Le Sale di ricovero
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LE SALE DI RICOVERO.
Qui susceperit unum parvulum talem in nomine meo, me suscipit. |
(Matth. 18. 5). |
« Son pargoletto e povero e ammalato;
Abbi pietà di me, Gesù bambino,
3Tu che sei Dio, ma in povertà sei nato!
Me qui lascia la mamma ogni mattino
Nel solingo tugurio, ed esce mesta
6Il nostro a procacciar vitto meschino.
Ancella move a quella casa e questa,
Ed acqua attinge e lava e assai si stanca,
9E vive appena, ed indigente resta.
Qui soletto io mi volgo a destra, a manca,
Senza dolcezza di parole amate,
12E fame ho spesse volte, e il pan mi manca.
Le melanconich’ore prolungate
M’empion l’alma di pianto e di paure,
15E mi sfogo in ismanie sconsolate.
Amor la madre assai mi porta, e pure
Quando al tugurio torna e pianger m’ode,
18Spesso le voci sue prorompon dure;
Talor mi batte, e duolo indi mi rode,
Sì che allor quasi affetto io più non sento,
21E in maligni pensieri il cor mi gode.
Povera madre! il viver nello stento
Estingue nel suo spirto ogni sorriso,
24Ed anch’io più cruccioso ognor divento.
Gesù, prendimi teco in Paradiso,
O tempra la tristezza che m’irrìta,
27E rasserena di mia madre il viso:
Fa ch’ella trovi ad allevarmi aïta,
Fa che deserto io non mi strugga tanto,
30Fa che un po’ d’allegrezza orni mia vita.
Se ad altri bimbi io respirassi accanto,
E non sempre gemessi, e qualche mano
33Söavemente m’asciugasse il pianto,
Crescerei più benevolo e più sano,
E più caro alla madre io mi vedrìa:
36Lassa! altrimenti ella fu madre invano!
Ella al mio fianco in pace invecchierìa,
E per essa con gioia adoprerei
39A laudevol sudor mia vigorìa.
Le poche forze ai patimenti rei
Soggiaceranno in breve, e, fuorchè pena,
42Nulla i miei giorni avran fruttato a lei.
Ovver, se presto a morte non mi mena
Tanta miseria, crescerò doglioso,
45Me coll’afflitta madre amando appena.
Ed ella pur mi dice che odïoso
Il povero alla terra e al ciel rimane,
48Quando alle brame sue non dà riposo,
Quando coll’ira in cor mangia il suo pane.
Ed ecco del bimbo
La mamma ritorna:
È stanca, ma un raggio
Di gioia l’adorna;
S’asside a lui presso,
55Lo stringe al suo sen.
« Oh quanto sinora
Mi dolse, o figliuolo,
Lasciarti ogni giorno
Sì tristo, sì solo!
T’allegra: celeste
61Soccorso a noi vien.
» Nell’ore ch’ai figli
Non ponno dar cura
Le madri, cui preme
Fatica e sventura,
Da provvide menti
67Ricovro s’aprì.
Alquanto risana,
E là tu verrai:
Son piene due sale
Di pargoli omai:
Giocando, imparando,
73Vi passano il dì.
» Al santo pensiero
Che aprì quel ricetto,
Ministre si fanno
Con tenero affetto
Più vergini umìli,
79Sacrate al Signor:
Null’altro che amarti,
Il sai, potev’io,
Ma quelle söavi
Ancelle di Dio
Più dolce, più giusto
85Faranno il tuo cor.
» Io, conscia che al figlio
Non manca un’aïta,
Trarrò senza pianto
Mia povera vita,
L’usato lavoro
91Stimando leggèr.
Al tetto materno
Verrai verso sera,
E sempre alzeremo
Concorde preghiera
Per l’alme pietose
97Che asilo ti dier ».
Quel fanciulletto già infermiccio e tristo,
Indi a non molto, in sì benigna scuola,
100Rosee le guance e lieti i rai fu visto.
Oh d’amorose labbra la parola
Quanto a’ cuori avviliti, e più a’ bambini,
103Addolcisce le doglie e li consola!
D’entrambo i sessi i pargoli tapini
Ivi sottratti vanno a rio squallore,
106Ed a costumi stolidi e ferini.
Che invan vorria la madre o il genitore
Occhio assiduo tener sui cari pegni,
109Qua e là faticando per lungh’ore.
Abbandonati a sè, crescere indegni
Veggionsi quindi d’assai plebe i figli,
112Egre le membra ed egri più gl’ingegni.
Per cadute e per cento altri perigli
Vedi qual di storpiati e di languenti
115Esce turba da’ poveri covigli!
Quanti avrian le persone alte e ridenti
Ch’essi strascinan luride e contorte,
118Perchè guaste d’infanzia agli elementi!
Oh benedetti voi che sulla sorte
Della schiatta plebea v’intenerite,
121E pensate a scemarle e vizi e morte!
In voi sì belle le grandezze avite
Non son, quant’è il magnanimo disìo,
124Onde a tanti innocenti asilo aprite.
Memori siete di quell’Uomo-Iddio
Che, cinto da drappel di bambinelli,
127Li confortava col suo sguardo pio,
Ed imponea d’assomigliare a quelli.
E voi benedette,
Donzelle pietose,
Che al Dio de’ bambini
Facendovi spose,
Di madri assumete
134Le pene e l’amor.
Per voi dalla terra
Piacer non alligna:
Fors’anco taluno
Vi guarda e sogghigna,
Vi chiama delire
140Da stolto fervor.
Ma voi non curanti
Di plauso o di scherno,
I poveri amando
Amate l’Eterno,
Ai bimbi servendo
146Servite a Gesù.
Il mondo che ignora
Del core i misteri,
Non sa che più dolce
Di tutti i piaceri
È l’umil conflitto
152D’arcana virtù.
La vergine sacra
Al Dio degl’infanti
Sublima sue pene
Con palpiti santi;
È abbietta ai mortali,
158Ma l’anima ha in ciel.
Con Dio nella mente
Le cure più gravi,
Le cure più vili
Diventan söavi:
Bassezza non tange
164Un’alma fedel.
La vergine sacra
Al Dio de’ bambini
Vagheggia in Maria
Affetti divini,
Le impronte cercando
170Di lei seguitar.
Non volgono ai bimbi
Tirannico ciglio
Color, che mirando
Maria col suo Figlio,
Li veggon dal cielo
176Sui bimbi vegliar.
Ah! sì, benedette
Voi tutte, o bell’alme,
Che ai miseri infanti
Porgete le palme,
Di padri e di madri
182Vestendo l’amor!
Pensier non vi preme
Di plauso o di scherno:
I poveri amando
Amate l’Eterno:
Ai bimbi servendo
188Servite al Signor.