Le odi di Orazio/Libro quarto/VIII
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VIII
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VIII.
Donerei pàtere ben di lieto animo,
Marzio, e gradevoli bronzi a’ miei sozj,
Donerei tripodi, premio di strenui
4Graj, nè sarebbero tuoi doni i pessimi,
Se me arricchissero l’arti, che a splendido
Grado levarono Scopa e Parrasio,
Nei marmi egregio l’un, l’altro in liquidi
8Colori a fingere or Numi or uomini.
Ma non delizie tali a me abbondano,
Nè i tetti e l’animo tuo ne bisognano:
Versi a te piacciono, e versi porgere
12Io posso e il merito del dono esprimerti.
Non marmi publici, scolpite epigrafi,
Per cui ritornano la vita e l’animo
A’ morti egregj duci, non celeri
16Fughe di Annibale, non respinti impeti,
Non di Cartagine empia gl’incendj
Per quei che reduce da la vinta Africa
Guadagnò titolo, più che gli encomj
20Delle Píeridi Calabre illustrano;
Nè, se il tuo merito le carte tacciono,
Ritrarrai premio. Che fòra il figlio
Di Marte e d’Ilia, se alla sua gloria
24Ostasse l’invido tacer di Romolo?
Èaco rapiscono da’ flutti stigj
Virtù, facondia, favor di strenui
Vati, e il consacrano in beate isole.
28[Non muor chi laude da’ vati merita]
Le Muse incelano. Così il forte Ercole
Di Giove a’ prandj bramati accogliesi;
Dal marin baratro così i Tindaridi,
32Chiari astri, i laceri legni ritraggono.
[Cinto le terapie di verdi pampini]
I voti Libero reca a buon esito.