Le mie prigioni/Cap XCVIII

Capo XCVIII

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Capo XCVIII.

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Stundberger m’accompagnò sino alla vettura, ove montai col brigadiere di gendarmeria, al quale io era stato affidato. Pioveva, e spirava aria fredda.

— S’avvolga bene nel mantello, diceami Stundberger; si copra meglio il capo, procuri di non arrivare a casa ammalato; ci vuol così poco per lei a raffreddarsi! Quanto m’incresce di non poterle prestare i miei servigi fino a Torino! —

E tutto ciò diceami egli sì cordialmente e con voce commossa!

— D’or innanzi, ella non avrà forse più mai alcun tedesco vicino a sè, soggiuns’egli; non udrà forse più mai parlare questa lingua, che gl’Italiani trovano sì dura. E poco le importerà probabilmente. Fra i Tedeschi ebbe tante sventure a patire, che non avrà troppa voglia di ricordarsi di noi. E nondimeno io, di cui ella dimenticherà presto il nome, io, signore, pregherò sempre per lei.

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— Ed io per te, gli dissi, toccandogli l’ultima volta la mano. —

Il pover’uomo gridò ancora: Guten morgen! gute reise! leben sie wohl! (buon giorno! buon viaggio! stia bene!). Furono le ultime parole tedesche che udii pronunciare, e mi sonarono care, come se fossero state della mia lingua.

Io amo appassionatamente la mia patria, ma non odio alcun’altra nazione. La civiltà, la ricchezza, la potenza, la gloria sono diverse nelle diverse nazioni; ma in tutte havvi anime obbedienti alla gran vocazione dell’uomo, di amare e compiangere e giovare.

Il brigadiere che m’accompagnava, mi raccontò essere stato uno di quelli che arrestarono il mio infelicissimo Confalonieri. Mi disse, come questi avea tentato di fuggire, come il colpo gli era fallito, come strappato dalle braccia di sua sposa, Confalonieri ed essa fossero inteneriti e sostenessero con dignità quella sventura.

Io ardeva di febbre udendo questa misera storia, ed una mano di ferro parea stringermi il cuore.

Il narratore, uomo alla buona, e conversante per fiduciale socievolezza, non s’accorgeva che, [p. 335 modifica]sebbene io non avessi nulla contro di lui, pur non poteva a meno di raccapricciare guardando quelle mani che s’erano scagliate sul mio amico.

A Buffalora ei fece colazione: io era troppo angosciato, non presi niente.

Una volta, in anni già lontani, quando villeggiava in Arluno co’ figli del conte Porro, veniva talora a passeggiare a Buffalora lungo il Ticino.

Esultai di vedere terminato il bel ponte, i cui materiali io aveva veduti sparsi sulla riva lombarda, con opinione allora comune che tal lavoro non si facesse più. Esultai di ritraversare quel fiume, e di ritoccare la terra piemontese. Ah, bench’io ami tutte le nazioni, Dio sa quanto io prediliga l’Italia, e bench’io sia così invaghito dell’Italia, Dio sa quanto più dolce d’ogni altro nome d’italico paese mi sia il nome del Piemonte, del paese de’ miei padri!