Le Selve/Note alla selva Manto
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MANTO.
* Prende titolo e soggetto dalla indovina tebana figlia di Tiresia, la quale dié il proprio nome alla città di Mantova, fondata da Ocno suo figlio e patria di Virgilio.
Pag. 3, v. 1.
La nave degli Argonauti tu costruita presso Pagasa, città della Tessaglia.
Pag. 7, v. 12.
Nemesi, o Ramnusia da Ramno, borgo dell’Attica dove aveva un antico santuario, è la Dea della giustizia vendicatrice; distribuisce a ciascuno ciò che gli è dovuto, e porta fortuna o sfortuna, secondo ragione e dovere. Il Poliziano, come osserva giustamente il Del Lungo, compone liberamente questa figurazione, che è bellissima.
Pag. 8, v. 38 sgg.
Nestore (il vecchio da Pilo), e Ulisse (signore di Dulichio).
Pag. 9, v. 47 sgg.
Opere di Virgilio: la Bucolica, la Georgica, l’Eneide.
Pag. 12, v. 114.
Anfione, figliolo di Giove e di Antiope, il quale fabbricò le mura di Tebe, patria di Manto, sonando la sua cetra.
Pag. 13, v. 128 sgg.
Allude a poemetti e versi giovanili erroneamente attribuiti dagli antichi grammatici a Virgilio: Dirae, Culex, Priapeia, Epigrammata, Aetna, Ciris.
Pag. 15, v. 156.
Cesare Ottaviano, il quale fu per qualche tempo condiscepolo di Virgilio quando frequentava le lezioni del retore Epidio.
Pag. 16, v. 169 sgg.
* Dà per ordine i titoli e i soggetti delle dieci Egloghe, che compongono la Bucolica virgiliana: Tityrus, Alexis, Paloemon, Pollio (Veste di nobilissima poesia la interpretazione data alla misteriosa egloga da sant’Agostino e altri scrittori ecclesiastici, che il fanciullo prenunciato in essa rinnovatore del mondo fosse il Messia. Cosí ella sarebbe un’eco de’ vaticini della Sibilla Cumana, i quali pure vengono citati da quelli scrittori. La interpretazione citata anche da Dante (Purg., XXII, 70) fu forse la principal causa della popolarità ch’ebbe nel medioevo il nome di Virgilio, la quale traspira pur da questi bei versi del nostro), Daphnis, Silenus, Meliboeus, Pharmaceutria, Moeris, Gallus.
Pag. 20, v. 241 sgg.
Georgica: la coltivazione de’ campi (lib. I) e degli alberi (lib. II); la cura del bestiame (lib. III) e delle api (lib. IV).
Pag. 24, v. 326 sgg.
* L’Eneide: Enea battuto dalla tempesta approda alle sponde affricane, ed è ospitato da Didone, lib. I; Racconta alla regina la caduta di Troia, la sua fuga e le sue vicende, lib. II e III; Amori e nozze di Didone; abbandonata da lui si uccide; IV. La tempesta caccia Enea in Sicilia ov’è raccolto da Aceste e onora di esequie la tomba di Anchise: si rimette in mare e perde nel viaggio il pilota Palinuro; V. Approda in Italia presso Cuma; consulta la Sibilla, dalla quale è scortato all’Averno, dove Anchise gli mostra le future glorie romane e la famiglia Giulia e Cesare Augusto; VI. Tornato, approda alle bocche del Tevere ed è accolto dal re Latino. Turno, re de’ Rutuli, gli si leva contro per opera di Giunone, e arma contro lui da ogni parte d’Italia; VII. Enea si prepara alla guerra: riceve da Evandro aiuto d’armi sotto il comando del suo figlio Pallante, e da Venere l’armatura; VIII. Intanto Turno lancia il fuoco alle navi dei Troiani, le quali Cibele trasforma in Ninfe; poi assale gli accampamenti, di dove è ributtato e costretto a gettarsi a nuoto nel Tevere; IX. Torna Enea co’ soccorsi ai suoi; attacca i Rutuli; muore per mano di Turno, Pallante; di Enea, Mezenzio e Lauso; X. L’esercito d’Enea sovrasta a Laurento, mentre i Latini tengon consiglio. Turno gli esce nuovamente incontro, occupando i monti, e affidando la cavalleria a Cammillo e a Messapo: morte di Cammilla; XI. Combattimento fra i due eroi, prima per due volte impedito da Giunone. Finalmente, venuti alle mani, e sopraffatto Turno da Enea e già quasi ottenuta a preghiere la vita, scuopre in mal punto la cintura che fu già di Pallante, ed Enea lo uccide. Nella morte di Turno si chiude il poema.
Pag. 34, v. 505.
Nelle grandi feste panatenee che si celebravano in Atene ogni quattro anni in onore di Minerva, dal 25 al 28 del mese Ecatombeone (luglio-agosto) con le corse, i giuochi ginnastici, le prove musicali e poetiche, le donne attiche offrivano alla Dea il croceo manto (πέπλος) su cui erano dipinte o ricamate in porpora od oro le gesta della divinità o dei piú illustri cittadini. Era sospeso a guisa di vela su di una nave munita di ruote, e con solenne processione recato al Partenone.
Pag. 34, v. 508.
Accenna alle sette maraviglie del mondo: le mura di Babilonia di tale larghezza da consentire l’incontro di due quadrighe; i giardini di Semiramide; l’ara cornea nel tempio di Delo; la statua colossale di Apollo in Rodi; il monumento a Mausòlo, re di Caria, fattogli erigere in Alicarnasso dalla moglie Artemisia II; il Giove di Fidia; le piramidi d’Egitto.