Le odi di Orazio/Libro quarto/VI

Libro quarto
VI

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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
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VI.


Dio, cui la prole niobea linguarda
    Vindice seppe e Tizio rapitore
    E, vincitor già già dell’ardua Troja,
                4Lo ftiaco Achille

Maggior d’ogni altro, a te guerrier non pari,
    Ancor che figlio alla marina Teti
    Con l’orrenda asta le dardanie rocche
                8Scotesse in guerra.

Ei, qual pino da ferro acre colpito,
    O qual cipresso cui travolga il vento,
    Stramazzò grande e nella teucra pose
                12Polvere il collo.

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Non ei sorpreso avría dentro al mentito
    Caval sacro a Minerva i mal festanti
    Teucri e la reggia priamèa, di suoni
                16Lieta e di balli,

Ma, apertamente aspro agli oppressi, avrebbe
    In greche fiamme, ahi colpa, ahi pur gl’infanti
    Pargoletti arsi e quello anco nascoso
                20Nel matern’alvo,

Se il padre degli Dei, piegato al tuo
    Parlar soave e di Ciprigna, estrutte
    Non concedeva con più fausti auspìci
                24Mura ad Enea.

O Febo, tu che all’argiva Talìa
    La cetra insegni, e il crin lavi nel Xanto,
    Lieve Agièo, tu della daunia musa
                28L’onor difendi.

Febo la vena a me, Febo a me l’arte
    Diede del verso e di poeta il nome.
    Vergini elette e giovani da chiari
                32Parenti nati,

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Cura alla delia dea, che le fugaci
    Linci ed i cervi saettando arresta,
    Il lesbio metro osservate e del mio
                36Pollice il tocco,

Cantando in coro il Latonide, in coro
    La nottiluca in ciel face crescente,
    Propizia a biade ed a rivolger lesta
                40Rapidi mesi.

Dirai già sposa: «Nei festivi giorni
    Del secol novo, io docile a’ concenti
    D’Orazio vate una gradita a’ Numi
                44Ode cantai.»