Le madri galanti/Atto V
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ATTO QUINTO
SCENA PRIMA.
Salvi, Camilla — seduti a un tavolino.
Salvi.
(leggendo). Possa, la donna tua farti beato
Coi lieti occhi amorosi;
A te, fidata consigliera, allato
In atto di benigno angelo posi
E nell’amor ti sia
Come perpetuo lume in dubbia via.
Ma tu non ascolti. A che pensi?
Camilla.
Me lo domandi? e tu stesso, povero amico a cosa pensavi? le tue labbra leggevano, ma la tua mente era altrove. — Partire, abbandonare la nostra bella casetta senza aver riabbracciata mia madre, e sapendola in collera ancora...
Salvi.
Vedi, Camilla — avevo torto io quando prevedeva che la gioia della sposa sarebbe stata il rimorso della figlia? — Ma tuo padre l’ha voluto....
Camilla.
Mio padre soltanto?...
Salvi.
E il mio cuore e il tuo. — La ragione ha fatto il dover suo — ha combattuto ostinatamente — ma quando ti vidi malata, il cuore vinse... e la ragione ebbe torto. — Ma ora tu pensi a tua madre, mio povero angelo.... ed io tentavo appunto distoglierti dalla triste realtà con un po’ di poesia.
Camilla.
Ne ho tanta nel cuore da tre mesi; e se non fosse per seguire il mio poeta, credi tu ch’io potrei lasciare Milano in circostanze come le nostre?
Salvi.
Fatti animo, mia cara: tutto si accomoderà; al nostro ritorno troverai qui tua madre.
Camilla.
Ho tanto bisogno di un suo bacio! — Mio padre dovrebbe essere di ritorno a momenti.
Salvi.
Fra una mezz’ora al più. Ma non attenderti troppo da questa sua gita.
Camilla.
Avrà veduto la mamma, le avrà parlato, forse l’ha persuasa....
Salvi.
Ne dubito molto, Camilla. — Durante la nostra assenza sarà molto più facile la riconciliazione. — Ella tornerà in città: qui le memorie della tua infanzia risusciteranno intorno a lei; tutto le parlerà della sua fanciulla, e il dì del nostro ritorno ella sarà sulla porta ad attenderla e avrà tutto scordato.
Camilla.
Ma tu vuoi che andiamo fino a Napoli.... ci vorrà tanto tempo!
Salvi.
Ma non credi che insieme passerà presto?
Camilla.
(con effusione) Oh! col mio poeta!....
Salvi.
Chiamar poeta un avvocato!...
Camilla.
Tu lo sei, si che lo sei. — Prima di essere tua moglie la vita e la natura erano per me come un libro arcano di cui intravedevo le bellezze e indovinavo gli affetti.... ma era scritto in una lingua sconosciuta: ebbene tu me l’hai insegnata in tre mesi! Ciò non può essere l’opera della tua scienza, è dunque il miracolo della tua poesia!
Salvi.
È il miracolo dell’amore! (le prende la mano, e la tiene fra le sue, accarezzandola).
SCENA II.
Detti, Maria, poi il Conte.
Maria.
Non si può dire, ragazzi miei, che voi perdiate il vostro tempo; si parte fra poco e tuttavia....
Camilla.
I bagagli sono pronti: Enrico mi faceva un po’ di lettura per farmi dimenticare che quell’ora deve pur arrivare. — Povera zia, e tu resterai qui tutta sola.
Maria.
Oh! non accorartene, giacchè accettaste questo vecchio mobile della zia nella vostra casetta nuova, alleggerirò il fardello della riconoscenza rendendomi utile. — Voglio che al vostro ritorno troviate il vostro nido provvisto e compito come se fosse quello di un consigliere ammogliato da quarant’anni.
Salvi.
In questo caso mi attenderò di scoprir qualche giorno in un nascondiglio cinque o sei Sovrani litografati, e mi spenderete un tesoro in berretti da notte.
Maria.
Lasciate fare a me. — Appunto, Camilla; la tua piccola borsa?...
Camilla.
Ma si parte dunque davvero? ne parlate proprio come se ogni speranza fosse perduta.
(entra il conte).
Camilla.
Solo!
Maria.
Non ottenesti nulla?
Conte.
Meno di nulla. — Mia moglie era partita dalla villa jeri non dicendo ad alcuno per dove.
Camilla.
Oh povera me!
Maria.
Non l’hai dunque veduta?
Conte.
Giunsi a Como stamane: jeri fui in Brianza sperando trovarla presso suo cognato; se correvo a Como direttamente ve la trovavo ancora.
Camilla.
Ma dove mai può essere andata?
Maria.
La lettera che le parlava della vostra partenza avrebbe però dovuto giungerle jeri....
Conte.
Se non si è fermata anch’essa in Brianza.
Salvi.
Povero d’Acqui! vedi ch’io non mi ingannava dicendoti che la mia felicità ti sarebbe costata ben cara....
Conte.
La tua felicità è quella di Camilla, è la mia, caro Enrico; e non la gustiamo soavemente noi quattro? — Vivaddio! quella signora contessa....
Camilla.
Oh! papà, perdonate alla mamma. — Anche noi abbiam forse dei torti....
Conte.
Noi? — via, non voglio rattristarti; stattene allegro, Salvi; tutti i miei affetti ormai alloggiano in casa tua: come potrei accorgermi di ciò che manca nella mia?
Maria.
(sorridendo). Oh! non difettate di ospiti, ragazzi miei.
Salvi.
Fosti già al tuo palazzo? (al conte).
Conte.
Giungo direttamente dalla ferrovia.
Salvi.
Ma, la contessa non potrebbe essere....
Camilla.
(con premura). Sì, sì, ella può essere a casa nostra....
Conte.
Può darsi poichè senza saperlo ho indicata questa casa al cocchiere: davvero m’imaginava che tutti dovessero fare lo stesso.
Maria.
Mandiamo subito qualcuno....
Conte.
Ci vado io stesso. — Voi partite alle quattro, ho dunque tutto il tempo.
Camilla.
Enrico, se accompagnassi mio padre?
Salvi.
Faresti benissimo, ti divagheresti.
Maria.
Ma tu devi viaggiar tutta notte, Camilla....
Camilla.
Starmene qui ad aspettare nell’incertezza, mi sarebbe peggio. — E poi, se dobbiamo proprio partire sento che lo farò meno mestamente dopo aver riveduto la mia stanzuccia di una volta, e il salotto dove c’è il ritratto della mamma.
Conte.
Quella povera Anna! quanti tesori essa perde di tenerezza e di felicità! — Andiamo, Camilla, andiamo.
(esce con Camilla).
SCENA III.
Salvi, Maria, poi Matilde.
Salvi.
Scrivo due righe per affari, e sono da voi, cara zia.
Maria.
Fate, fate, io vado ad aggiungere qualche cosa al baule della viaggiatrice.
Domestico.
(sella porta) Donna Matilde Foschi chiede parlare al signor avvocato.
Salvi.
(sorpeso). Ella! che vuol da me? (al domestico) ditele che sto per partire; no... aspettate... fatela entrare. (il domestico esce) Che vorrà ella mai?
Matilde.
(entrando). Signor avvocato...
Salvi.
Signora...
Matilde.
Voi mi trovate ben pallida e ben dimagrata, signor Salvi...
Salvi.
Non vi avevo osservato molto attentamente.
Matilde.
Oh! gli è che questi pochi mesi sono stati dieci anni per me. Voi invece... con una sposa...
Salvi.
Scusatemi... qual è il motivo della vostra visita?
Matilde.
Tutta una storia, tutta una storia dolorosa, che volge a una catastrofe... — Ho bisogno di voi.
Salvi.
Come avvocato?
Matilde.
Sì, come avvocato: come il solo che conosce tutti i miei affari,...
Salvi.
In questo caso non potrei rifiutarmi: — ma io parto oggi stesso per la Toscana. — Ad ogni modo un collega mi supplisce intanto presso i clienti: potrò indirizzarvi a lui...
Matilde.
Oh no; impossibile: non potrei confidarmi che a voi. Signor Salvi, con voi mi sento più franca.... ebbene sappiate che la poca fortuna scampata al naufragio di mio marito....
Salvi.
Ha naufragato nelle vostre mani?...
Matilde.
Io sono rovinata. — Ho però grandi speranze, parenti molto ricchi... e di... una certa età, ma intanto ho bisogno della vostra penna e della vostra discrezione. — Sentite. — Un amico mio si è fatto garante di me presso i miei creditori, ma costoro vogliono che la garanzia... la... come la chiamano...
Salvi.
La fidejussione...
Matilde.
Appunto — sia fatta in tutte le regole; il mio amico è pronto a soddisfarli con una ipoteca sui suoi beni, ma per tutto questo abbiamo bisogno di chi conosca bene le faccende mie: voi foste altre volte in diretti rapporti co’ miei creditori, essi hanno molta stima di voi, pretendono il vostro nome. Mi capite, signor Salvi, è una cosa delicatissima: quel mio amico è giovane... il mondo potrebbe tradurre una prova di generosa amicizia...
Salvi.
In una prova d’amore, capisco — il mondo è così cattivo!
Matilde.
Signor Salvi, porgetemi la mano dalla barriera che ci divide per sempre e sarà l’ultima prova...
Salvi.
Voi desiderate un atto di fidejussione. Per servirvi bisognerebbe ch’io fossi notaio; poi che, essendo notaio, non partissi quest’oggi alle quattro...
Matilde.
Come! un avvocato non basta per questo? vedete! ed io credeva che voi foste tutto...
Salvi.
E non sono nemmeno notaio! — Ma... da senno, signora Matilde, venir da me per sfuggire a un giudizio temerario... da me?... Del resto è naturale! Voi pensaste: L’avvocato Salvi ne sa una, ne può sapere anche un’altra.
Matilde.
Signor Salvi...
Salvi.
Ma voi avete decisamente una buona stella. — Se fossi notaio a quest’ora saprei il nome del vostro amante. Un altro a cui ricorriate, non avendo la fortuna di conoscervi intimamente, come voi dite, prenderà la cosa per il suo verso....
Matilde.
(alzandosi). Vedo, signor Salvi, che questa nuova posizione, questo ideale d’amore che riusciste finalmente a chiudere fra quattro pareti, non vi ha fatto un po’ meno severo. Avete sempre...
Salvi.
I guanti gialli di una volta quando mi imbatto nelle maschere di una volta. Ah! gli è che fra i tanti creditori, il debitore lo dimenticaste. Io sdegno la moneta che voi mi regalaste: ecco perchè, signora, vi rendo le vostre calunnie con un gruzzolo di verità...
Matilde.
Quali calunnie?...
Salvi.
(chiamando). — Signora Maria!
SCENA IV.
Detti, Maria.
Salvi.
(piano a Maria). Trovate modo di metterla garbatamente alla porta.
Maria.
Signora Foschi...
Matilde.
Signora Senesi...
Maria.
In lutto?
Salvi.
Io non me n’ero accorto. (piano a Matilde). È per la perdita che mi annunciaste?
Matilde.
(a Maria). Purtroppo! oh in questi mesi!
Salvi.
Per la perdita?...
Maria.
Della vostra figliuola forse?
Matilde.
No! grazie al cielo! per quella di mio marito. Povero Foschi! morì in due giorni.
Maria.
Signora, voi mi ispirereste una profonda pietà, anche se foste meno di una straniera per me. Anch’io perdetti un marito.
Matilde.
Non è vero che la è una fatalità? restarsene in una posizione così falsa....
Maria.
A voi però resta una cara fanciulla.
Matilde.
Da cui mi è forza separarmi.... per motivi.... di famiglia....
Salvi.
Ah! voi partite dunque... a quanto sento, signora?
Matilde.
Sì, partirò, signor avvocato: poichè nelle disgrazie l’amicizia sparisce.... comprenderete che il soggiorno di Milano non può più essere il mio.
Salvi.
Lodo la vostra prudenza.
Maria.
Enrico.... credo che di là abbiano bisogno di voi. — Signora Foschi.... abbandonate dunque vostra figlia.... Enrico, è tardi sapete?
Salvi.
I miei complimenti, signora. (a Matilde).
Matilde.
Signore.... (s’inchina con freddezza, Salvi esce).
SCENA V.
Maria e Matilde.
Maria.
Signora Foschi, voi avete certo la madre, la sorella, qualche parente, senza dubbio, cui confidate nell’assenza la vostra creatura?
Matilde.
La metterò per ora in un collegio! poi se le mie speranze non falliscono....
Maria.
(pensosa). In un collegio! E resterete assente da Milano molto tempo?
Matilde.
Molti anni certo.
Maria.
Molti anni! (con risoluzione). Signora Foschi, volete confidare a me la vostra fanciulla?
Matilde.
(con sorpresa). A voi?
Maria.
(con effusione). Oh! io le terrò luogo di madre... sarò sua madre. — Io non lo fui signora, e la mancanza di questo affetto mi rese arida e infelice la vita.
Matilde.
Certo la vostra offerta.... oh! ve ne sono grata nell’anima.... ma pure....
Maria.
Perchè esitate....?
Matilde.
Gli è che....
Maria.
Vi pare che la mia casa possa valere il collegio....
Matilde.
Oh! signora.
Maria.
E allora?
Matilde.
Vi parlerò apertamente. — La mia Carolina, ve lo dissi, è povera. Il suo avvenire mi spaventa. Esse però ha una voce magnifica....
Maria.
E che ne vorreste fare? Educarla al teatro forse?
Matilde.
È l’unico mezzo per assicurarle quella indipendenza....
Maria.
(interrompendola). La indipendenza! Uditemi, signora: io sono ricca, sono sola al mondo. I miei parenti non hanno bisogno della mia fortuna, e potrei....
Matilde.
Che dite voi mai?
Maria.
Dico che se troverò nella vostra Carolina l’affetto di figlia in ricambio dell’affetto di madre che io le darò, se le doti del suo cuore....
Matilde.
Oh! è un cuor d’angelo.
Maria.
Allora come sarà mia figlia d’affetto, lo sarà anche di nome, lo sarà anche davanti alla legge.
Matilde.
Che! l’adottereste?
Maria.
Sì. — Ve lo dissi: l’isolamento, la solitudine della mia vita mi pesano, mi sono insoffribili. Dio non mi concesse le dolcezze di un affetto figliale, ed io ne sono sitibonda. Ringrazierei il cielo, se me le accordasse nella vostra Carolina.
Matilde.
Signora, nessuno meglio di voi può comprender quanto debba costarmi il rinunziare a queste dolcezze — e nessuno comprenderà del pari meglio di voi se per l’avvenire di Carolina, per assicurarle quella fortuna indipendente che salverà la sua giovinezza da molti pericoli, io non esito a dirvi: il giorno in cui mi chiederete che abdichi per voi: ai diritti di madre... lo farò.
Maria.
Oh! grazie! — Correte dunque, correte subito a prendere la vostra Carolina.... stava quasi per dire mia figlia.... Oh! mi pare già di essere madre....
Matilde.
(con cupa tristezza). E a me pare di non esserlo più! ma Dio vi benedica, o signora. Voi mi togliete il più grande dei dolori — quello di lasciare anche la miseria a mia figlia!
(esce).
Maria.
No, quella donna non sa esser madre; no, essa non ama sua figlia.
SCENA VI.
Anna, e Detta.
Anna.
(entrando precipitosamete). Maria, Maria, non c’è Camilla? Dov’è mia figlia?... non è ancora partita, ditemi, non è ancora partita?
Maria.
Oh! Anna, Anna, abbracciamoci.
Anna.
(cadendo nelle braccia della cognata). — Lasciatemi piangere.
Maria.
Oh! Camilla, vi aspettava, sapete? — Il suo amore fu profeta!
Anna.
M’ama dunque ancora? non mi disprezza? non è adirata?
Maria.
Che dite! non lo fu mai. — Uscì con suo padre per cercarvi — non venite da casa vostra?
Anna.
Da casa mia? — Oh! non vi rientrerò, Maria, se prima non avrò avuto un bacio di Camilla, un bacio che consacri la mia vita nuova. — Oh la solitudine! Dio l’ha fatta per il pentimento. — E volevano farla partire senza avermi veduta.... senza avermi.... — Ma non sapevano che io sono una madre io, una madre come tutte le altre! Sarei venuta subito.... dopo due giorni, per lei; fu la vergogna di comparir davanti agli altri miei giudici....
Maria.
Giudici!... ma voi non foste colpevole mai, Anna! non avete intorno a voi che l’affetto, che l’amicizia....
Anna.
Di quanti perdoni ho bisogno! e li desiderai tanto, appena mi trovai sola. — Oh! la solitudine!
Maria.
Guardate.... voi la vedete per la prima volta: è la casa di Camilla, il paradiso che vi farà tutto dimenticare.
Anna.
Voi lo gustate da tre mesi, voi....
Maria.
E furono la mia vita nuova! — Oh! la buona notizia, la buona notizia che darò a Camilla!
Anna.
Verrà subito...?
Maria.
Non può tardare. — Essi contavano partire alle quattro. — Ora sono le tre passate. — La povera fanciulla non voleva assolutamente partire... per voi.
Anna.
Ed io finora non meritai l’amor suo.
Maria.
Parliamo dell’oggi, dell’oggi soltanto. — Sentite, la vo’ prevenir io della vostra presenza, concedetemi questo favore. — Ella sta per riprendermi una gran parte del bene che mi vuole. — E poi, il vostro primo colloquio deve essere con lei sola.
Anna.
Sentite!... il campanello! è lei, è lei!...
Domestico.
(annunciando). Il signor barone Abati.
Anna.
Un estraneo! in questo momento!... dove ritirarmi?
Maria.
Quì, quì, in questa stanza. (addita l’uscio a destra. — Anna vi si slancia).
SCENA VII.
Maria, Barone.
Maria.
Signor barone.
Barone.
Signora Maria... e gli sposi?... non son già partiti? Potrò ancora baciar la mano alla sposina?
Maria.
È uscita con suo padre per un’ultimo affare: ritorneranno da un minuto all’altro. La prego d’accomodarsi....
Barone.
E che nuove della bella contessa, di donna Anna? si è eclissata, si è avvolta nel mistero... bricconcella, nessuno ne sa più nulla. Tutti fanno supposizioni, commenti.
Domestico.
(entrando, piano a Maria). Una donna velata chiede di parlare alla signora...
Maria.
È sola?
Domestico.
È con una piccola bambina.
Maria.
Vengo. Mille scuse, barone, se la lascio così, ma i nostri viaggiatori non tarderanno a capitare.
(esce frettolosa).
SCENA VIII.
Barone, Domestico.
Barone.
Ehi!
Domestico.
Comandi, signor barone.
Barone.
Tu eri prima al servizio della contessa d’Acqui?
Domestico.
Per obbedirla.
Barone.
Ebbene, dammi le ultime notizie che corrono in cucina.
Domestico.
Su che?
Barone.
Sulla contessa.
Domestico.
Oh, non vorrei essere indiscreto.
Barone.
Villano, se lo chieggo io... (gli dà uno scudo).
Domestico.
Se la è così, ecco. All’ora che le parlo, il conte, l’avvocato, e la contessina sono dietro a cercarla per tutta Milano; ma la contessa non si può trovare. Ed io poi so da fonte sicura che la è andata nientemeno che...
Barone.
Dove?...
Domestico.
Nel nuovo mondo. Ah! ah! la cercheranno un bel pezzo.
SCENA IX.
Conte, Salvi, Camilla, Barone.
Conte.
(entrando). Su, lesti, che son quasi le quattro. — Oh, barone, tu qui!
Barone.
Io son sempre dove c’è una bella signora che parte
Salvi.
Su, meno triste, Camilla, fatti animo! — Tu, Michele, porta giù questi bauli.
Conte.
E dov’è andata Maria? — Sbrighiamoci, o perderemo la corsa — il mio orologio ritarda.
Barone.
(a Camilla). Posso offrirvi il braccio, gentilissima signora?
Camilla.
No, grazie: ho tanti impicci. — Ma la zia dov’è?
Conte.
Sarà forse da, basso a sorvegliare ai bauli.
Salvi.
Ebbene, andiamo. — Non dimentichi nulla Camilla?
Camilla.
Nulla.
Conte.
Presto.
(Escono. — La scena rimane vuota un momento).
SCENA X.
Anna, Matilde, poi Camilla.
(Dalla porta a sinistra entra Matilde che s’avvia inquieta alla porta di mezzo: dalla porta a destra esce violentemente Anna che corre per seguire i partiti. — Le due donne si riconoscono, e restano un momento a guardarsi stupefatte).
Anna.
Voi!... qui!
Matilde.
(con tristezza) La fatalità mi separa da mia figlia.
Anna.
(con espansione). L’amore mi ricongiunge alla mia.
Camilla.
(precipitandosi dalla porta). Mamma, mamma!
Anna.
Camilla! (si gettano l’una nelle braccia dell’altra: entra Maria)
SCENA XI.
Anna, Matilde, Camilla, Maria.
poi Barone, Salvi e Conte.
Matilde.
(a Maria). La bimba è nelle vostre stanze — ma da che parte s’esce? ho sbagliato l’uscio...
Conte.
Anna!... Vien Anna! (si stringono la mano).
Salvi.
Ero sicuro che sareste tornata.
Maria.
(additando Anna e Camilla abbracciate). Guardate; io sarò così colla vostra figliuola.
Anna.
(nelle braccia di Camilla). La mia vita ora è qui: non sono più che madre.
FINE.