Le odi di Orazio/Libro secondo/XVIII

Libro secondo
XVIII

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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
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XVIII.


        Non avorio, non aureo
Palco incavato alla mia casa splende;
        Non architravi imettie
4Premon colonne all’ultima recise

        Africa; io non la reggia
D’Attalo invasi sconosciuto erede;
        Non porpore laconie
8Traggono ad uso mio clienti oneste.

        Ma lealtà ed amabile
Vena ho d’ingegno, onde il patrizio cerca
        Me povero: non supplico
12D’altro gli Dei; nè da potente amico

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        Largo favor sollecito,
Contento assai dell’unico Sabino.
        Giorni a giorni succedono,
16Affrettansi a morir le nuove lune,

        E tu già presso al funebre
Giorno, a segar dài marmi, e del sepolcro
        Immemore, ecco, edifichi
20Palagi, e là di Baja al mar sonante

        Ti affanni i lidi a smuovere,
Non assai ricco della ferma sponda.
        Che vai, se le contigue
24Siepi sforzando, il tuo podere allarghi,

        E de’ clienti il limite
Scavalchi avaro? Andran da te scacciati
        Moglie e marito, i patrj
28Numi recando e i lerci figli al seno,

        Ma non però più stabile
Destinata aula il padron ricco aspetta
        Nel paese del rapido
32Orco. Ed oltre che speri? Equa la terra

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        Al gramo e alla progenie
S’apre de’ re; nè il guardían dell’Orco
        Vinto dall’oro il savio
36Prometeo ricondusse. Egli il superbo

        Tantalo e la tantalea
Stirpe costringe; egli, il tapino stanco
        Dalle fatiche a togliere,
40Chiamato ed anche non chiamato ascolta.