare; e l’altra legolla con un capestro, e con esso lei al mercato se n’andò. Nè fu sì tosto giunto al mercato, che i tre compagni dell’asino l’ebbero veduto; e accostatisi a lui, dissero: Ben venga il nostro messere! e che andate voi facendo? volete voi comperare alcuna cosa di bello? A cui rispose il messere: Io me ne sono venuto costì per ispendere, perciò che alcuni miei amici verranno a desinare oggi meco. E quando vi fusse a grado di venire ancora voi, mi fareste piacere. I buoni compagni molto volontieri accettorno lo invito. Pre Scarpacifico, fatta la spesa che bisognava, mise tutte quelle robbe comperate sopra il dorso della capra, ed in presenza de’ tre compagni disse alla capra: Va a casa, e dì alla Nina che lessi questo vitello, e il lombo e li polli arrostisca; e dille che con queste spezie la faccia una buona torta ed alcuno saporetto secondo l’usanza nostra. Hai tu ben inteso? or vattene in pace. La capra, carica di quelle robbe e lasciata in libertà, si partì; ma ne le cui mani capitasse, non si sa. Ma il prete ed i tre compagni ed alcuni altri suoi amici intorniorono il mercato, e, parendoli l’ora, se n’andarono a casa del prete; ed entrati nella corte, subito i compagni balcorono la capra legata al siepe che l’erbe pasciute ruminava, e credettero che essa fusse quella che ’l prete con le robbe aveva mandata a casa; e molto si maravigliorono. E, entrati tutti insieme in casa, disse pre Scarpacifico alla Nina: Nina, hai tu fatto quello che io ti ho mandato a dire per la capra? Ed ella accorta ed intendendo quello voleva dire il prete, rispose: Messer sì; io ho arrostito il lombo ed i polli, e lessata la carne di vitello. Appresso questo, ho fatta la torta e il saporetto con delle spezie per dentro, sì come mi disse la capra. — Sta bene, disse il prete. I tre compagni, vedendo il rosto, il lesso e la torta al fuoco, ed avendo udite le parole della Nina, molto più che prima si maravigliorono; e tra loro cominciorono pensare sopra della capra, come aver la potessino. Venuta la fine del desinare, ed avendo molto pensato di furar la capra e di gabbare il prete, e vedendo non poterne riuscire, dissero: Messere, noi vogliamo che voi ne vendiate quella capra. A cui rispose il buon prete, non volerla vendere, perchè non vi erano danari che la pagassino; e, pur quando elli la volessero, cinquanta fiorini d’oro l’apprezzava. I buoni compagni, credendosi aver robbati panni franceschi, subito gli annoverorono i cinquanta fiorini d’oro. — Ma avertite, disse il prete, che non vi dogliate poi di me; perciò che la capra, non conoscendovi in questi primi giorni per non esser assuefatta con esso voi, forse non farà l’effetto che fare dovrebbe. Ma i compagni, senz’altra risposta darli, con somma allegrezza condussero la capra a casa; e dissero alle lor mogli: Dimane non apparecchiarete altro da desinare, fino a tanto che noi non lo mandiamo a casa. E, andatisene in piazza, comperorono polli ed altre cose che facevano bisogno al loro mangiare; e, postele sopra il dorso della capra che seco condotta avevano, l’ammaestrarono di tutto quello che ei volevano che facesse e alle loro mogli dicesse. La capra carica di vettovaria, essendo in libertà, si partì, e andossene in tanta bon’ora, che mai più la videro. Venuta l’ora del desinare, i buoni compagni ritornorono a casa, ed addimandorono le loro mogli se la capra era venuta con la vettovaria a casa, e se fatto avevano quello che ella detto gli aveva. Risposero le donne: Oh sciocchi e privi d’intelletto, voi vi persuadete che una bestia debba far i servigi vostri? certo ve ne restate ingannati, perciò che voi volete ogni giorno gabbare altrui, ed alla fine voi rimanete gabbati. I compagnoni, vedendosi derisi dal prete ed aver tratti i cinquanta fiorini d’oro, s’accesero di tanto furore, che al tutto lo volevano per uomo morto; e, prese le sue arme, a trovarlo se n’andorono. Ma lo sagace pre Scarpacifico, che non stava senza sospetto della sua vita ed aveva sempre i compagni innanzi gli occhi, che non li fessero alcuno dispiacere, disse alla sua fante: Nina, piglia questa vescica piena di sangue e ponela sotto il guarnello; perciò che, venendo questi malandrini, darotti la colpa del tutto; e, fingendo di esser teco adirato, tirerotti con questo coltello un colpo nella vescica, e tu, non altrimenti che se morta fosti, a terra caderai; e poi lascia lo carico a me. Nè appena pre Scarpacifico aveva finite le parole con la fante, che sopragiunsero i malandrini, i quali corsero adosso al prete per ucciderlo. Ma il prete disse: Fratelli, non so la cagione perchè voi mi vogliate offendere. Forse questa mia fante vi debbe aver fatto alcuno dispiacere ch’io non so. E, voltatosi contra lei, mise mano al coltello e tirolle di punta e ferilla nella vescica che era di sangue piena. Ed ella, fingendo di esser morta, in terra cade; ed il sangue come un ruscello d’ogni parte correva. Poscia il prete, veggendo il caso strano, finse di esser pentuto, e ad alta voce cominciò gridare: Oh misero ed infelice me, che ho fatt’io? Oh come scioccamente ho ucciso costei che era il bastone della vecchiezza mia! come potrò io più viver senza lei? E, presa una piva fatta al modo suo, levolle i panni e gliela pose fra le natiche; e tanto dentro soffiò, che la Nina rinvenne, e sana e salva saltò in piedi. Il che vedendo i malandrini restarono attoniti; e, messo da canto ogni furore, comprorono la piva per fiorini duecento, e lieti a casa ritornorono. Avenne che un giorno un de’ malandrini fece parole con la sua moglie, ed in quel sdegno le ficcò il coltello nel petto: per la cui botta ella se ne morì. Il marito prese la piva comperata dal prete, e gliela mise tra le natiche, e fece sì come il prete fatto aveva, sperando che ritornasse viva. Ma in vano, s’affaticava in sparger il fiato; perciò che la misera alma era partita di questa vita, e se ne era ita all’altra. L’altro compagno, vedendo questo, disse: Oh sciocco, tu non hai saputo ben fare; lascia un poco fare a me. E, presa la propia moglie per li capelli, con un rasoio le tagliò le canne della gola; dopo tolta la piva le soffiò nel martino: ma per questo la meschina non resuscitò. E parimente fece il terzo: e così tutta tre rimasero privi delle loro mogli. Laonde sdegnati andorono a casa del prete e non volsero più udire sue fole, ma lo presero e lo posero in un sacco con animo di affogarlo nel vicino fiume; e mentre che lo portavano per attuffarlo nel fiume, sopragiunse non so che a i malandrini, onde forza li fu metter giù il prete che era nel sacco strettamente legato, e fuggirsene. In questo mezzo che il prete stava chiuso nel sacco, per aventura indi passò un pecoraro col suo gregge, la minuta erba pascendo; e così pascolando udì una lamentevole voce che diceva: I me la vogliono pur dare, ed io non la voglio: che io prete sono, e prendere non la posso; — e tutto sbigottito rimase; perciò che non poteva sapere donde venisse quella voce tante volte ripetita. E, voltatosi or quinci or quindi, finalmente vide il sacco nel quale il prete era legato; ed accostatosi al sacco, tuttavia il prete vociferando forte, lo sciolse e trovò il prete. Ed addimandatolo per qual causa fusse nel sacco chiuso e così altamente gridasse, li rispose che ’l Signor della città li voleva dar per moglie una sua figliuola; ma che egli non la voleva, sì per che era attempato, sì anche per che di ragione avere non la poteva, per esser prete. Il pastorello, che pienamente dava fede alle finte parole del prete, disse: Credete voi, messere, che il Signore a me la desse? — Io credo di sì, rispose il prete, quando tu fosti in questo sacco, sì come io era, legato. E messosi il pastorello nel sacco, egli strettamente lo legò, e con le pecore da quel luogo si allontanò. Non era ancor passata un’ora, che li tre malandrini ritornorono al luogo dove avevano lasciato il prete nel sacco; e, senza guatarvi dentro, presero il sacco in spalla e nel fiume lo gittorno: e così il pastorello, in vece del prete, la sua vita miseramente finì. Partitisi, i malandrini presero il camino verso la lor casa; e, ragionando insieme, videro le pecore che non molto lontano pascevano. Onde deliberorono di rubbare uno paio di agnelli; e, accostatisi al gregge, videro pre Scarpacifico che era di loro il pastore, e si maravigliorono molto, perciò che pensavano che nel fiume annegato si fusse. Onde l’addimandorono, come fatto aveva ad uscire del fiume. A i quali rispose il prete: Oh pazzi, voi non sapete nulla. Se voi più sotto m’affocavate, con dieci volte artante pecore di sopra me ne veniva. Il che udendo i tre compagni dissero: O messere, volete voi farne questo beneficio? Voi ne porrete ne’ sacchi e ne gitterete nel fiume, e, di masnadieri, custodi di pecore diverremo. Disse il prete: Io son apparecchiato a fare tutto quello che vi aggrada, e non è cosa in questo mondo che volontieri non la facessi. E, trovati tre buoni sacconi di ferma e fissa canevazza, li puose dentro, e strettamente, che uscir non potessero, li legò, e nel fiume gli avventò; e così infelicemente se n’andorono le anime loro a i luoghi bugi dove sentono eterno dolore: e pre Scarpacifico, ricco e di danari e di pecore, ritornò a casa, e con la sua Nina ancora alquanti anni allegramente visse.
La favola, da Cateruzza raccontata, a tutta la compagnia molto piacque, e sommamente tutti la commendorono: ma vie più la sagacità e astuzia dell’ingenioso prete, il quale, per aver donato un muletto, acquistò molti danari e pecore, e, vendicata l’ingiuria de’ suoi nemici, lieto con la sua Nina rimase. Ed acciò che non si sconciasse l’incominciato ordine, in questa guisa il suo enimma propose:
Stava ad un desco un fabro e la mogliera
Con un sol pane intiero e mezzo appena.
Con la sorella il prete in su la sera
Quattro si ritrovaro a quella cena.
Tre parti fer del pane, e più non v’era;
E tutti quattro con faccia serena,
Godendo la lor parte, fur contenti.
Non so tu, che m’ascolti, quel che senti.
Finito il sentenzioso enimma da Cateruzza raccontato e da tutti con somma ammirazione atteso, non trovandosi veruno in sì ingeniosa compagnia che della dura scorza il vero senso traere sapesse, disse Cateruzza: Piacevoli donne, il senso del mio enimma è, che trovandosi un fabro avere per moglie la sorella d’un prete, ed essendosi ambe doi posti alla mensa per cenare, sopragiunse il prete: e così erano quattro, cioè la moglie con il fabro, suo marito, e la moglie del fabro col prete, che le era fratello. Ed avvenga che paresseno quattro, nondimeno erano se non tre; e ciascuno di loro prese mezzo un pane, e tutta tre contenti rimaseno. Dopo che Cateruzza pose fine al suo arguto enimma, la Signora fece cenno ad Eritrea che l’ordine seguisse; la qual tutta festevole e ridente così disse.