Le odi di Orazio/Libro terzo/VIII
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VIII
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VIII.
Che mai di Marzo faccia alle calende
Io celibe, e che dir vogliano i fiori
E l’incensiere pieno e il foco in vivo
4Cespite acceso,
Tu, dotto in ambe le due lingue, ammiri?
Dolci banchetti e un capro bianco a Bacco
Io votai quando fui d’un tronco al colpo
8Presso a morire.
Compie ora l’anno, e questo dì festivo
Caverà al doglio il sughero impeciato,
Che a bere il fumo cominciò, quand’era
12Console Tullo.
Prendi, o Mecena, per l’amico illeso
Cento bicchieri; fino al dì produci
Le vigilanti lampe; e stia lontano
16Ira e clamore.
Lascia di Roma le civili cure:
Perì del dace Cotison la schiera;
Il Medo, infesto a sè, fra luttuose
20Armi parteggia.
Vecchio nemico del confine ibero
Serve il Cantabro a noi, da tardi ceppi
Domo; pensan con lento arco gli Sciti
24Cedere il campo.
Qual uom privato un po’ ti svaga; cessa
Troppo curar se il popolo si affanni;
Dell’ora i doni allegro cogli, e l’aspre
28Cure abbandona.