Le feste di San Giovanni in Firenze/Parte prima/Capitolo IV
Questo testo è completo. |
◄ | Parte prima - Capitolo III | Parte prima - Capitolo V | ► |
§ IV
Negii antichi storici si parla spesso nella descrizione delle feste di ceri e di carri; per migliore spiegazione giova conoscere ciò che dice il Mauni, che cioè questi ceri che talvolta erano di cera da ardere, e talvolta di carta pesta dipinti, venivano collocati sopra certi castelli o torrette, quali il più delle volte avevano la forma dei castelli e luoghi che mandavano il Censo.
Questi carri sembra che venissero in uso circa il 1200; si trova infatti nel 1271, un concordato fra il Capitolo, il Clero fiorentino, ed i Consoli dell’arte di Calimala per cagione di tali offerte.
Questi carri si fabbricavano in via degli Scarpentieri presso il Canto de’ Nelli; strada che da molti anni non conserva più questo nome; Francesco Redi scrisse in una lettera che questo nome traeva la sua etimologia dal latino Carpentarius, che vuol dire Legnaiolo. La famiglia Pollini fondatrice dello spedale della Scala, ha nello stemma 8 ruote da carro, poiché apparteneva a quelli artefici che costruivano i carri.
I primi carri che si usavano in Firenze per le feste erano assai goffi, e quasi ridicoli, poiché nei ceri di carta pesta vi erano infilati dei Bambocci di cera; quali allorché passavano per le vie venivano con uncini e mazze staccati e dati per divertimento ai fanciulli.
Questi carri e ceri venivano sul principio introdotti entro la Chiesa di S. Griovanni; ma stante l’imbarazzo che vi arrecavano fu ordinato nel 1484, che non vi si introducessero altrimenti, e successivamente furono affatto smessi e sostituiti da carri più perfetti, fra i quali il più trionfale fu quello detto della Zecca; questo carro nell’anno 1340, essendo caduto avanti alla porta dei Priori, fu rifatto di nuovo con ornati e pitture rappresentanti i fatti più insigni di S. Giovanni, per mano di Jacopo da Pontormo. L’altezza del carro era braccia 17, e la lunghezza braccia 7; sopra il carreggio vi erano dei drappelloni nei quali erano dipinte diverse imprese ed armi allusive alla Zecca. Al di sopra s’inalzava il carro con quattro ordini, che andavano gradatamente restringendosi fino all’ultimo. Nelle pareti di questi ordini vi erano altrettante nicchie nelle quali si collocavano alcuni fanciulletti simboleggianti dei Santi. Al second’ordine sulle quattro cantonate vi erano dei mensoloni sui quali stavano seduti quattro giovinetti portanti un bastone con l’arme del Griglio. Il terzo ordine conteneva sulle cantonate quattro arpìe che sostenevano le armi dei maestri di Zecca. Nel quart’ordine finalmente, e sopra la sommità eravi collocato un uomo che rappresentava S. Giovanni con calzoni di accia rossa vergata di bianco con camicia bianca e le braccia nude fino al gomito, era coperto da due pelli di tigre fermate al collo ed aveva nudi i piedi e le gambe; in testa avea il diadema e una parrucca mal pettinata propria di persona che sta nel deserto. In mano teneva una Croce con due traverse di ferro coperte di fiori; vi era poi un palo alto fino a mezza vita ove quell’uomo veniva legato con una cigna. Si è ritenuto da alcuno che a tale rappresentanza fosse scelto uno dei prigioni liberati di carcere, ma il Manni sostiene che il finto S. Giovanni era è vero dell’infima plebe ma che non veniva mai scelto un condannato a far le parti del Santo, e l’equivoco forse nasceva dall’andare dietro il carro i prigioni che venivano liberati nel giorno della festa. A quest’uomo che soffriva non lieve strapazzo per lo stare in cima del carro non gii era dato altro dall’arte dei Mercatanti che sole L. 10; e più una colazione che gli veniva presentata da una finestra di una casa presso S. Maria in Campo; e questa colazione gli era presentata mediante una pertica o asta a forma di pala alla quale era attaccata una paniera con entro una grandissima ciambella, più due boccali che uno pieno di vino bianco, ed altro di rosso, ed alcune paste e confetti. Il finto S. Giovanni beveva e mangiava a suo piacimento, e quindi versava il resto del vino e gettava i vasi di vetro ed il resto delle paste e dei confetti al popolo che vi era intorno. Questa cerimonia non era un lascito sopra il fondo di questa casa, come per un tempo fu creduto, ma era una consuetudine a carico del padrone di essa introdotta da antichissimi tempi, in occasione di essersi una volta rotto il carro in faccia a quella casa, per il che quell’uomo che era in cima del carro fu tirato su dalle finestre con una fune e portato in casa, fu alquanto ristorato, ed in memoria di tale avvenimento fu cominciato a dargli la colazione dalle finestre della suddetta casa; qual consuetudine fa seguitata fino all’anno 1748. Nell'anno poi successivo fu levato affatto l’uso dell’uomo in cima del carro, ed invece vi fa posta una statua di legno rappresentante il Santo.
Questo carro detto della Zecca era il più grandioso ed ornato, erano pregievoli pure gli altri carri che erano stati rinnovati, fra i quali ve ne erano alcuni dipinti a chiaro scuro da Andrea Del Sarto. Questi carri nel 1662, disgraziatamente presero fuoco, e vennero quasi tutti distrutti, come racconta Francesco Bonazzini; e ciò avvenne perchè una dei legnaioli che dovea risarcirli, lasciò una candela accesa quale fu causa dell’incendio, per il che fu fatto poi un processo dall’Arte dei Mercatanti contro il detto legnaiolo per nome Pietro Farsetti che era stato causa involontaria di tale disastro.