Le Trachinie (Sofocle - Romagnoli)/Secondo episodio

Secondo episodio

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Sofocle - Le Trachinie (438 a.C. / 429 a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1926)
Secondo episodio
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DEIANIRA
Esce dalla reggia, seguita da una schiava che reca
un cofanetto chiuso. Si volge al Coro.

Finché lo straniero1, amiche, in casa
con le fanciulle prigioniere parla,
e s’appresta a partire, io qui di furto
venni, per dirvi ciò ch’io feci, e insieme
perché voi foste al dolor mio partecipi.
Ch’io la vergine accolsi, or non piú vergine,
a ciò che appare a me, come un nocchiere
su la sua nave un carico. Ed è merce
che distrugge il mio cuore; e adesso in due,
sotto la stessa coltre un solo amplesso
stiamo attendendo: tal compenso a me
della custodia lunga alla sua casa
Ercole il buono, Ercole il fido invia.
Con lui che da tal morbo è tanto afflitto,
io crucciarmi non so. Ma qual mai donna
viver potrebbe con costei, partecipe
d’un letto solo? Io qui veggo una nuova
giovinezza fiorire, una distruggersi;
e l’occhio brama il fior di quella cogliere,
respinge l’altra il piè. Temo per questo

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che mio sposo di nome Ercole sia,
ed a fatti di lei, della piú giovine.
Ma non giova, lo dissi, andare in collera,
per una donna ch’abbia senno; ed io
vi voglio, amiche, dir come disciogliermi
da questa doglia intendo. Un vecchio donò
serbavo ascoso d’un antico mostro
entro un vaso di bronzo. Ancor fanciulla,
dalle ferite del villoso petto
del moribondo Nesso io lo raccolsi,
che, per mercede, sui profondi vortici
del fiume Evèno, trasportava a braccia
i viatori, e non usava remi
per quel tragitto, e non vele di nave.
Ed anche me, quando io mossi col seguito
del padre mio, novella sposa d’Ercole,
portò sopra le spalle; e quando a mezzo
era già del tragitto, mi toccò
con temerarie mani; ond’io gridai.
Ed il figlio di Giove, si voltò
subito, e un dardo alato gli lanciò,
che, sibilando, gli trafisse il petto
sino al polmone. E, già presso a morire,
disse cosí la fiera: «O del vegliardo
Enèo figliuola, tal vantaggio avrai
dal mio tragitto, poi che tu sei l’ultima
ch’io traghettai. Se tu con le tue mani
raccoglierai delle mie piaghe il sangue,
che sul dardo s’aggruma, ove lo tinse
piú dell’Idra di Lerna il negro tossico,
un filtro avrai che a te l’amore d’Èrcole
stringerà, si che amar non possa femmina
ch’ei vegga, piú di te». Rammemorando

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queste parole, poi che in casa il filtro,
quand’ei fu morto, custodii ben chiuso,
questa tunica or tinsi, e compiei quanto
vivo ancora mi disse: è cosa fatta.
Non vo’ saper di tristi audacie, apprenderle
non voglio: aborro le sfrontate femmine;
ma superar con filtri e con incanti
questa fanciulla nell’amore d’Ercole,
questo l’ho fatto — ove non sembri a voi
stolida impresa: allor, desisterò.
CORO
Se nutri in ciò che fai fiducia alcuna,
non ti consigli, sembra a me, da stolta.
DEIANIRA
La mia fiducia è tal, ch’io la presumo
fondata; ma la prova io non attinsi.
CORO
Ma per sapere, oprar devi: certezza,
pur se credi, non hai, sinché non provi.
DEIANIRA
Subito lo sapremo: è già costui
su l’uscio, e presto partirà; ma voi
serbate il mio segreto: anche se un’opera
turpe tu compierai, sinché nel buio
resta, non mai cadrai nella vergogna.
Dalla reggia esce Lica.

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LICA
Che debbo fare? D’Enèo figlia, dimmelo,
ché troppo a lungo già durò l’indugio.
DEIANIRA
Cura di ciò mi davo appunto, o Lica,
mentre alla straniera in casa tu
stavi parlando, perché tu recassi
questo peplo sottil, delle mie mani
dono, al mio sposo. A lui porgilo, e digli
che nessun dei mortali alle sue membra
deve prima di lui cingerlo, o raggio
di sol vederlo, o santuario, o vampa
di focolare, innanzi ch’ei, nel dí
che s’immolano i tori, innanzi a tutti
surga, e lo spieghi dei Celesti agli occhi.
Ché un voto io feci: che, se un giorno a casa
lo vedessi tornar salvo, o notizia
pure ne avessi, di novella tunica
degna lo coprirei, sí ch’egli, nuovo
al sacrifizio, vesti nuove avesse.
E un segno ne addurrai tu, che di questo
sigillo impresso nella cerchia, a lui
parlerà chiaro. Or vanne; e pria la legge
osserva; e poi che messaggero sei,
non andare cercando oltre; e la grazia
sua, poscia fa’ che con la mia concorra,
e semplice non sia piú, bensí duplice.

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LICA
Se ben questa d’Ermete arte io conosco,
io non ti mancherò, si ch’io non rechi
questo cofano intatto, e le parole
fedelmente che tu dici, v’aggiunga.
DEIANIRA
Dunque, partire omai potresti: tutto
ciò che si volge in casa ora tu sai.
LICA
Lo so: dirò che tutto è sano e salvo.
DEIANIRA
Ed anche sai, l’hai ben veduto, come
la straniera amicamente accolsi.
LICA
Vidi, e piacer me ne commosse il cuore.
DEIANIRA
Altro dir che potrai? La brama ch’io
nutro di lui, troppo presto sarebbe
detta, pria di saper se anch’ei mi brama.

Note

  1. [p. 249 modifica]Lo straniero, cioè Lica.