Le odi di Orazio/Libro primo/IX
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IX.
Ve’ come alto di neve è il candido
Soratte: il peso più non sostengono
Le selve agitate, e dall’acre
4Gelo densi si arrestano i fiumi.
Disciogli il freddo, sovente e in copia
Legna ponendo nel foco; all’anfora
Sabina il buon vino quattrenne,
8Liberal Taliarco, tu cava.
Il resto a’ Numi credi: sul pelago
Bollente allora che i venti stendonsi
Fra loro pugnando, i cipressi
12Non travagliansi e gli orni vetusti.
Di cercar lascia ch’è per succedere
Doman; quant’oggi la sorte dònati
Scrivi a lucro, nè dolci amori
16Disprezzar, giovinetto, nè danze.
Fin ch’è lontana lenta canizie
Da te fiorente, il campo e l’area
E i leni pispigli notturni
20Si ripetano all’ora saputa.
Or di fanciulla, che in angolo intimo
S’asconde, il riso traditor piacciati
E il pegno rapito alle braccia
24Od al dito che mal ti resiste.