Le notti degli emigrati a Londra/Il marchese di Tregle/VIII

Il marchese di Tregle - VIII

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Il marchese di Tregle - VII


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IX.


Abbrevio.

Quando giunsi in Basilicata, la reazione vi fioriva. Non vi era altro a fare che nascondermi, uscire dal regno, o farmi impiccare. Quest’ultimo partito mi sorrideva meno di ogni altro, e lo misi da banda senza più.

Mi nascosi dunque e cercai il modo di espatriarmi.

Era mestieri, per questo, d’imbarcarmi. Due mari mi offrivano una via di scampo: l’Adriatico ed il Tirreno, l’uno per condurmi a Roma, ove la mano amica della Francia non aveva ancora strangolata la repubblica; l’altro per lasciarmi arrivare in Francia ove la repubblica agonizzava ancora.

Io mi decisi per Roma.

Nel frattempo in cui mi allestivano un imbarco, io dimorava in un castello ove la gendarmeria mi fece l’onore di parecchie visite, avvegnaché io non [p. 355 modifica]le contraccambiassi l’onore di riceverla personalmente.... No, la ricevei una volta.

Un giorno, sibariticamente coricato nella spessezza di un muro, leggendo i Pamphlets politiques di Cormenin — un repubblicano morto non ha guari senatore! — io udii quella buona gendarmeria lamentarsi forte della mia poca creanza di non permetterle di guadagnare il premio di 25,000 lire, prezzo a cui l’eccellente prefetto Caracciolo aveva messa la mia testa. Quando quella brava gente ebbe dunque terminato la sua ventesima visita, e la si fu ritirata, la signora della casa invitò il capitano a desinare. Egli accettò.

Il gendarme ed il prete mangiano sempre.

Si chiusero le porte. Dodici domestici della casa, guardiani di campagna, armati fino ai denti, si tenevano nel cortile e nel tinello. Il rispettabile funzionario li aveva sbirciati. Si chiamò a tavola. Seduto a destra della baronessa, ella mi presentò il capitano seduto alla sua manca.

Io non ho mai conosciuto, negli Stati di S. M. siciliana, un più grande galantuomo che quel birro! Cosa strana! in quel paese, le più gangrenite sono le persone da bene!...

Partii infine per recarmi a Barletta.

A qualche chilometro da Bitonto, svolgendo ad un angolo di strada, eccoci faccia a faccia con la gendarmeria. Si aveva avuto sentore che io andava ad imbarcarmi e mi volevano risparmiare il mal di mare. Io portavo, d’ordinario, tutta la barba. Era quindi bastato tagliare i baffi, radere il cranio alle parti volute, prendere una tonaca, procurarmi una lettera di obbedienza, per trasformarmi in capuccino; [p. 356 modifica]il più zucco, zuccone, zucconato dei zoccolanti. Un amico si era travestito in mulattiere.

Zzi mò, mi disse interpellandomi il luogotenente di gendarmeria, siamo bene qui sulla via di Bitonto?

— Mai no, signor capitano, risposi io balbuziando un cotal poco. Vi siete forviati ove è la croce di pietra. Invece di prendere all’est, avreste dovuto imboccare la via al sud. Voi andate a Modugno, per colà.

— Io lo diceva bene, rispose il luogotenente, dando l’ordine di retrocedere.

Io offersi loro dei sigari e del tabacco a fiutare, e mandai la forza pubblica di S. M. precisamente a Modugno.

Noi andammo dritto a Bitonto, ove eravamo attesi.

A mezzanotte, la gendarmeria faceva il diavolo a quattro alla nostra porta. Noi l’aspettavamo cenando. Il padrone di casa fece girare una parte del solaio, ed una piccola scala si offerse ai nostri sguardi. Discendemmo, e ci trovammo in una bella camera di sotto-suolo, preparata per riceverci, il mio compagno e me. La gendarmeria entrò, perquisì, bevve, si confuse in scuse, mangiò parte della nostra cena, e se ne tornò cospettando.

Bisognò rinunziare ad imbarcarmi nell’Adriatico. Mi decisi pel Tirreno.

Traversai tre Provincie e mi recai nel Cilento, in casa di parenti. Fui ricevuto come uno zio povero! Io era adesso travestito da prete, ma che prete!.... Era proprio un gusto a contemplarmi. Ero sporco come una gerla da cenciaiuolo, e con un tantin di zafferano e di succo di liquirizia mi ero dato una squisita itterizia. Io andavo, alla fiera, del resto, per comperar maiali. [p. 357 modifica]

Lasciai la notte stessa la casa dei miei cari cugini, che tremavano a scardina denti.

Ritornai a casa questa volta. Quarant’otto ore dopo la gendarmeria capitò di notte a sorprendermi. Essa ebbe perfino il diletto di sfogliare il volume di Victor Hugo, cui io leggeva il dì innanzi, e rimuginò perfino sotto il letto di mia cognata, che agonizzava, e che infatti morì il dì seguente.

Io ero accoccolato sul tetto, in una grondaia, ove ero giunto per una via altra che quella dei gatti, cui avrebbero dovuto prendere anche i gendarmi se avessero avuto la fantasia di venirmi a trappolare. E’ se ne andarono borbottando contro i loro spioni — i miei cari compatriotti.

Mi risolsi infine di andarmi ad imbarcare a Napoli, sotto le finestre proprio di S. M. Siciliana, cui Dio abbia nella sua gloria! Traversai quattro provincie, vestito da calderaio adesso, perfettamente imbrattato di carbone, ma perfettissimamente incapace di stagnare una casseruola, quantunque mi avessero dato tre lezioni sulla bisogna. Io però facevo andare i mantici a meraviglia, e seducevo le fanti, affinchè dessero vasellame in copia ad aggiustare. Poi le baciava per mancia.

Entrai a Napoli la sera del 7 settembre 1849, la vigilia della famosa festa di Piedigrotta.

Un’immensa moltitudine arrivava quella sera dai contadi vicino Napoli per avere il sollazzo di ammirare, all’indomani, il suo adorato padrone che si recava in grande gala, in mezzo ad una doppia siepe di Svizzeri, ad un santuario di non so quale Vergine. Io mi indirizzai in casa di uno zio, in via di diventar vescovo, per dimandargli l’ospitalità per [p. 358 modifica]una notte. E’ mi ricevette come un Turco che ha il gavocciolo, e mi mise fuori dell’uscio alla prima parola. Io turbava la sua pinzocchera o scomodavo la sua serva-padrona. L’amico, che aveva tutto preparato per la mia fuga, mi accolse più decentemente; e la sera seguente, sera di orgia pel popolaccio napolitano, vestito questa volta da dandy, dando il braccio ad una bella signorina, mi andai ad imbarcare a Santa Lucia.

Avevo ora a trattare con contrabbandieri, fior di pesca di galantuomini.

Il capitano del battello a vapore. La ville de Bastie, che doveva condurmi a Marsiglia, non aveva consentito a ricevermi a bordo che in pieno mare, nello stretto di Procida. Le navi francesi erano guardate a vista dalla polizia di S. M. I contrabbandieri mi presero quindi nella loro barca la notte, mediante sessanta ducati. Passai la notte coricato in quella barca, sulla spiaggia, e dormii come un canonico. All’alba, sciogliemmo al largo, e mi andarono a nascondere in una delle grotte sotto il promontorio di Posilipo, ove dovevo restare fino alle quattro pomeridiane.

Io non ho mai visto nulla di così splendido che quelle rifrazioni delle onde del mare scomposte dal sole e riverberate nell’ombra. Una tribù di granchi in bell’umore, diventando un po’ troppo famigliari, m’inquietò mica male e m’impedì di dormire.

Alle quattro, i contrabbandieri ritornarono. Ci dirigemmo allora verso il sito convenuto, remando lontano da Nisida, donde i doganieri sorvegliavano, d’accordo, i contrabbandieri.

Il vapore partiva da Napoli alle sei. [p. 359 modifica]

I nostri sguardi erano fissi all’orizzonte. «Un pennacchio di fumo per il mondo», avrei sclamato io, se io mi fossi stato Filippo II o Carlomagno. Ma quel pennacchio non compariva. Il sole, ripercosso dal mare, mi aveva bruciato il viso. Avevo la febbre e mi sentivo svenire. L’ora passò. Il vapore non compariva. Che sventura era dunque sopraggiunta?

La pazza della casa trottava, galoppava, volava con la celerità della luce. Mille dubbi, mille sospetti, come a Scalea. I contrabbandieri bestemmiavano come dei teologi ravveduti. Giammai io non aveva udito trattare il paradiso con tanta poca civiltà.

Due ore di ritardo!

I contrabbandieri, vedendo che la Ville de Bastie non giungeva, che le barche della dogana si staccavano e vogavano verso di noi, volevano senz’altro gittarmi al mare e continuare la pesca delle sardine. Io li addolciva. Affè di Dio! io non mi sapevo che fossi così eloquente e persuasivo! Infine, eccolo codesto fumo tanto sospirato! Il vapore avanza, va presto, presto, prestissimo; e’ vola.... E’ ci sorpassa.

Il capitano Cambiaggio aveva avuto non so che riotta con la polizia, aveva a bordo un carico di vescovi e di gesuiti, che tornavano al loro nido dopo la caduta della repubblica romana, ed era forte in collera.... Insomma, il capitano mi aveva obliato. Figuratevi, quindi, l’ansia, il terrore che si accasciò su di me vedendo il naviglio allontanarsi a tutto vapore. Avevo creduto aggrapparmi ad un ramo ed avevo stretto un boa! Cominciammo a gridare, ad agitare pezzuole bianche. Infine, un medico francese, il dottore Adolfo Richard, scorse i nostri segni e li fece rimarcare al capitano. Questi si risovvenne al[p. 360 modifica]lora, pestò e stoppò. Ci avvicinammo.... mi lanciai sul ponte....

Io non avrei mai creduto ad una simile potenza d’avvelenamento dello sguardo umano, se non avessi sostenuto gli sguardi di quei monaci e di quei vescovi, che gremivano le banchette, vedendomi così piovere in mezzo di loro. E’ compresero chi io mi fossi, e si sentivano impotenti a bordo. Tre giorni dopo io mettevo il piede sul suolo francese; otto giorni più tardi io mi sentivo sicuro come un re sotto la bandiera della fiera Inghilterra.



FINE.